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Continuano i tagli alle pensioni in un silenzio assordante

Continuano i tagli alle pensioni in un silenzio assordante

Lo scorso 3 novembre si è riunito il gruppo di lavoro di Federmanager Roma per la tutela dei diritti e degli interessi dei pensionati. Di seguito la sintesi della relazione introduttiva, dei vari interventi e della documentazione utilizzata dai partecipanti a sostegno delle loro argomentazioni.

Il gruppo di lavoro di Federmanager Roma per la tutela dei diritti e degli interessi dei pensionati si è riunito il 3 novembre scorso. L’introduzione alla discussione, svolta dallo scrivente, è stata incentrata sulle iniziative organizzative intraprese da Cida e sui ricorsi pilota (anch’essi sostenuti dalla Confederazione) promossi dinanzi alle magistrature di merito: 5 presso i tribunali ordinari e 2 presso le Corti dei conti regionali. In caso di mancato accoglimento, stando ai precedenti, il successivo passaggio è la rimessione alla Corte Costituzionale.

La riunione, anche da remoto, è proseguita con approfondimenti dei partecipanti sulle conseguenze che stanno determinando le continue misure adottate dai Governi: misure che stanno falcidiando i nostri trattamenti. Nel dibattito sono state ipotizzate possibili iniziative per contrastarle. Il presente articolo è la sintesi della relazione introduttiva, dei vari interventi e della documentazione utilizzata dai partecipanti a sostegno delle loro argomentazioni.

La situazione

I pensionati del ceto medio vedono continuamente sotto attacco i loro assegni.  Non se ne può più!  Questi pensionati sono   sfiancati da oltre vent’anni di politiche ostili. Politiche contro di loro; contro quelli che, per decenni, lavorando, hanno pagato alti contributi previdenziali e altrettante imposte, con trattenuta alla fonte: le mani nelle loro tasche ancor prima di ricevere la pensione.

Lavoratori, ora in pensione, si trovano caricati di una sequela di provvedimenti che rendono sempre più incerta la loro economia familiare. Una situazione critica che, purtroppo, non trova neppure il sostegno di un’opinione pubblica favorevole, dopo che sulle piazze e nei media sono stati additati come “privilegiati” perché percettori di “pensioni d’oro”. Un’espressione perfida che ha relegato in un clima di avversione una categoria di pensionati della classe media fatta da ex dirigenti, funzionari, quadri intermedi ecc. Una categoria sociale contro la quale, “si è tracciata una linea di demarcazione utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo: una linea che, tradotta in ‘reddito dichiarato’, è stata fissata a 35mila euro lordi l’anno. Oltre questo livello di reddito si è esclusi da tutto […]. Perché   questa parte di italiani, ormai ridottasi, sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da ‘spremere’ quando serve”. (Cfr. A. Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, “Il Punto”, 27/2/2023). In questo clima di disinteresse generale, quando non manifestamente ostile, i pensionati stanno subendo le conseguenze di vent’anni di provvedimenti che hanno tagliato i loro trattamenti e il relativo potere d’acquisto.  A seguirne l’elenco, si trovano le stratificazioni di politiche   che hanno avuto come obiettivo non tanto la costruzione di un sistema previdenziale coerente ed equilibrato, quanto, piuttosto, la ricerca di un consenso “popolare diffuso” finalizzato, per lo più, ad obbiettivi di breve termine o di carattere meramente elettoralistico. A ben guardare, sono provvedimenti che seguono un filo conduttore comune, contrassegnato, sostanzialmente, dall’assistenzialismo. Che poi, a dirla in altri termini, appare come un disegno, sia pure non dichiarato, verso il quale viene spostato l’asse del sistema previdenziale.  È la sensazione avvertita da molti nostri pensionati. Ne espongono l’andamento i partecipanti ad incontri, dibattiti, convegni che si vanno promuovendo in tutto il Paese. Descrivono il progressivo stravolgimento dell’impianto pensionistico.

Funzione redistributiva del meccanismo automatico di perequazione

La “finalità solidaristica endoprevidenziale” con la quale si pretende giustificare ogni ulteriore misura riduttiva, non regge. Perché il meccanismo standard di perequazione concordato e condiviso, a suo tempo, con le organizzazioni sindacali, ha già in sé questa funzione. Infatti differenzia la valorizzazione dei trattamenti con percentuali decrescenti inverse all’aumento degli importi. E, questo, per contribuire al contenimento della spesa pubblica e, contemporaneamente, rendere i pensionati partecipi, anche con i loro assegni, dei criteri redistributivi delle risorse. Negli anni, tutto questo è passato in secondo ordine. Il meccanismo di valorizzazione è stato sconvolto anno dopo anno. Le variabili sono affidate alle sensibilità delle forze politiche che si succedono alla guida del Paese. Dinanzi al ripetersi, anno su anno, di queste manovre, i pensionati sollevano la loro protesta. Perché sono misure non più sopportabili. Perché questi pensionati, ultra tassati, vengono anche “tosati come pecore”. Sono inermi. Sprovvisti di qualsiasi leva di opposizione. Non hanno occasioni rivendicative, non hanno contrattazioni, sono privi dello strumento democratico dello sciopero.  Resta solo la voce che qui vogliamo raccogliere nella sua espressione più sintetica ed efficace, gridata in una sola parola: Basta! Una parola che è risuonata forte nelle parole del Presidente di Federmanager/Cida Stefano Cuzzilla quando, nel Convegno di Milano, il 6 ottobre scorso, ha detto: “Oggi diciamo basta a questi interventi iniqui. Chiediamo a questo Governo di adottare provvedimenti strategici che non sottraggano altre risorse a chi ha pagato onestamente tasse e contributi in un’economia alterata e inquinata dall’evasione. Chiediamo che, nel rimettere ordine al sistema di detrazioni fiscali, non si perpetui l’errore di discriminare e penalizzare ulteriormente chi il welfare lo sostiene già in tutti i modi possibili”.

Misure riduttive applicate per decenni

Di interventi iniqui, infatti, sono caricati i pensionati di cui qui parliamo. Iniqui provvedimenti, perché continuativi, perfino in contrasto con la giurisprudenza costituzionale.  A contare solo quelli applicati in poco più degli ultimi 20 anni, di prelievi “solidaristici” i pensionati ne hanno subito ben 6 (sei) di cui uno, per 6 (sei) anni (2012-2017) solo a carico di iscritti agli ex fondi Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps. Non è bastato. A volte, contemporaneamente, sono intervenute sospensioni o modifiche in peggio del meccanismo automatico di rivalutazione delle pensioni (perequazione).  Ne abbiamo contati 7 (sette). L’ultimo, introdotto nel 2023, è quello peggiorativo in senso assoluto rispetto ai meccanismi   utilizzati dai precedenti Governi: meccanismo su 6 fasce e con valorizzazione sull’intero importo pensionistico, piuttosto che su 3 scaglioni e con valorizzazione per “fette”, come nel sistema Irpef.   In totale, nel periodo, sono stati disposti 13 (tredici) interventi depressivi sulle pensioni. E il 14mo (quattordicesimo) è in arrivo. Nella legge di Bilancio 2024, in via di approvazione, è scritto che il grado di indicizzazione dell’ultima fascia sarà ridotto di altri dieci punti rispetto al 2023.

Il “contributo” e la perequazione

Solo in maniera approssimativa le riduzioni periodiche vengono definite “contributi di solidarietà”. Perché, in realtà, andrebbero meglio classificate come delle vere e proprie imposte aggiuntive solo ed esclusivamente a carico dei pensionati.  Sebbene fuori dal perimetro dell’Irpef, operano come l’Irpef.  (Cfr. Corte dei Conti, Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica).

Diverso il discorso relativo ai blocchi o modifiche in peggio del meccanismo automatico di rivalutazione. Va considerato l’effetto sul lungo termine di questa tipologia d’intervento.  Infatti, mentre per quanto attiene al “contributo”, una volta concluso il periodo di applicazione, non superiore a tre anni, il trattamento pensionistico ritorna alla sua entità originaria, senza produrre effetti ulteriori nel tempo, nel caso di blocco temporaneo (o modificazione in peggio) del meccanismo, la valorizzazione automatica riprende sì la sua entità originaria, ma con una entità in meno.  All’importo della pensione manca l’incremento che si sarebbe prodotto se non fosse intervenuto il blocco o la modifica in peggio. L’effetto cumulato di questo mancato incremento prosegue nel tempo, con progressione geometrica; depotenzia il potere d’acquisto della pensione vita natural durante del pensionato con impatto, ovviamente, anche sui trattamenti di reversibilità. Più delle parole, vale l’esercizio descritto nel grafico: quantifica visivamente le perdite annue del potere d’acquisto di una pensione di 3.400 euro mensili lordi (circa 2.250 euro netti), rispetto alla rivalutazione con le modalità della Legge n. 388/2000. (A fine 2023 la perdita calcolata è di 46.832,78euro).

