Cari Colleghi,
Anche questo 2023 non è stato un anno semplice per la nostra categoria. Siamo stati impegnati fino allo stremo delle forze, dentro le nostre Aziende e insieme alle nostre Aziende, per mantenere in equilibrio la base economica del Paese in una situazione complicata.
La guerra all’est ci ha tagliato le forniture di energia e materie prime a basso costo, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto delle nostre retribuzioni e alcune pessime leggi (e peggiori attuazioni) hanno fatto esplodere in modo improduttivo il costo del reddito di cittadinanza e del bonus edilizio del 110%, vanificando in gran parte i vantaggi della sospensione del patto di stabilità e del PNRR, quest’ultimo messo anche fortemente a rischio dalla confusione parossistica della sua fase attuativa.
In questa congiuntura è stato chiesto come sempre alla nostra categoria di “tenere in piedi la baracca” proprio mentre una frenesia di panico demagogico ci ha messo nel mirino come i capri espiatori di qualsiasi problema, con i consueti attacchi alle nostre retribuzioni, alle nostre pensioni e alla nostra stessa dignità, come accade giornalmente con le infami aggressioni fisiche ai nostri colleghi medici nei pronto soccorso di tutta l’Italia.
Poiché la nostra mentalità di dirigenti ci impone in ogni caso di continuare a guardare avanti e fare comunque il nostro dovere fino in fondo, è ineludibile chiedersi con quale spirito e con quale piano strategico dobbiamo affrontare il 2024. La prima cosa da fare è – a mio avviso – volgere lo sguardo alla nostra Federmanager, che costituisce al tempo stesso il baluardo difensivo e lo strumento di manovra della categoria. E guardando Federmanager il dato che salta subito agli occhi è che, purtroppo, i colleghi in servizio sono solo un terzo degli iscritti. Sono troppo pochi. È impossibile mobilitare la forza sufficiente ad essere decisivi con una partecipazione così scarsa. Tutti si dovrebbero iscrivere, ma forse siamo proprio noi colleghi impegnati che dobbiamo trovare il metodo giusto per attrarre i colleghi che sono ancora fuori da Federmanager.
Fondamentale è, quindi, trovare le parole d’ordine per mobilitare e consolidare la forza dei dirigenti industriali insieme a tutte le altre categorie di dirigenti. Io penso infatti che il contributo degli altri colleghi dirigenti di diversi comparti è totalmente essenziale per muovere compatti verso il bene comune. Parlo dei colleghi del commercio, dei colleghi bancari, dei colleghi medici e di tanti altri che non cito perché certamente ne dimenticherei qualcuno. La classe dirigente del “middle management” di questo paese deve maturare una coscienza di appartenenza comune, altrimenti non troverà mai quella forza politica di almeno un milione di italiani che è necessaria per poter fare una nostra “marcia dei quarantamila” a favore della crescita delle imprese, dell’efficienza, della parte migliore della pubblica amministrazione e del Paese nel suo complesso.
Da ultimo non bisogna sprecare l’occasione del CCNL in scadenza a fine anno e per il quale mi onoro di avere ricevuto dal Consiglio Nazionale l’incarico di rivestire il ruolo di Capo Delegazione. Incarico per il quale sento una forte motivazione e una grande responsabilità
Mentre vi scrivo, negli ultimi giorni di novembre, la piattaforma non ha ancora avuto il placet del Consiglio Nazionale e pertanto non posso entrare nel merito di un lavoro non ancora concluso. Tuttavia posso certamente elencare alcuni argomenti e punti di attenzione di cui – pur senza entrare nello specifico – a mio avviso sarà ineludibile parlare. Argomenti che, in uno sguardo di lungo respiro, ritengo siano punti di interesse comune tra noi e la Confindustria.
Per prima cosa mi riferisco ad una definizione più contemporanea, chiara e ampia della categoria del Dirigente Industriale per adattarla ai nuovi modelli del lavoro manageriale. Non penso sia interesse di nessuno che la principale cinghia di trasmissione degli obiettivi aziendali sia affidata ad un modello di dirigente ormai vecchio, sia concettualmente che anagraficamente, con tutte le conseguenze che, agli enti bilaterali previdenziali e assistenziali, possono derivare da una categoria poco numerosa e anagraficamente troppo anziana.
Poi certamente dovremo parlare di un modello retributivo che difenda il concetto di welfare, anche in funzione di protezione dalla deriva demagogica che sta spingendo il Paese fino al punto in cui i sussidi valgono economicamente più del lavoro. E se i sussidi valgono più del lavoro questa è una cosa grave. Se insieme a Confindustria non difendiamo nel CCNL i pochi sgravi che ancora rimangono sopra determinate fasce di reddito, essi saranno spazzati via in breve tempo e questo non sarebbe solo un danno economico per noi ma sarebbe anche un’ingiustizia morale per tutto il Paese.
