Dimostra che sei un essere umano


Le due voci separate e ben distinte nella costruzione costituzionale, si trovano confuse, invece, nelle disposizioni di legge, nei media e anche nel linguaggio comune, parlando indistintamente di pensioni

Guarda un po’ se è questo il momento per riprendere la storia della separazione fra assistenza e previdenza! Sarà questa l’esclamazione (benevola, spero) di molti che passeranno direttamente alle pagine successive e forse anche di chi, per pura cortesia o per curiosità, avrà voglia di leggere questo pezzo che la Rivista mi propone di scrivere per il numero in uscita.

Sì, il momento è questo, rispondo. Perché l’emergenza sanitaria ha dilatato il problema e il fenomeno ha assunto una dimensione talmente grande che è impossibile non vederlo perfino se ci si mettono non due fette, ma due prosciutti interi sugli occhi.

L’emergenza, e i problemi che pone, prevede che ci sia un momento in cui si tornerà alla normalità, ma se non troviamo il modo di superarla questa emergenza, allora potremo cadere nello “stato di eccezione”.E qui la differenza è sostanziale e drammatica. Perché la prima, l’emergenza, ci fa vedere soluzioni possibili, ragionate, ordinate, modulabili secondo i tempi e le esigenze; il secondo, lo stato di eccezione, ci impone soluzioni obbligate, imposte, pressoché definitive.

Siamo dunque, nello stato di emergenza, in presenza di un fenomeno sanitario che ci dice quanto sia importante l’assistenza, al punto da rappresentare il denominatore comune di tutte le misure economiche, finanziarie e sociali di questo tempo.

E allora, vista nella sua mega-dimensione, l’assistenza merita una riflessione approfondita e un indirizzo che la ponga non come un sottoprodotto, l’ancella servente del sistema previdenziale, ma come aspetto organizzativo sociale che merita la sua dignità primaria. Perché, come si vede bene appunto durante un periodo di emergenza, l’assistenza è il front-line di tutte le situazioni difficili: di quelle quotidiane, costanti, che ritroviamo dovunque, nel mondo e in tutte le epoche e di quelle che esplodono all’improvviso e che, per la loro dimensione e per le urgenze che pongono, hanno bisogno di modalità e capacità d’intervento eccezionali, secondo circostanze, occasioni e tempi.

Il welfare italiano si basa su tre pilastri: sanità, assistenza e previdenza.

Della sanità, per la particolare connessione con molte altre prestazioni e tutele pubbliche, ne parleremo magari in altra occasione, soprattutto con riferimento alla pandemia in atto.

Parliamo, invece, degli altri due pilastri welfare: l’assistenza e la previdenza.

In materia esiste molta confusione che però si potrebbe dissipare solo se si leggesse per bene la nostra Costituzione, nella quale, all’articolo 38, troviamo addirittura uno schema che fa la distinzione.  Secondo l’articolo 38, l’assistenza vera e propria, è quella di cui si parla nel comma 1, la previdenza è quella di cui si parla, invece, nel comma 2.

L’assistenza ha un preciso obiettivo. È diretta a tutelare i soggetti in condizioni di bisogno ed è attuata direttamente dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti Locali con risorse derivanti da imposte.

Le forme di erogazioni sono diverse (economiche, prestazioni sociali) e il bisogno ha una estensione tale che va dal bisogno individuale, occasionale, a quello collettivo.

La previdenza ha tutt’altra origine e obiettivo. È originata dai contributi versati da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro durante l’attività lavorativa. Si tratta, in sostanza, di un salario “differito” e su questo si sono sprecate pagine, dichiarazioni e sentenze della Corte Costituzionale. Ora che cosa succede?

Succede che, volutamente o per mera pigrizia intellettuale, e non solo, è stata superata la trasparenza d’interpretazione e il rispetto delle origini e della modalità di erogazione delle due prestazioni. Le due voci separate e ben distinte nella costruzione costituzionale, si trovano confuse, invece, nelle disposizioni di legge, nei media e anche nel linguaggio comune.  Ovunque, ormai, si parla indistintamente di pensioni. I governi che si sono succeduti nel tempo hanno finito per trasformare molte prestazioni assistenziali in erogazioni previdenziali. La furbizia elettoralistica e populista porta consensi, perfino strumentalizzando le parole: e così si parla di pensioni per disabili, e di quelle effettuate mediante la cassa integrazione, quelle relative alla mobilità, quelle che sono integrazioni alle pensioni minime. E sicuramente vi sono altri esempi che potrebbero essere aggiunti.

E qui comincia tutta un’altra storia.

Perché dal 1989 sono stati fatti tentativi di separazione delle due prestazioni nel bilancio INPS ed è stato anche istituito una speciale gestione dei trattamenti assistenziali (GIAS) da finanziarsi a carico della fiscalità generale. Però qui l’inghippo si è ancor più aggrovigliato perché questa gestione viene utilizzata anche per talune prestazioni previdenziali, che non risultano totalmente coperte dai contributi versati.

In tempi normali i trasferimenti dalla GIAS incidono mediamente intorno al 15% sul totale della spesa complessiva però, dal 2019, siamo nello stato di emergenza e parlare di cifre è da capogiro. Per chi vuole farsi una cultura e andarsi a leggere le fonti, i dati si trovano nella “Nota Integrativa a legge di Bilancio per il Triennio 2019-2021”.

Perché diciamo questo? Perché la confusione è a monte, dove ciò che manca è la chiara classificazione della spesa per protezione sociale. È importante partire da questa analisi se si vuole pervenire all’obiettivo della ripartizione della spesa, tra pensionistica e assistenziale. Senza un esame preliminare e approfondito di tutta la materia della protezione sociale e senza una presa di posizione netta sull’esigenza della ripartizione, che auspichiamo, resteremo schiacciati dalle troppe sollecitazioni alla politica di abbassare le pensioni.  Pressioni che vengono dall’interno del nostro Paese e che vengono replicate, purtroppo, anche da Organismi internazionali che si rifanno ai dati pensionistici esposti dai nostri Enti pubblici. Dati diffusi in maniera difettosa e spesso incompleti.

Si capisce allora perché insistiamo nella richiesta di separazione fra assistenza e previdenza.

Perché se non viene separata la spesa pensionistica da quella assistenziale, che è in continua crescita, anzi nella situazione emergenziale è addirittura fuori da ogni controllo, proseguiranno gli allarmi sulle pensioni da parte degli organismi economici internazionali e le bocciature delle agenzie di rating.

Concludiamo.

La dimensione dell’assistenza, definita e pagata come pensione, è tale da far porre la base per profonde riflessioni fin da ora, mentre l’assistenza è alla base di ogni intervento di sostegno economico e sociale.

Sarà opportuno, dunque, separare le due poste del bilancio previdenziale?

Ci chiediamo, addirittura, se non sia meglio separare fisicamente, da subito, le due tipologie di gestione.

Ma, intanto, è necessario cominciare con un’analisi approfondita di tutte le prestazioni che riguardano la protezione sociale e che configurano prestazioni assistenziali. Contemporaneamente bisogna creare una banca dati di tutte le prestazioni assistenziali pubbliche, a tutti i livelli, per evitare che i soliti furbetti si infilino nel sistema per lucrare prestazioni di cui non hanno diritto. E così le risorse finanziarie saranno più cospicue e tali da intervenire nelle situazioni di maggior svantaggio, familiare e individuale. Un’assistenza, insomma, intesa come dimensione solidale collettiva, quale risulta dalla vocazione programmatica definita dalle norme costituzionali.