Vanno aggiunte le considerazioni della Corte Costituzionale. Spiega che l’effetto trascinamento, “rende sostanzialmente definitiva anche una perdita temporanea del potere di acquisto del trattamento di pensione, atteso che ‘le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato’” (Sentt. n.70/2015, e n.234/2020).  È un’osservazione autorevole che domanda una profonda riflessione sul nostro sistema previdenziale. Monito cui vanno collegati gli altrettanto   autorevoli rilievi del Presidente Cuzzilla esposti al Convegno di Milano del 6 ottobre.  Indicano la linea da seguire: “Vogliamo credere, con ottimismo,- ha detto– che la politica sappia scrivere una nuova storia delle pensioni coi tempi verbali coniugati al futuro. Una storia dove i capitoli non abbiano per oggetto solo misure sottrattive e redistributive ma che parlino, invece, di crescita della popolazione, di potenziamento della vita delle famiglie, di lavoro per i giovani e le donne”.

L’impegno dei pensionati

A queste parole, che sono anche sintesi di una strategia in materia previdenziale, noi pensionati non possiamo e non dobbiamo far mancare il nostro sostegno. Occorre che, a nostra volta, ci rendiamo attivi, incalzando strutture sindacali di base, comitati e, per quanto possibile, cercando alleanze con altre categorie sociali. Occorre, ben organizzati, promuovere incontri con i media, spiegando bene le ragioni del nostro scontento, documentando le ingiuste misure riduttive che continuano a colpire i nostri trattamenti. Tanto, anche a coprire, per quanto possibile, l’assordante silenzio della politica sull’argomento.

Pensioni, il cantiere è sempre aperto

Pensioni, il cantiere è sempre aperto

Molti interventi del Governo e del Parlamento per mettere “pannicelli caldi” al sistema pensionistico e previdenziale. Provvedimenti che, come al solito, riconoscono diritti a categorie di lavoratori creando malumori nei gruppi esclusi. Quest’anno ci sarà un tavolo tra Governo, sindacati e parti sociali per tarare meglio le modifiche, con un finale ovviamente prevedibile: ulteriore deficit dei bilanci. Tanto, ci sono i nostri figli e nipoti a riparare i buchi. Vediamo alcuni punti principali delle modifiche introdotte, dalle pensioni anticipate agli esodi, dalle indennità camuffate da pensioni ai congedi per maternità.

Pensioni: Perequazione 1,9% ma l’Inps paga 1,7% 

Stabilito all’1,7% (ma in via soltanto provvisoria) l’aumento delle pensioni 2022 legato alle variazioni del costo della vita, l’Inps ha calcolato e messo in pagamento le rendite con la perequazione all’1,6%. Perché? Ha forse voluto fare un po’ di “cresta” sulla spesa? Ovviamente no, il motivo è oggettivo. L’Inps per poter pagare le pensioni dall’inizio di ogni anno deve iniziare i lavori di rivalutazione nei primi giorni di novembre dell’anno precedente. Ebbene, in quel momento le variazioni del costo vita sono in genere inferiori a quelle che poi risultano nel saldo finale. Ed è quello che è capitato anche stavolta.

L’Inps ha chiarito che con la rata di marzo tutto tornerà a posto e saranno pagati anche gli arretrati del primo bimestre.

In realtà la vicenda non è finita qui, in quanto l’Istat, sulla base delle rilevazioni del costo vita al 31 dicembre 2021, ha stabilito in via definitiva la perequazione all’1.9%. Quando l’Inps pagherà questa ulteriore variazione? La normativa a questo proposito è chiara: i conguagli che possono verificarsi ogni anno vanno saldati nell’anno successivo. Risultato: con gennaio 2023 gli uffici, oltre ad aumentare le pensioni in relazione al tasso di inflazione che si verificherà nel corso di quest’anno 2022, aggiungeranno la parte restante della aliquota 2021 con tutti gli arretrati da gennaio a dicembre.

Ma la nostra attenzione è rivolta a due novità molto interessanti, prese dal Parlamento grazie alla pressione della Corte costituzionale che ha dato per così dire il benservito agli aumenti striminziti di questi ultimi anni (quasi un decennio), costringendo le pensioni medio-alte al continuo impoverimento.

1) Prima novità: la misura delle pensioni è ordinata in tre fasce e non più in cinque, per cui la riduzione massima degli aumenti della terza fascia è del 75% (e non più del 45%) rispetto alla misura piena del 100%.

2) Seconda novità: viene abbandonato il sistema in base al quale su tutta la pensione veniva applicata la percentuale di aumento relativa alla ultima fascia, cioè quella più bassa, con una forte penalizzazione. Ora l’indicizzazione è progressiva, per cui chi sta, ad esempio, nella terza fascia riceve anche gli aumenti delle precedenti due fasce. 

Pensioni d’oro stop ai tagli

Con il 31 dicembre 2021 è terminato il contributo di solidarietà sulle pensioni inesattamente denominate “pensioni d’oro”. Doveva arrivare fino al 2023 ma anche qui la Corte costituzionale è intervenuta per ripristinare un po’ di legalità onde evitare che i tagli vivessero all’infinito. Da cinque siamo scesi a tre anni e perciò il 2022 si presenta senza il taglio che è andato dal 15% al 500% a partire dalle pensioni superiori a 100 mila euro lordi annui.

Il taglio ha riguardato esclusivamente i trattamenti pensionistici diretti erogati dall’Inps e di cui ci sia almeno una parte liquidata con le regole retributive (quindi riguarda i soggetti in possesso di anzianità al 31.12.1995 che non abbiano esercitato l’opzione al sistema contributivo ) con esclusione, in ogni caso, delle pensioni ai superstiti, delle pensioni corrisposte alle vittime del dovere e del terrorismo, le prestazioni di invalidità e di privilegio e di tutte le pensioni erogate dalle Casse professionali.

Contratto di espansione, esodo 5 anni prima

Confermato anche per quest’anno e per il 2023 l’esodo anticipato, attraverso lo strumento del “contratto di espansione”, con il quale si chiude il rapporto di lavoro con i dipendenti più anziani. Lo strumento siglato in sede governativa con il Ministero del Lavoro e con le associazioni sindacali consente anche la risoluzione del rapporto di lavoro per chi è lontano dal pensionamento da non più di 60 mesi (cinque anni).

E con la proroga ci sono anche novità importanti.

  1. A) L’esodo è riconosciuto alle aziende che hanno almeno 50 dipendenti, e non più 100 (inizialmente si era partiti da una forza lavoro di 1.000 dipendenti).
  2. B) L’azienda deve attivare un programma di riorganizzazione dei processi lavorativi.
  3. C) L’azienda presenta domanda di indennità riferita a ogni singolo esodato.
  4. D) L’indennità è pari alla pensione fino a quel momento maturata con i contributi versati.

Chi paga l’indennità pensionistica? La paga l’Inps oppure l’azienda?

Intervengono tutti e due, Inps e azienda, ma la spesa è a carico del datore di lavoro.

1) L’indennità viene pagata dagli uffici Inps ma è solo l’azienda che tira fuori i soldi.

2) È pagata fino al mese in cui l’esodato raggiunge i requisiti per la pensione, esattamente per la pensione che arriva per prima in ordine di tempo: a) se arriva quella di vecchiaia = l’azienda deve pagare solo le rate di indennità; b) se arriva quella anticipata = l’azienda, oltre alla indennità, deve versare anche i contributi, necessari appunto per arrivare all’anzianità utile a pensione (42 anni + 10 mesi, ridotti di un anno per le donne).

Per attuare il programma di scivolo: 1) l’azienda deve presentare una fideiussione bancaria, a garanzia che il lavoratore venga pagato per tutto il periodo di esodo; 2) deve anticipare all’Inps mese per mese la rata dell’indennità; 3) se non versa l’Inps blocca il pagamento della rate.

Opzione donna, pensione fino a 8 anni prima

Anche per quest’anno la cosiddetta opzione donna consente al genere femminile di avere la pensione fino a 8 anni prima. Due condizioni entro il 31 dicembre 2021: a) 35 anni di versamenti contributivi; b) 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti e di 59 per le autonome. Ma per la materiale riscossione della pensione occorre attendere l’apertura della finestra: 12 mesi, elevati a 18 per le autonome. Sommando i due valori il risultato è che la prima lavoratrice potrà di fatto avere la pensione a 59 anni, se dipendente, e a 60 anni e mezzo se autonoma (agricola, artigiana, commerciante). In ogni caso la pensione arriva fino a otto anni prima.

  1. A) Nel pacchetto dei contributi non si contano i periodi coperti dai contributi figurativi per malattia o per disoccupazione. B) E neanche quelli versati in due o più gestioni (esempio: Inps e Inpdap) che in genere si “cumulano” per la pensione ma non nel caso dell’opzione donna, per cui se necessario deve essere attivata la ricongiunzione a pagamento. C) Vale invece il periodo degli studi universitari, riscattato con il sistema agevolato (light), ma a condizione che il riscatto sia chiesto solo insieme alla domanda di opzione e non prima.