Non valorizzare e proteggere le attuali vigenti misure di detassazione significa autorizzare i governi a farle sparire alla prossima finanziaria e non utilizzarle significa regalare queste risorse all’ennesimo sussidio a pioggia su categorie improduttive. Se puniamo il lavoro eliminando gli sgravi sul welfare delle categorie veramente produttive e finanziamo la disoccupazione tramite i sussidi, avremo bassa crescita e stipendi da fame. Al netto della demagogia questa è la verità.
Dovremo poi effettuare una presa d’atto comune del dato di fatto che tutti i vertici delle aziende – compresi gli imprenditori, i top manager e i middle manager – sono sotto attacco di una deriva aizzata da una demagogia da social media che sta spingendo il Paese nella direzione di una criminalizzazione della nostra categoria. Siamo all’assurdo che proprio la categoria che tiene in piedi la nostra traballante economia viene additata come la responsabile di qualsiasi cosa di negativo accada.
Potrei fare mille esempi, ma quello che vi ho fatto prima delle aggressioni nei pronto soccorso a danno dei nostri cari colleghi medici mi sembra riassuma perfettamente la situazione. E questo ci impatta sotto tutti i punti di vista, attraverso normative che ci fanno diventare “capri espiatori” sul piano civile e penale, attraverso una pressione fiscale esagerata per i colleghi in servizio e attraverso la costante aggressione al potere d’acquisto delle pensioni dei nostri colleghi in quiescenza. Questi sono aspetti sui quali con Confindustria dobbiamo lavorare insieme perché sono cose giuste sulle quali i nostri interessi sono totalmente coincidenti con quelli di Confindustria stessa.
E naturalmente non possiamo non parlare di un recupero del potere di acquisto che tenga conto dell’inflazione furibonda che, negli ultimi due anni, ha distrutto la serenità di tante famiglie. Considerando il sistema della BCE e delle Banche Centrali Nazionali e la loro principale mission di tutelare il valore della moneta europea, quello che è accaduto sul piano dell’inflazione è un qualcosa di eccezionale che non poteva accadere. E quindi, al pari delle misure eccezionali prese per l’epidemia di Covid-19, anche per questa epidemia di inflazione si dovranno valutare delle misure che non sarebbero state prese in assenza di un evento eccezionale.
Inutile dire che non potrà mancare un lavoro significativo in materia di inclusione e pari opportunità e ci saranno anche tanti altri aspetti da discutere. Ma certamente c’è un tempo per ogni cosa e adesso è presto per parlarne.
Ma quello che alla fine è molto chiaro è che i problemi non riguardano solo i dirigenti industriali e nemmeno soltanto l’insieme delle molte categorie dei dirigenti. I problemi riguardano tutto il ceto medio e cioè i lavoratori dipendenti retribuiti con stipendi a partire dai trentacinquemila euro. Queste sono le fasce di italiani che pur essendo grandemente minoritarie pagano più del cinquanta per cento dell’IRPEF e che non godono praticamente di nessun rilevante sgravio o sussidio, queste sono le fasce che pagano i contributi pensionistici che vengono deviati a favore di “pensioni” solo di nome che in realtà sono interventi puramente assistenziali e queste sono le fasce di reddito che, per quanto riguarda i pensionati, sono di fatto escluse dalle perequazioni con una perdita di potere di acquisto enorme. È dunque arrivato il momento che una categoria raccolga da terra la bandiera della giustizia sociale e si proponga come alfiere per riunire sotto questa bandiera il ceto medio a difesa dei propri diritti e della giustizia. E quella categoria possiamo essere noi dirigenti industriali.
Tuttavia, nella vita di un dirigente non esiste solo l’impegno sociale e aziendale. La responsabilità che portiamo non deve infatti farci dimenticare il valore essenziale delle nostre famiglie, senza le quali ci mancherebbero addirittura le fondamenta su cui sostenere lo sforzo necessario per fare il nostro dovere.
Pertanto, per le festività laiche e religiose della fine di questo anno, auguro a tutti voi e a me stesso soprattutto tanta serenità insieme alle persone care che possa servire a farci ricaricare le batterie e, soprattutto, a ricordare a ciascuno di noi quali sono le ragioni per le quali stiamo combattendo questa battaglia a favore della comunità e del Paese.
Faccio quindi a voi e ai vostri cari tanti auguri di cuore, sperando di vedervi presto a via Ravenna dove – come sempre – vi aspetto per discutere insieme dei nostri problemi.