Dimostra che sei un essere umano


Lo scorso 3 novembre si è riunito il gruppo di lavoro di Federmanager Roma per la tutela dei diritti e degli interessi dei pensionati. Di seguito la sintesi della relazione introduttiva, dei vari interventi e della documentazione utilizzata dai partecipanti a sostegno delle loro argomentazioni.

Il gruppo di lavoro di Federmanager Roma per la tutela dei diritti e degli interessi dei pensionati si è riunito il 3 novembre scorso. L’introduzione alla discussione, svolta dallo scrivente, è stata incentrata sulle iniziative organizzative intraprese da Cida e sui ricorsi pilota (anch’essi sostenuti dalla Confederazione) promossi dinanzi alle magistrature di merito: 5 presso i tribunali ordinari e 2 presso le Corti dei conti regionali. In caso di mancato accoglimento, stando ai precedenti, il successivo passaggio è la rimessione alla Corte Costituzionale.

La riunione, anche da remoto, è proseguita con approfondimenti dei partecipanti sulle conseguenze che stanno determinando le continue misure adottate dai Governi: misure che stanno falcidiando i nostri trattamenti. Nel dibattito sono state ipotizzate possibili iniziative per contrastarle. Il presente articolo è la sintesi della relazione introduttiva, dei vari interventi e della documentazione utilizzata dai partecipanti a sostegno delle loro argomentazioni.

La situazione

I pensionati del ceto medio vedono continuamente sotto attacco i loro assegni.  Non se ne può più!  Questi pensionati sono   sfiancati da oltre vent’anni di politiche ostili. Politiche contro di loro; contro quelli che, per decenni, lavorando, hanno pagato alti contributi previdenziali e altrettante imposte, con trattenuta alla fonte: le mani nelle loro tasche ancor prima di ricevere la pensione.

Lavoratori, ora in pensione, si trovano caricati di una sequela di provvedimenti che rendono sempre più incerta la loro economia familiare. Una situazione critica che, purtroppo, non trova neppure il sostegno di un’opinione pubblica favorevole, dopo che sulle piazze e nei media sono stati additati come “privilegiati” perché percettori di “pensioni d’oro”. Un’espressione perfida che ha relegato in un clima di avversione una categoria di pensionati della classe media fatta da ex dirigenti, funzionari, quadri intermedi ecc. Una categoria sociale contro la quale, “si è tracciata una linea di demarcazione utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo: una linea che, tradotta in ‘reddito dichiarato’, è stata fissata a 35mila euro lordi l’anno. Oltre questo livello di reddito si è esclusi da tutto […]. Perché   questa parte di italiani, ormai ridottasi, sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da ‘spremere’ quando serve”. (Cfr. A. Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, “Il Punto”, 27/2/2023). In questo clima di disinteresse generale, quando non manifestamente ostile, i pensionati stanno subendo le conseguenze di vent’anni di provvedimenti che hanno tagliato i loro trattamenti e il relativo potere d’acquisto.  A seguirne l’elenco, si trovano le stratificazioni di politiche   che hanno avuto come obiettivo non tanto la costruzione di un sistema previdenziale coerente ed equilibrato, quanto, piuttosto, la ricerca di un consenso “popolare diffuso” finalizzato, per lo più, ad obbiettivi di breve termine o di carattere meramente elettoralistico. A ben guardare, sono provvedimenti che seguono un filo conduttore comune, contrassegnato, sostanzialmente, dall’assistenzialismo. Che poi, a dirla in altri termini, appare come un disegno, sia pure non dichiarato, verso il quale viene spostato l’asse del sistema previdenziale.  È la sensazione avvertita da molti nostri pensionati. Ne espongono l’andamento i partecipanti ad incontri, dibattiti, convegni che si vanno promuovendo in tutto il Paese. Descrivono il progressivo stravolgimento dell’impianto pensionistico.