Ape Sociale, per averla 4 requisiti

Anche per l’Ape sociale (tecnicamente è un assegno che eroga al massimo 1.500 euro lordi al mese e non una pensione) proroga per tutto l’anno in corso e con requisiti in alcuni punti migliorativi. E i requisiti non sono pochi. Nel complesso sono sette, ma ne bastano quattro. A) Quelli di base sono tre e richiedono che l’interessato:1) abbia almeno 63 anni di età; 2) abbia raggiunto almeno 30/36 anni di contributi; 3) non lavori, sia in una situazione di inoccupato. B) Ce ne sono poi quattro (per ogni persona ne basta uno solo) legati a un particolare status personale o lavorativo della persona.

1) Persone disoccupate che hanno terminato le indennità Inps. Non è più richiesto che il termine risalga a tre mesi prima; vi è perciò contestualità tra fine indennità e inizio Ape. Vi rientrano anche i disoccupati per fine del contratto a termine, a condizione che abbiano lavorato almeno 18 mesi nei tre anni precedenti.

2) Persone invalide almeno al 74%. 

3) Persone che assistono da almeno sei mesi familiari invalidi gravi e conviventi.  Si tratta di coniuge, unito civile, figli, genitori. Se essi mancano o sono deceduti, ovvero hanno compiuto 70 anni o sono disabili si passa agli altri parenti e affini fino al secondo grado.

4) Persone che hanno svolto lavori gravosi per almeno sei anni negli ultimi sette, oppure per almeno sette negli ultimi dieci. Si tratta di quindici categorie, quali ad esempio edilizia, personale viaggiante e conduttori di convogli ferroviari, infermieri e ostetriche che lavorano a turni, docenti scuola infanzia e asili nido, siderurgici, pescatori, marittimi, ecc.

Le persone inserite nei primi tre gruppi devono avere almeno 30 anni di contributi, per il quarto gruppo sono necessari 36 anni. Per le lavoratrici madri c’è lo sconto di un anno per ogni figlio, fino a due anni. Perciò ci sono donne che possono avere l’Ape con 28/29 o 34/35 anni di contributi.

Dal 1° gennaio 2022 per gli operai edili, per i ceramisti e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta il requisito dell’anzianità contributiva è ridotto a 32 anni.

Congedo, quando il papà fa la mamma

Reso strutturale il diritto dell’uomo di avere il congedo di maternità in aggiunta a quello della madre. Da quest’anno il sistema è così organizzato.

1) Il papà ha il diritto di lasciare lavoro per dieci giorni entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, o dall’adozione o affidamento, avvenuti nel corso del 2022.

2) L’assenza è obbligatoria.    

3) Essa non toglie nulla alla madre in quanto si aggiunge a quella della donna.

4) Se il parto è gemellare l’assenza non raddoppia, resta sempre fissata in dieci giorni.

5) Il lavoratore deve comunicare in azienda il periodo di assenza.

6) Deve invece presentare domanda all’Inps nei casi di pagamento diretto, tipo disoccupati, sospesi, stagionali.

Ovviamente è stato confermato anche l’altro congedo, quello facoltativo:

  1. A) Il congedo vale per un solo giorno sempre entro il quinto mese.
  2. B) Stavolta la richiesta sottrae un giorno al congedo della donna.
  3. C) Per questo è necessario che ci sia una dichiarazione scritta della donna che attesti di essere d’accordo.

Il papà per i 10 o 11 giorni di assenza ha diritto:

1) a una indennità Inps identica allo stipendio normale.

2) ai contributi figurativi per la pensione.        

 

Bruno Benelli, Giornalista esperto in previdenza

     

Assistenza e previdenza: la separazione per fare chiarezza

Assistenza e previdenza: la separazione per fare chiarezza

Le due voci separate e ben distinte nella costruzione costituzionale, si trovano confuse, invece, nelle disposizioni di legge, nei media e anche nel linguaggio comune, parlando indistintamente di pensioni

Guarda un po’ se è questo il momento per riprendere la storia della separazione fra assistenza e previdenza! Sarà questa l’esclamazione (benevola, spero) di molti che passeranno direttamente alle pagine successive e forse anche di chi, per pura cortesia o per curiosità, avrà voglia di leggere questo pezzo che la Rivista mi propone di scrivere per il numero in uscita.

Sì, il momento è questo, rispondo. Perché l’emergenza sanitaria ha dilatato il problema e il fenomeno ha assunto una dimensione talmente grande che è impossibile non vederlo perfino se ci si mettono non due fette, ma due prosciutti interi sugli occhi.

L’emergenza, e i problemi che pone, prevede che ci sia un momento in cui si tornerà alla normalità, ma se non troviamo il modo di superarla questa emergenza, allora potremo cadere nello “stato di eccezione”.E qui la differenza è sostanziale e drammatica. Perché la prima, l’emergenza, ci fa vedere soluzioni possibili, ragionate, ordinate, modulabili secondo i tempi e le esigenze; il secondo, lo stato di eccezione, ci impone soluzioni obbligate, imposte, pressoché definitive.

Siamo dunque, nello stato di emergenza, in presenza di un fenomeno sanitario che ci dice quanto sia importante l’assistenza, al punto da rappresentare il denominatore comune di tutte le misure economiche, finanziarie e sociali di questo tempo.

E allora, vista nella sua mega-dimensione, l’assistenza merita una riflessione approfondita e un indirizzo che la ponga non come un sottoprodotto, l’ancella servente del sistema previdenziale, ma come aspetto organizzativo sociale che merita la sua dignità primaria. Perché, come si vede bene appunto durante un periodo di emergenza, l’assistenza è il front-line di tutte le situazioni difficili: di quelle quotidiane, costanti, che ritroviamo dovunque, nel mondo e in tutte le epoche e di quelle che esplodono all’improvviso e che, per la loro dimensione e per le urgenze che pongono, hanno bisogno di modalità e capacità d’intervento eccezionali, secondo circostanze, occasioni e tempi.

Il welfare italiano si basa su tre pilastri: sanità, assistenza e previdenza.

Della sanità, per la particolare connessione con molte altre prestazioni e tutele pubbliche, ne parleremo magari in altra occasione, soprattutto con riferimento alla pandemia in atto.

Parliamo, invece, degli altri due pilastri welfare: l’assistenza e la previdenza.

In materia esiste molta confusione che però si potrebbe dissipare solo se si leggesse per bene la nostra Costituzione, nella quale, all’articolo 38, troviamo addirittura uno schema che fa la distinzione.  Secondo l’articolo 38, l’assistenza vera e propria, è quella di cui si parla nel comma 1, la previdenza è quella di cui si parla, invece, nel comma 2.

L’assistenza ha un preciso obiettivo. È diretta a tutelare i soggetti in condizioni di bisogno ed è attuata direttamente dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti Locali con risorse derivanti da imposte.

Le forme di erogazioni sono diverse (economiche, prestazioni sociali) e il bisogno ha una estensione tale che va dal bisogno individuale, occasionale, a quello collettivo.

La previdenza ha tutt’altra origine e obiettivo. È originata dai contributi versati da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro durante l’attività lavorativa. Si tratta, in sostanza, di un salario “differito” e su questo si sono sprecate pagine, dichiarazioni e sentenze della Corte Costituzionale. Ora che cosa succede?

Succede che, volutamente o per mera pigrizia intellettuale, e non solo, è stata superata la trasparenza d’interpretazione e il rispetto delle origini e della modalità di erogazione delle due prestazioni. Le due voci separate e ben distinte nella costruzione costituzionale, si trovano confuse, invece, nelle disposizioni di legge, nei media e anche nel linguaggio comune.  Ovunque, ormai, si parla indistintamente di pensioni. I governi che si sono succeduti nel tempo hanno finito per trasformare molte prestazioni assistenziali in erogazioni previdenziali. La furbizia elettoralistica e populista porta consensi, perfino strumentalizzando le parole: e così si parla di pensioni per disabili, e di quelle effettuate mediante la cassa integrazione, quelle relative alla mobilità, quelle che sono integrazioni alle pensioni minime. E sicuramente vi sono altri esempi che potrebbero essere aggiunti.

E qui comincia tutta un’altra storia.

Perché dal 1989 sono stati fatti tentativi di separazione delle due prestazioni nel bilancio INPS ed è stato anche istituito una speciale gestione dei trattamenti assistenziali (GIAS) da finanziarsi a carico della fiscalità generale. Però qui l’inghippo si è ancor più aggrovigliato perché questa gestione viene utilizzata anche per talune prestazioni previdenziali, che non risultano totalmente coperte dai contributi versati.

In tempi normali i trasferimenti dalla GIAS incidono mediamente intorno al 15% sul totale della spesa complessiva però, dal 2019, siamo nello stato di emergenza e parlare di cifre è da capogiro. Per chi vuole farsi una cultura e andarsi a leggere le fonti, i dati si trovano nella “Nota Integrativa a legge di Bilancio per il Triennio 2019-2021”.

Perché diciamo questo? Perché la confusione è a monte, dove ciò che manca è la chiara classificazione della spesa per protezione sociale. È importante partire da questa analisi se si vuole pervenire all’obiettivo della ripartizione della spesa, tra pensionistica e assistenziale. Senza un esame preliminare e approfondito di tutta la materia della protezione sociale e senza una presa di posizione netta sull’esigenza della ripartizione, che auspichiamo, resteremo schiacciati dalle troppe sollecitazioni alla politica di abbassare le pensioni.  Pressioni che vengono dall’interno del nostro Paese e che vengono replicate, purtroppo, anche da Organismi internazionali che si rifanno ai dati pensionistici esposti dai nostri Enti pubblici. Dati diffusi in maniera difettosa e spesso incompleti.

Si capisce allora perché insistiamo nella richiesta di separazione fra assistenza e previdenza.

Perché se non viene separata la spesa pensionistica da quella assistenziale, che è in continua crescita, anzi nella situazione emergenziale è addirittura fuori da ogni controllo, proseguiranno gli allarmi sulle pensioni da parte degli organismi economici internazionali e le bocciature delle agenzie di rating.

Concludiamo.

La dimensione dell’assistenza, definita e pagata come pensione, è tale da far porre la base per profonde riflessioni fin da ora, mentre l’assistenza è alla base di ogni intervento di sostegno economico e sociale.

Sarà opportuno, dunque, separare le due poste del bilancio previdenziale?

Ci chiediamo, addirittura, se non sia meglio separare fisicamente, da subito, le due tipologie di gestione.

Ma, intanto, è necessario cominciare con un’analisi approfondita di tutte le prestazioni che riguardano la protezione sociale e che configurano prestazioni assistenziali. Contemporaneamente bisogna creare una banca dati di tutte le prestazioni assistenziali pubbliche, a tutti i livelli, per evitare che i soliti furbetti si infilino nel sistema per lucrare prestazioni di cui non hanno diritto. E così le risorse finanziarie saranno più cospicue e tali da intervenire nelle situazioni di maggior svantaggio, familiare e individuale. Un’assistenza, insomma, intesa come dimensione solidale collettiva, quale risulta dalla vocazione programmatica definita dalle norme costituzionali.

Tempi difficili

Tempi difficili

Tempi difficili: di fronte alle difficoltà che il Paese sta affrontando, i colleghi pensionati vivono momenti di incertezza e di viva preoccupazione. Intanto Cida e Federmanger sono presenti nelle stanze del governo e portano sui tavoli che contano le esigenze e le aspettative dei loro rappresentati ed il loro sacrosanto diritto ad una giusta pensione

Tenere una continuità di colloquio con i nostri associati in questo periodo non è proprio facile. Non è facile per il condizionamento fisico che ci viene dalle disposizioni governative in atto per contenere la nota pandemia, non è facile per gli argomenti dolorosi che abbiamo dovuto affrontare nei mesi passati che hanno riguardato alcuni colleghi più anziani e fragili, stroncati dal morbo, non è facile perché la situazione economica in cui è crollato il Paese potrebbe far sembrare perfino fuori luogo riprendere e discutere le questioni dei nostri diritti ed interessi. E poi non è facile per la scarsità delle novità che riguardano il mondo delle pensioni.

L’unica notizia certa che abbiamo in questo settore riguarda l’esame del ricorso presentato contro il cosiddetto contributo di solidarietà (più esattamente “riduzione della base lorda della pensione”) e la modifica, in peggio, del sistema di perequazione che la Corte Costituzionale ha messo in calendario per il prossimo 20 ottobre. Previsioni sull’esito non se ne possono fare, possiamo solo attendere, anche se il momento non ci induce a grande fiducia. C’è pessimismo in giro. Dai contatti quasi quotidiani che ho con i colleghi in pensione emerge in tutti una preoccupazione costante: cosa succederà alle nostre pensioni nel prossimo autunno, quando il governo dovrà affrontare i nodi della prossima finanziaria, magari non avendo completamente ottenuto gli aiuti e i prestiti tanto attesi dall’Unione Europea? E qualora l’emergenza coronavirus dovesse ripresentarsi con la virulenza che ben conosciamo, cosa succederà al nostro già fragile sistema economico, già ampiamente fiaccato da tanti mesi di lockdown? Dove finiremo se il Paese si troverà di nuovo a dover fare i conti con la chiusura di fabbriche e di ogni attività commerciale e sociale? Dove potranno essere presi i soldi per continuare ad elargire cassa integrazione, redditi di cittadinanza, redditi di emergenza e sussidi vari per le categorie più penalizzate?

Queste sono le preoccupazioni più “sentite” dai nostri colleghi che chiedono, allarmati, cosa stanno facendo Cida e Federmanager per evitare che, in piena emergenza, siano come al solito i pensionati, con i contributi di solidarietà, i reiterati blocchi della perequazione, i tagli indiscriminati e balzelli vari a pagare il conto più salato, a fungere come sempre da bancomat del governo, a risolvere, seppure soltanto in parte, i problemi finanziari di uno Stato apparso finora forse fin troppo assistenziale.

D’altra parte le grandi elargizioni finora distribuite a pioggia non pare abbiano raggiunto le finalità desiderate. L’operazione reddito di cittadinanza, ad esempio, doveva portare, in cambio dei miliardi stanziati e distribuiti, la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Risultato: appena qualche migliaio di occupati e tanti, tantissimi “no” ai lavori proposti. In compenso assunti qualche migliaio di “navigator”. Domanda: per fare cosa?Stesso discorso per i cosiddetti redditi di emergenza. Le aziende agricole, tanto per fare un altro esempio, sono in crisi profonda. E questo, in parte, perché chi percepisce il reddito d’emergenza dallo Stato non vuole rinunciarci e preferisce tenersi quello e non andare a sudare nei campi. Mah, fosse che nei provvedimenti assistenziali dello Stato ci sia qualcosa da rivedere?

Ma torniamo a noi. Cosa stanno facendo Cida e Federmanager, chiedevano i nostri iscritti. La risposta è abbastanza semplice anche se forse poco esaustiva. Fanno quello che in questi casi e in questi difficili momenti è possibile fare: sono presenti nelle stanze del governo e portano sui tavoli che contano le esigenze e le aspettative dei loro rappresentati.

I presidenti Cida e Federmanager sono stati sentiti nei giorni scorsi a Villa Pamphili, in occasione degli Stati Generali promossi dal Presidente del Consiglio, Conte, e hanno lasciato, per un attento esame, un documento esplicativo del pensiero dei dirigenti nell’attuale contingenza. Cosa succederà nei prossimi mesi è difficile poterlo prevedere. Troppe le variabili che potranno condizionare il futuro. Resta il fatto che i nostri colleghi in pensione, pur con le loro preoccupazioni per il futuro, rappresentano oggi un elemento di grande stabilità per la società italiana.

Si pensi a quanti di loro sostengono con le loro pensioni i familiari, molti dei quali versano in particolari difficoltà economiche, spesso proprio per le conseguenze sociali del coronavirus, si pensi a quei nonni che si sostituiscono ai figli nell’accudire i nipotini soprattutto ora con le scuole chiuse, si pensi dunque a quanti di loro assicurano non solo affetto ma anche sicurezza economica a tutta la famiglia, svolgendo alla fine un vero e proprio servizio sociale.

Mi riallaccio a questo proposito a quanto ho avuto modo di scrivere in un articolo pubblicato qualche mese fa su questa stessa rivista: i pensionati, gli anziani in generale, vanno tutelati, vanno protettiÈ ora di smetterla con i prelievi ingiustificati sulle loro pensioni, con le angherie e i soprusi mascherati da forzosi contributi di solidarietà. Uno Stato che si rispetti, un governo come quello attuale che dice di preoccuparsi tanto del bene dei suoi cittadini, tanto da destinare miliardi e miliardi alle cosiddette fasce deboli con i molteplici provvedimenti a pioggia che abbiamo visto, non può non preoccuparsi della sicurezza e della stabilità degli anziani, di questo delicato e fragile segmento della popolazione del Paese.

I nostri pensionati, pur se anche loro naturalmente anziani, non cercano tutele o protezioni particolari e men che mai privilegi. I nostri pensionati, oltre al rispetto dei loro diritti, vogliono che venga riconosciuta loro esclusivamente la certezza ad avere la giusta pensione, la pensione per la quale hanno lavorato per anni, in modo onesto e serio, pagando tasse e contributi fino all’ultimo centesimo, rispettando regole e convenzioni. La loro maggiore preoccupazione è che ancora una volta questi loro diritti non verranno rispettati. E come diceva un politico d’altri tempi, “a pensar male si fa peccato ma purtroppo molto spesso ci si azzecca!”.

Quello che più appare perverso nei provvedimenti presi dai diversi governi contro le nostre pensioni non è tanto l’occasione della riduzione della pensione, dunque il fatto occasionale, quanto piuttosto la continuità di questi provvedimenti che si sono concatenati l’uno all’altro, anno su anno, da ormai oltre un decennio. Ravvisiamo in questo una profonda illegittimità. Ed è per questo che temiamo per il prossimo futuro. Sembra quasi che i governi si siano passati il “testimone”, come in una ipotetica corsa a “staffetta”. Ogni governo ha fatto il suo, cercando, coscientemente, di togliere un po’ di soldi ai pensionati pur dichiarando, con parecchia faccia tosta, che mai quel governo avrebbe messo le mani nelle tasche dei cittadini.

Ma evidentemente in quelle dei pensionati sì.

L’Italia ai tempi del coronavirus

L’Italia ai tempi del coronavirus

Previndapi, Fasdapi e Pmi Welfare Manager hanno risposto con efficacia e tempestività all’emergenza coronavirus, adattando operatività ed efficienza alle nuove condizioni

Il nostro Paese sta attraversando un periodo drammatico a causa della pandemia-epidemia del Covid-19: gli effetti diretti che stiamo subendo sono molteplici ed i numeri registrati dei contagi crescono giorno dopo giorno; in questi mesi il Governo ha adottato una serie di provvedimenti, via via più stringenti, con l’obiettivo in primis di contenere l’epidemia e poi di gestirla.

 

Come rispondono i fondi all’emergenza Covid-19

PREVINDAPI, FASDAPI, PMI WELFARE MANAGER in queste settimane, hanno adottato decisioni operative in linea con l’evoluzione della normativa – afferma il Direttore  Occhipinti – abbiamo completato un processo interno per mettere in sicurezza tutta la comunità dei nostri dipendenti, collaboratori, dei nostri fornitori e degli Iscritti in primis, assicurando al contempo la continuità del servizio”. Con l’obiettivo di proseguire nella quotidiana assistenza secondo la normale procedura e tempistica, dal punto di vista operativo, la Direzione dei Fondi ha predisposto una serie di disposizioni a beneficio dei propri Assistiti, i quali per tutte le comunicazioni potranno continuare a utilizzare i riferimenti personali con cui già operano (mail e fax), con l’ulteriore utilizzo di uno specifico numero di cellulare per la segreteria attivato ad hoc; è stato inoltre potenziato il sistema di call conference e di video conferenza facilmente accessibile per gli Organi di Governo e di Controllo dei Fondi, già in uso per le comunicazioni interne da parte della Direzione stessa.

Previndapi ha varato una policy che ha previsto il blocco degli appuntamenti e riunioni con ciascun stakeholder con l’attivazione immediata del Telelavoro per i dipendenti e collaboratori, per ovviare allo stato di difficoltà per gli spostamenti casa-lavoro – ha sottolineato il Presidente Lesca –. Il personale in telelavoro continuerà a ricevere quotidianamente la posta sui propri account di lavoro mail e, al fine di proseguire nelle attività tecnico/amministrative lavorando ‘a distanza’, è stato installato il programma ‘Supremo’ nei diversi computer del personale, che consentirà il proseguimento delle rispettive attività anche da remoto”. Infine il Presidente Lesca rassicura: “Tutte le iniziative per l’esecuzione dei servizi da remoto sono state comunicate con una nota specifica sul nostro sito, così come l’aggiornamento tramite Newsletter su tutte le altre iniziative attuate a beneficio degli iscritti al Fondo; a tutto il personale è stato distribuito il pieghevole predisposto dal Ministero della Salute con i 10 utili consigli per limitare un potenziale contagio”.

In considerazione delle difficoltà operative abbiamo deciso di mutare, per il periodo di allarme, la procedura di iscrizione al Fondo Fasdapi – dichiara il Presidente Califano, specificando che – ogni Iscritto potrà scegliere di anticipare l’invio dei moduli delle domande di iscrizione Dirigenti, Quadri Superiori, tramite l’invio per PEC, ottenendo così immediatamente la nuova registrazione, ovviando alla spedizione cartacea”.

Anche la posizione del Fondo PMI Welfare Manager viene chiarita dal suo Presidente Dalola:nonostante l’emergenza COVID-19, le misure di politica attiva a favore dei propri Iscritti non si fermano: dal servizio di sostegno al reddito (per coloro che divengono disoccupati involontari), al riconoscimento ad ogni Azienda iscritta di un contributo specifico per la contrattualizzazione di un Professional certificato come Innovation Manager e ad ogni Dirigente iscritto al Sistema Federmanager (con applicazione del contratto Confapi) un contributo forfettario per percorsi di certificazione delle competenze professionali relativi all’Innovation Manager”.

L'Italia ai tempi del coronavirus

Il nostro lavoro non si ferma

ASSOPREVIDENZA, l’Associazione di Categoria, per via dell’emergenza ha presentato in data 9/3/2020 e 10/3/2020, due istanze alla COVIP, una riguardante “le modalità di svolgimento delle riunioni dei Consigli di Amministrazione dei fondi pensione in presenza di circostanze eccezionali” e l’altra relativamente alle “problematiche amministrative diverse da emergenza virus COVID-19”. La COVIP ha tempestivamente fornito indicazioni in merito (Circolare dell’11 marzo 2020), consentendo agli Organi Collegiali di amministrazione e di controllo dei Fondi Pensione di riunirsi con collegamento in teleconferenza, e permettendo, per i Fondi aventi natura associativa, entro la fine del mese di giugno 2020, la convocazione dell’Organo assembleare per l’approvazione del bilancio 2019. Sono inoltre stati differiti i termini previsti per l’invio della Comunicazione periodica agli iscritti e per il deposito della Nota informativa (dal 31 marzo al 31 maggio 2020) e per la presentazione di osservazioni, commenti e proposte alle “Istruzioni di vigilanza in materia di trasparenza” (dall’11 aprile al 15 maggio 2020).

Le sorti del nostro Paese, del nostro tessuto produttivo, dell’occupazione e dei manager, motore per la ripresa in questa fase straordinaria, sono dunque la nostra primaria preoccupazione e ancora una volta ci sentiamo di schierarci in prima linea per gestire la complessità di questa emergenza al fine di garantire la continuità aziendale ed il benessere di tutti gli altri lavoratori. Con l’ultimo decreto “Cura Italia” sono stati disposti finanziamenti per circa 50 miliardi di euro su tutti i capitoli oggi più urgenti: sanità, lavoro, liquidità, fisco. Sappiamo che è un intervento che rappresenta un primo passo, ma le risorse allocate non saranno sufficienti ad affrontare la crisi.

Un valore per il Paese: gli anziani

Un valore per il Paese: GLI ANZIANI

Di fronte alla tragedia che stiamo vivendo, il problema delle pensioni passa in seconda linea. L’epidemia colpisce soprattutto gli anziani, una generazione che rappresenta la memoria storica del Paese. E’ importante proteggerli e fargli sentire affetto e vicinanza, anche economica

Quando la direzione di questa rivista mi ha chiesto un articolo per il numero di aprile/maggio ho avuto un momento di perplessità. Cosa scrivere in materia di pensioni, mi sono chiesto, proprio nel mezzo di un periodo di crisi così profonda determinata, come tutti sappiamo, dalla terribile pandemia del coronavirus?

Ci eravamo lasciati, cari lettori, con i primi esiti dei ricorsi sul blocco della perequazione, presentati nei diversi tribunali del Paese.

Incassato l’esito positivo del primo giudizio, emesso a Trieste dalla Sezione della Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia, eravamo in attesa di quello del tribunale di Milano e degli altri tribunali chiamati in causa dai nostri ricorsi.

Un valore per il Paese: GLI ANZIANILe note vicende dell’epidemia e le vere e proprie stragi registrate soprattutto in Lombardia, ma anche nel resto d’Italia, hanno provocato provvedimenti governativi che, oltre a limitare le nostre libertà personali, hanno determinato, tra le altre cose, la chiusura dei tribunali.

Ecco allora bloccate le aspettative di vedere riconosciute da un organo giudicante di primo grado, e poi dalla Corte Costituzionale, le nostre sacrosante ragioni in merito al blocco della perequazione e al taglio delle pensioni cosiddette medio alte.

Ma di fronte a quello che sta succedendo – credo ne convengano i lettori – questi problemi passano sicuramente in seconda linea.

Oggi rimane di assoluta ed esclusiva importanza la salvaguardia della vita di fronte alla devastazione che sta causando questo stramaledetto virus.

Come difenderci da questa piaga? Come difendere noi stessi e i nostri vecchi? 
E già, perché a leggere quelle terrificanti tabelle che la Protezione Civile ci propina ogni pomeriggio, ci atterrisce la consapevolezza che la gran quantità dei decessi colpisce prevalentemente gli anziani, soprattutto gli over 80, maschi, residenti nel nord Italia.

Pare quasi che questo insieme, così tristemente definito, rappresenti il perfetto identikit del pensionato medio, di quel pensionato nel quale anche molti di noi si possono riconoscere, ancora capace di svolgere una attività sociale nel Paese, fosse soltanto, o soprattutto, quella di aiutare e sostenere con la propria pensione e la propria presenza quotidiana, l’esistenza di figli e nipoti, sostituendosi fin troppo spesso alle carenze di uno Stato per lo più assente nella produzione di posti di lavoro e di strutture per l’assistenza all’infanzia.

Ebbene, soltanto l’idea che questa epidemia, decimando i più anziani, stia sottraendo alla nostra comunità persone che costituiscono per i più giovani un importante punto di riferimento, non solo negli affetti ma anche nella vita quotidiana, ebbene questo mi sconvolge, mi atterrisce, mi lascia frastornato.

Un valore per il Paese: GLI ANZIANIPer capire il mio stato d’animo, prego il lettore di pensare agli over 80 non soltanto come vecchi nonni o genitori, magari fragili e male sulle gambe, ma anche come membri di una generazione vigorosa, forte, portatrice di esperienze e valori unici nel Paese.

Gli ottantenni di oggi hanno vissuto, seppure bambini o poco più, gli anni della Seconda Guerra Mondiale e sono stati i veri protagonisti della fase successiva, quella della ricostruzione e del boom economico, che ha portato l’Italia fuori dal baratro del conflitto mondiale e l’ha proiettata nel periodo d’oro di quel miracolo che stupì, e quanto, tutto il mondo che contava.

Questi anziani rappresentano l’unica generazione vivente ad avere sperimentato direttamente, sulla propria pelle, cosa vuol dire subire un così violento trauma collettivo, in quel caso la guerra, e poi mettere le basi per un nuovo inizio, la ricostruzione. Quei giovani di allora, e oggi anziani, sono particolarmente preziosi per aiutare a capire cosa bisogna fare per far ripartire un Paese messo a terra da un evento pernicioso e funesto come quello che stiamo vivendo.
La generazione degli ottantenni, tanti anni fa, si è assunta il compito di chiudere un’epoca e di aprirne un’altra, indicando a tutti un percorso di democrazia e di benessere.

Quella generazione si è fatta carico della ricostruzione di un Paese distrutto, facendo leva sui valori solidi dell’impegno, del lavoro, della responsabilità individuale e del bene comune. Valori oggi non così diffusi e intesi, ma ancor più utili alle nuove generazioni di fronte allo scempio pandemico e alle sue implicazioni attuali e future.

Questa maledetta epidemia si sta dunque portando via una parte considerevole di una generazione che ha rappresentato l’insieme dei valori e la memoria storica di una fase cruciale del Paese, quella della ricostruzione postbellica, che ha consentito all’Italia, proprio grazie a quegli uomini e a quelle donne oggi over 80, di diventare una delle maggiori potenze industriali del pianeta.

Quanto farebbero comodo, oggi, quegli anziani! E quanto servirebbero, domani, quando in Italia, in Europa e nel mondo ci si dovrà rimboccare le maniche e mettere mano ad una nuova, seppur diversa, ricostruzione.

I nostri anziani non sono dunque solo ultraottantenni fragili e male sulle gambe: la repentina e inopportuna scomparsa di molti di loro dovuta al Covid.19 rappresenta un grave e forte impoverimento sociale e culturale. Dobbiamo rendercene conto.

Proteggiamoli, questi nostri anziani, facciamogli sentire la nostra vicinanza, la nostra considerazione, il nostro affetto. E a chi resisterà, dopo il conflitto mondiale anche a questa non meno difficile prova, facciamo sentire che l’Italia ha bisogno, veramente tanto bisogno, della loro preziosa esistenza.

Ma attenzione: parlare come si sente in giro, pare per iniziativa di una non secondaria forza di governo, di istituire un nuovo contributo di solidarietà da applicare a redditi pari o superiori a 80 mila euro per promuovere un avvio di ricostruzione ad emergenza Covid-19 terminata, sembra, a noi pensionati, l’ennesimo sopruso verso una categoria, quella appunto dei pensionati, che già sta subendo sottrazioni per altri contributi di solidarietà accumulati nel tempo, per tagli importanti sugli importi delle pensioni medio alte e per l’ennesimo blocco della perequazione.

Attenzione, ripeto. Non si possono togliere ai nostri anziani, ai nostri pensionati, le certezze, almeno, di una certa stabilità economica. E con ulteriori prelievi, blocchi, contributi di solidarietà varia, queste certezze stanno via via scomparendo.

È la solita musica: pagano i pensionati

Mentre la politica, a parole, sventola la bandiera della lotta all’evasione fiscale, l’83% delle imposte grava su lavoratori e pensionati, con questi ultimi che oltre alle tasse sul reddito, sono chiamati a pagare anche quote aggiuntive d’imposte

Si diceva a mezza voce, alcuni lo facevano capire, ma non lo dicevano apertamente. Ora si sa chiaramente chi sono i cosiddetti “Poteri forti”, quelli che condizionano in ogni momento la politica italiana, le scelte dei Governi. Sono bastati gli annunci del nuovo Governo sui contenuti della Nota di aggiornamento che definisce gli obiettivi programmatici della legge di bilancio 2020, è bastato che negli annunci si facesse cenno di calcare un po’ la mano sulle misure dissuasive relative alla più grossa frode a carico dei cittadini, ed ecco evidenziarsi tutta una serie di distinguo, di prese di distanza, di segnali protettivi. Sì, ora ne abbiamo la certezza: esiste una “casta”, una casta potentissima, quella degli evasori fiscali. Quelli che del non pagare le tasse ne fanno un modello presente – ed estremamente efficace – nelle loro attività produttive, commerciali, professionali. Sono evasori, questi signori, ma sono anche elettori, e hanno fatto ben intendere a chi di dovere che se il Governo insiste nel voler ridurre i margini che oggi consentono di farla franca quando non pagano le tasse, se la dovranno vedere con loro. Con gli evasori, appunto.

E le forze politiche sanno che la minaccia non è vaga: si concretizza poi nelle urne. In Italia ormai, da qualche parte, si vota sempre. Si vota (o si dovrebbe votare, visti gli ultimi accadimenti) nel Paese, si vota nelle Regioni, si vota nei Comuni e anche nei quartieri e nelle circoscrizioni. E ogni volta i cittadini/evasori si fanno sentire pesantemente. Nelle urne elettorali, naturalmente.

Un’élite nascosta (ma poi neanche tanto) che ostenta sicurezza e che continua a fregarsene del principio costituzionale che dice che tutti devono pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva. Per loro questo principio non vale. E le fazioni politiche, di qualunque colore e ideologia, non sembrano pronte a rintuzzare la sfida. Anzi, ciascuna fa una strizzatina d’occhio alla parte di evasori di proprio riferimento: per te non vale, ci penso io.

E così l’ISTAT in “Economia non osservata nei conti nazionali”, (15 ottobre 2019), ci fa
sapere che l’economia sommersa, cioè le attività sulle quali le tasse non sono state pagate, vale, nel 2017, circa 192 miliardi di euro e se poi si aggiungono le attività illegali, si arriva addirittura a 211 miliardi. Con riferimento all’economia sommersa, l’ISTAT ci spiega che il 41,7% del sommerso economico si concentra nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dei trasporti e magazzinaggio, delle attività di alloggio e ristorazione. Ci dice anche che nel 2017 sono state 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità).

Questo, tanto per far capire bene a chi legge di cosa stiamo parlando. Ma la politica, che con la grancassa dichiara di volere sconfiggere la piaga dell’evasione e ne fa, in modo fasullo, un cavallo di battaglia, poi mette in piazza qua e là dichiarazioni rassicuranti. Come dire: non ne faremo niente, perché a sostenere le spese dello Stato c’è l’altra parte della popolazione che le tasse le ha pagate sempre e continua a pagarle! Ci sono i lavoratori dipendenti e i pensionati che tanto versano la maggior parte dell’Irpef! Tranquilli, su di loro grava oltre l’83% della principale imposta e i conti sono salvi!

C’è una classe di persone, insomma, che prima come lavoratori, poi come pensionati, paga fino all’ultimo centesimo. Con una aggiunta, poi! Perché i pensionati, oltre alle tasse sul reddito, sono chiamati a pagare anche quote aggiuntive d’imposte. È vero che tecnicamente si chiamano in altro modo – adeguamento al costo della vita, perequazione, contributo di solidarietà, ecc. – ma i soldi comunque sono presi sempre dalle stesse tasche, quale che sia il nome tecnico che viene usato. Anzi, sono soldi prelevati prima che i pensionati riscuotano la pensione, perché la trattenuta avviene alla fonte, cioè d’ufficio, all’atto in cui viene disposto l’importo messo a pagamento. E queste operazioni penalizzanti ormai durano da oltre 50 anni.

Insomma un fisco sempre più “concentrato” sui percettori di reddito fisso, sui lavoratori dipendenti e soprattutto sui pensionati. Per questi ultimi in particolare, solo a fermarci agli interventi che tuttora incidono sulla loro pelle e senza evocare le tante misure precedenti che li hanno penalizzati nel corso degli ultimi anni, ricordiamo:
1) che i provvedimenti restrittivi della perequazione hanno avuto inizio nel 2012 e finiranno nel 2021. Dieci anni!
2) che di provvedimenti che vengono definiti “contributi di solidarietà” ne sono stati applicati
7 (sette!) a partire dal 2000, con motivazioni e obiettivi diversi. L’ultimo, per cinque anni,
dal 2019 al 2023. Con assoluta spregiudicatezza, in questo caso, il Governo che ha varato i provvedimenti non si richiama neppure al sentimento solidale. Dice, molto più brutalmente, che dal primo gennaio 2019 i trattamenti pensionistici superiori a 100mila euro lordi sono “ridotti” di un’aliquota percentuale, per scaglioni progressivi crescenti, dal 15% al 40%. Non si tratta dunque di emergenza per le casse previdenziali né di quelle dello Stato. Si tratta di un atteggiamento che si riscontra da decenni in tutte le successioni di governo. Quasi una progressiva tendenza a ridurre tutte le pensioni ad un livello medio-basso, di pura sopravvivenza.

Stato assistenziale per tutti, dunque! Un’assistenza, peraltro, che sarebbe assai conforme ad uno Stato in cui, come pure qualcuno provocatoriamente ha ipotizzato, ai vecchi, ormai in pensione, verrebbe sottratta anche una quota di cittadinanza: il diritto di voto (sic!).Che questo disegno, sia pure non esplicitato, non sia compatibile con i principi della nostra Costituzione lo si rileva dalla migliore dottrina giuridica e dalla giurisprudenza costituzionale.

A questa si richiamano, fortunatamente, gli organi della magistratura ordinaria e contabile, quando rilevano contraddizione fra i principi della nostra Carta fondamentale e i provvedimenti di legge. Come è avvento recentemente. Federmanager e CIDA ci hanno nei giorni scorsi informati che la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti legislativi che hanno determinato l’ennesimo blocco della perequazione e il prelievo straordinario sulle pensioni d’ importo medio-alto di cui abbiamo appena detto. Nel Comunicato CIDA del 18 ottobre si legge che la predetta Corte ha rilevato che i provvedimenti legislativi in questione non rispettano i tre fondamentali principi posti dalla Corte Costituzionale in tema di previdenza: ragionevolezza, adeguatezza, affidamento. Anche noi, pur con minore dottrina, abbiamo sempre contestato i provvedimenti sottrattivi delle pensioni, richiamandoci a tali principi. Ci conforta ora il fatto che un organo di giustizia ne valuti la violazione e domandi al Giudice delle leggi di pronunciarsi in merito. Federmanager e CIDA auspicano che anche gli altri giudici ordinari e contabili, chiamati a decidere su ricorsi avviati dai dirigenti pubblici e da quelli delle aziende private, sollevino la questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti legislativi che tuttora penalizzano noi pensionati. Sarebbe un buon segnale per sperare in una Pronuncia d’illegittimità costituzionale delle norme suddette. Attendiamo con fiducia.

Editoriale del Presidente: Impegno e fiducia nel futuro

Editoriale del Presidente: Impegno e fiducia nel futuro

Lo scorso 30 luglio Federmanager e Confindustria hanno sottoscritto l’accordo di rinnovo del CCLN dei dirigenti industriali. Un risultato importante che va sottolineato con viva soddisfazione

Tanto più guardando ai risultati positivi rispetto ai precedenti rinnovi. Il nuovo accordo, che avrà scadenza il 31 dicembre 2023, ha il merito di intervenire su tutti gli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro, offrendo un quadro di regole certamente più idoneo alla figura del manager.

Nuove basi sulle quali lavorare per rafforzare la competitività delle imprese attraverso un management competente e preparato. Un elemento sostanziale del rinnovo è il debutto delle politiche attive. Su questo fronte possiamo e vogliamo finalmente tirare le somme del progetto federale Be Manager, l’esclusivo percorso di certificazione delle competenze riservato agli iscritti Federmanager. Una iniziativa illuminata, nata quasi due anni fa, i cui numeri parlano chiaro: oltre 300 manager certificati in 4 profili professionali, di cui ben il 47% come Temporary Manager e il 40% come Innovation Manager. Il restante ha ottenuto la certificazione come export manager e manager di rete.

Quasi un terzo dei manager in cerca di nuova occupazione si è ricollocato ed il 19% del totale ha avviato nuove attività di consulenza. In più, ben 120 colleghi certificati come Innovation, sono stati inseriti nell’elenco disponibile presso il Ministero dello Sviluppo Economico, dal quale le imprese potranno attingere per avvalersi del voucher per la consulenza qualificata nei processi di trasformazione digitale che intraprenderanno.

Ed è proprio per capitalizzare l’opportunità offerta dal voucher per l’inserimento di competenze manageriali nelle PMI, che è stato avviato, lo scorso giugno, il Progetto MELANIE (Manager
Per L’Ascolto di una Nuova Industria Europea) – sostenuto da 4.Manager – che si pone l’obiettivo di certificare ulteriori 150 manager, prevalentemente inoccupati, 50 Manager di Rete, 50 Temporary, 50 Innovation Manager e 50 Manager per la Sostenibilità, il nuovo profilo delineato da Federmanager che ne certificherà le competenze sui temi relati alla Sostenibilità (Economia Circolare, Corporate Social Responsibility, Governance della sostenibilità ecc.).

Consapevoli del nostro ruolo, come organizzazione, di connettore tra impresa e mondo del lavoro ci sforziamo ogni giorno di porre in essere azioni concrete per il ricollocamento attivo sul mercato dei colleghi che hanno perso il loro posto di lavoro. Siamo convinti che investire in innovazione e valorizzare le persone continuano ad essere i capisaldi per rimanere competitivi.

Anche per questo resta alta la nostra attenzione alla formazione continua e allo sviluppo delle nuove professionalità richieste dal mercato del lavoro; in quest’ottica siamo giunti alla quarta edizione del Corso per DPO (Data Protection Officer), figura sempre più richiesta dalle aziende alla luce dell’adeguamento imposto dal GDPR (General Data Protection Regulation) entrato ormai a pieno regime anche nel nostro Paese e abbiamo organizzato, tra l’altro, Corsi formativi per Innovation Energy Manager di 1° e 2° livello volti all’acquisizione di elevate competenze sulle innovazioni normative e gestionali in campo energetico.

In tema di ricollocamento va ricordato inoltre il progetto “Open Innovation Manager” – condiviso tra Unindustria Perform, Federmanager Roma e Unindustria e finanziato da 4.Manager – che vede tra i beneficiari, 10 dirigenti inoccupati e altrettante PMI del territorio laziale. I dieci progetti sono tuttora in svolgimento ed il rapporto tra le aziende e i manager è, ad oggi, di assoluta soddisfazione.

Il rinnovo del CCNL non poteva poi trascurare temi di primaria importanza quali il Welfare e l’Assistenza Sanitaria Integrativa. In questo senso va sottolineata la volontà di valorizzare Fasi e Assidai, legittimando una reciproca collaborazione tra gli stessi per consolidare la loro posizione di leadership sul mercato e salvaguardare così il patto intergenerazionale tra Dirigenti in servizio e Dirigenti in pensione. La società IWS Industria Welfare Salute S.p.A. recentemente costituita da Federmanager, Confindustria e Fasi e presente anch’essa nel CCNL, potenzia la collaborazione tra Fasi e Assidai attraverso tre importanti progetti: la realizzazione di una nuova rete di strutture sanitarie e professionisti convenzionati d’eccellenza; una proposta di copertura integrativa Fasi-Assidai unica e innovativa da proporre alle aziende e una pratica di richiesta di rimborso unica per gli iscritti ad entrambi gli Enti.

Prioritaria nelle attività della nostra organizzazione rimane l’attenzione ai nostri colleghi in pensione. Prosegue l’attività di Federmanager e CIDA contro il blocco della perequazione e il prelievo straordinario sulle pensioni d’importo medio-alto. Importante sapere che la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti legislativi in materia.

Altro risultato importante conseguito dalla nostra Organizzazione, è la firma del rinnovo del contratto di lavoro dei servizi pubblici. Federmanager ha sottoscritto il nuovo testo che regola il rapporto di lavoro dei manager del settore pubblico aderenti a Confservizi. Il Ccnl, con una durata fino al 2021, si applica a circa 1400 manager presenti nelle 700 aziende del settore.

Tornando al nostro territorio, sempre ricco ed articolato il calendario di eventi ed attività targati Federmanager Roma. Tra questi ci piace ricordare il Protocollo d’intesa firmato tra la nostra associazione e l’UCID Lazio, per sviluppare iniziative tese a ribadire la necessità di ispirare l’operato di entrambe ad una nuova etica imprenditoriale e manageriale. Ancor più significativa, in questa specifica occasione, la presenza dei rappresentanti dei giovani delle rispettive organizzazioni. Colgo l’occasione per congratularmi con il nostro collega
Renato Fontana, riconfermato alla guida dei Giovani Federmanager anche a livello nazionale, e con tutti i giovani manager eletti in occasione del recente rinnovo del Coordinamento tra cui tre colleghi di Roma. A loro e a tutti i giovani costruttori di futuro, giunga il più caldo augurio di buon lavoro.

Troverete inoltre ampio resoconto, all’interno della rivista, delle ultime convenzioni che abbiamo siglato per sostenere le esigenze dei nostri associati. Tra gli ultimi accordi ci piace
ricordare quelli sottoscritti con il Coni Sport Lab, ampiamente illustrata con un’intervista al direttore Fabio Barchiesi, con la Luiss Business School, la scuola di formazione manageriale della Luiss Guido Carli, con la Lumsa – Libera Università Maria Santissima Assunta e con Avis Rent Car, azienda leader nel settore del noleggio auto.

Ci tengo infine a sottolineare, che il numero della rivista che vi accingete a leggere ha dedicato un’ampia sezione alle nuove frontiere “green” della nostra economia. Economia circolare, energia, riciclo e nuove tecnologie, argomenti che troverete declinati negli interventi qualificati di dirigenti e responsabili di aziende leader del settore.

Importante, per chiudere questo 2019 ripartendo di slancio nel 2020, sarà consolidare le attività della nostra Associazione, tenendo fermo il senso di appartenenza di tutti i soci. I fatti ci indicano che dobbiamo proseguire su questa strada con l’impegno e la dedizione che ci hanno portato fin qui e, sono certo, che le soddisfazioni non mancheranno.

Chi non si arrende vince

Di fronte alle difficoltà che vivono oggi i dirigenti industriali occorre compattezza della categoria e vicinanza a Federmanager Roma e alle sue battaglie

Faccio a voi associati che partecipate all’Assemblea annuale di Federmanager Roma un invito a non dimenticare chi siamo, perché ci troviamo qui tutti insieme e cosa è importante fare per il nostro futuro. La categoria dei dirigenti industriali vive senza dubbio un momento di difficoltà.

Se volessimo utilizzare una parola forte potremmo dire che siamo dei “martiri”, nel senso che i dirigenti industriali tengono in piedi il “Sistema Paese” e portano sulle proprie spalle, grazie al contributo determinante che offrono nel generare il fatturato delle aziende, il peso dell’intera macchina della pubblica amministrazione. Ma nonostante il senso di responsabilità, la determinazione e l’impegno quotidiano, mai ricevono l’attenzione e la tutela che meriterebbero.Ogni ristrutturazione aziendale, in qualsiasi tipo di realtà imprenditoriale, vede i manager quali principali bersagli. Negli ultimi mesi, anche all’interno di importanti gruppi industriali, abbiamo assistito a collettive che hanno colpito decine e decine di colleghi.

Per non parlare dei pensionati, la categoria che certamente sta subendo l’attacco più violento. Si parla di taglio delle pensioni “d’oro” in un Paese dove assistenza e previdenza sono mescolate nei conti dell’Inps, all’interno di un groviglio inestricabile rispetto al quale viene spontaneo chiedere dove sia realmente l’“oro”. Viene da chiedersi se, probabilmente, chi prende 1000 euro al mese ma non ha mai versato nulla o quasi riceve una pensione “d’oro”. Lo stesso non può dirsi per chi, per un’intera vita, ha versato regolarmente i propri contributi a totale beneficio della collettività ed oggi si trova ad essere considerato come membro di una casta privilegiata solo perché riceve indietro i suoi soldi versati negli anni. Occorre evitare che queste misure, che colpiscono in modo differenziato le nostre varie componenti, possano determinare ingiustificati conflitti all’interno della nostra categoria. Anche perché la giungla pensionistica italiana è tale che non dovremo sorprenderci se i 100 mila euro che vengono tagliati oggi, diventeranno i 90 mila di domani e gli 80 mila di dopodomani.La parola “martiri” acquista un senso se si guarda poi a quell’assurda e folle tendenza metagiuridica – perché di giuridico ha molto poco – che negli ultimi anni sta determinando una vera e propria “responsabilità oggettiva” di tipo penale del dirigente. Meccanismi burocratici per i quali, in base ad un generico e sempre più indeterminato obbligo di vigilanza, talmente esteso da non comprenderne più i confini, alla fine c’è sempre un dirigente responsabile. Infatti qualsiasi cosa succeda nella realtà deterministica esiste una persona responsabile di fatto, perché ha effettuato o omesso qualcosa, ma nella realtà giuridica ce ne sarà un altro di colpevole senza dubbio: il dirigente che non avrebbe vigilato.

Oggi la grande attenzione è per la tutela della privacy, il prossimo anno sarà un’altra e poi un’altra ancora. Finché per ogni problema si sarà predisposto un capro espiatorio nella persona di un nostro collega. Per queste ragioni diventa fondamentale rammentarci perché siamo qui. Lo siamo per difenderci da tutto questo, non solo perché è nostro interesse ma perché è cosa giusta. Viviamo un sistema che spreme le persone migliori, che ha usato ed abbandonato negli anni la nostra categoria, speculando sul nostro lavoro per poi buttarci via come carta nel cestino. Amici cari non molliamo, continuiamo a sostenere Federmanager e restiamo uniti. Non lasciamo che tutto questo ci divida. Chi non si arrende alla fine vince.

Stefano Cuzzilla: Capacità a disposizione del Paese

Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, ribadisce come Roma e la Regione Lazio debbano diventare il motore per il rilancio del Paese. Per far ripartire l’economia in Italia indispensabile è il ruolo dei manager, insieme ad una maggiore intraprendenza della politica, tutelando gli interessi delle categorie più deboli come giovani, donne e pensionati

Ad aprire i lavori dell’Assemblea annuale di Federmanager Roma, di fronte ad un foltissimo pubblico, è stato Stefano Cuzzilla, Presidente Nazionale di Ferdermanager. L’intervento ha avuto un toccante prologo: un doveroso ricordo e l’invito ad un minuto di raccoglimento per Domenico Gargano, padre di Giacomo Gargano presidente di Federmanager Roma: “una persona di enorme spessore umano, un manager capace e preparato ed un amministratore che tanto ha fatto per la città di Cassino e per l’intero basso Lazio”.

Rivendicando con orgoglio la sua romanità, Cuzzilla ha voluto comunque salutare con entusiasmo l’assegnazione delle olimpiadi invernali a Milano-Cortina. Ha ricordato come “la capitale e la regione Lazio devono rappresentare il motore per il rilancio del Paese. In questa Regione – ha precisato – vantiamo settori importanti, dal farmaceutico all’edilizia, passando per la meccanica, la logistica e i servizi. Sono realtà che vanno sostenute”.Non è mancato un plauso all’ottimo lavoro di Federmanager Roma e del suo Presidente Gargano: “Un lavoro difficile in una città complicata , terreno di scontri, di battaglie politiche, di difficoltà quotidiane, dalle manifestazioni alle metropolitane chiuse. Dobbiamo essere forti e di Giacomo ci fidiamo, una persona seria che avrà la nostra totale vicinanza oggi, domani e sempre”. Le amministrazioni pubbliche, la politica e le organizzazioni di rappresentanza di manager e imprese devono dialogare.

Stop innanzitutto alla burocrazia che “pesa il 4,6% del PIL” ed un sì convinto alle infrastrutture: “gridiamo mille volte sì alla TAV, è importante fare opere ed offrire prospettive agli imprenditori”. Le potenzialità che l’Italia offre, per posizione geografica e storia, non vanno mai dimenticate. “Nasce dunque l’imperativo del ‘fare’, dare lavoro e dare sicurezza ai nostri imprenditori”.

La classe manageriale ha in questo un’enorme responsabilità e Federmanager, ha precisato Cuzzilla, non l’ha mai negata né sottovalutata: “Per questo abbiamo deciso di lanciare Governance 2020”. Ricordiamo che si tratta di un’iniziativa che si avvale del supporto di Spencer Stuart, società leader nella consulenza in tema di Corporate Governance. Governance 2020 si sostanzia in una call ai manager iscritti alla Federazione che hanno maturato esperienze adatte a far parte degli organi amministrativi e di controllo di società quotate e delle più rilevanti società non quotate, sia pubbliche che private. “Federmanager – ha sottolineato Cuzzilla – ha accettato questa sfida, cercherà di presentare nomi dalle elevate competenze, senza fare patti con la politica finalizzati al voto”.Ma le sfide non finiscono qui. Aiutare i giovani è un’assoluta priorità: “è necessario far fruttare i sacrifici delle famiglie, non abbandonarle e far sì che i loro figli possano, qui in Italia, investire sul loro futuro”. Aiutare le donne, garantendo loro di lavorare in assoluta tranquillità “senza l’incubo di una maternità che possa far perdere il lavoro o le proprie qualifiche. Tutto questo non lo permetteremo”, sottolinea Cuzzilla, aggiungendo: “tutte le aziende che nei loro Cda vedono una forte presenza femminile hanno saputo reagire meglio alla crisi”.

Stare vicino ai pensionati: “Sono pronti, presso la CIDA, i ricorsi per tutelare chi ha lavorato una vita, ha versato i propri contributi ed ora si vede mettere in discussione diritti acquisiti. Sono persone da difendere, da tutelare, uomini e donne che hanno investito sul loro futuro, hanno aiutato i figli ed ora vedono in pericolo i loro diritti”. Sanità integrativa e previdenza sostitutiva offerte dagli enti collaterali rappresentano le best practices di Federmanager: “mettiamo le nostre capacità a disposizione del Paese”. Uguale attenzione assicura il Presidente nazionale sarà garantita a chi ha perso il proprio posto di lavoro. In questo senso, ha ricordato Cuzzilla, si stanno portando avanti progetti importanti tra i quali 4.Manager in collaborazione con Confindustria.