Funzione redistributiva del meccanismo automatico di perequazione

La “finalità solidaristica endoprevidenziale” con la quale si pretende giustificare ogni ulteriore misura riduttiva, non regge. Perché il meccanismo standard di perequazione concordato e condiviso, a suo tempo, con le organizzazioni sindacali, ha già in sé questa funzione. Infatti differenzia la valorizzazione dei trattamenti con percentuali decrescenti inverse all’aumento degli importi. E, questo, per contribuire al contenimento della spesa pubblica e, contemporaneamente, rendere i pensionati partecipi, anche con i loro assegni, dei criteri redistributivi delle risorse. Negli anni, tutto questo è passato in secondo ordine. Il meccanismo di valorizzazione è stato sconvolto anno dopo anno. Le variabili sono affidate alle sensibilità delle forze politiche che si succedono alla guida del Paese. Dinanzi al ripetersi, anno su anno, di queste manovre, i pensionati sollevano la loro protesta. Perché sono misure non più sopportabili. Perché questi pensionati, ultra tassati, vengono anche “tosati come pecore”. Sono inermi. Sprovvisti di qualsiasi leva di opposizione. Non hanno occasioni rivendicative, non hanno contrattazioni, sono privi dello strumento democratico dello sciopero.  Resta solo la voce che qui vogliamo raccogliere nella sua espressione più sintetica ed efficace, gridata in una sola parola: Basta! Una parola che è risuonata forte nelle parole del Presidente di Federmanager/Cida Stefano Cuzzilla quando, nel Convegno di Milano, il 6 ottobre scorso, ha detto: “Oggi diciamo basta a questi interventi iniqui. Chiediamo a questo Governo di adottare provvedimenti strategici che non sottraggano altre risorse a chi ha pagato onestamente tasse e contributi in un’economia alterata e inquinata dall’evasione. Chiediamo che, nel rimettere ordine al sistema di detrazioni fiscali, non si perpetui l’errore di discriminare e penalizzare ulteriormente chi il welfare lo sostiene già in tutti i modi possibili”.

Misure riduttive applicate per decenni

Di interventi iniqui, infatti, sono caricati i pensionati di cui qui parliamo. Iniqui provvedimenti, perché continuativi, perfino in contrasto con la giurisprudenza costituzionale.  A contare solo quelli applicati in poco più degli ultimi 20 anni, di prelievi “solidaristici” i pensionati ne hanno subito ben 6 (sei) di cui uno, per 6 (sei) anni (2012-2017) solo a carico di iscritti agli ex fondi Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps. Non è bastato. A volte, contemporaneamente, sono intervenute sospensioni o modifiche in peggio del meccanismo automatico di rivalutazione delle pensioni (perequazione).  Ne abbiamo contati 7 (sette). L’ultimo, introdotto nel 2023, è quello peggiorativo in senso assoluto rispetto ai meccanismi   utilizzati dai precedenti Governi: meccanismo su 6 fasce e con valorizzazione sull’intero importo pensionistico, piuttosto che su 3 scaglioni e con valorizzazione per “fette”, come nel sistema Irpef.   In totale, nel periodo, sono stati disposti 13 (tredici) interventi depressivi sulle pensioni. E il 14mo (quattordicesimo) è in arrivo. Nella legge di Bilancio 2024, in via di approvazione, è scritto che il grado di indicizzazione dell’ultima fascia sarà ridotto di altri dieci punti rispetto al 2023.

Il “contributo” e la perequazione

Solo in maniera approssimativa le riduzioni periodiche vengono definite “contributi di solidarietà”. Perché, in realtà, andrebbero meglio classificate come delle vere e proprie imposte aggiuntive solo ed esclusivamente a carico dei pensionati.  Sebbene fuori dal perimetro dell’Irpef, operano come l’Irpef.  (Cfr. Corte dei Conti, Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica).

Diverso il discorso relativo ai blocchi o modifiche in peggio del meccanismo automatico di rivalutazione. Va considerato l’effetto sul lungo termine di questa tipologia d’intervento.  Infatti, mentre per quanto attiene al “contributo”, una volta concluso il periodo di applicazione, non superiore a tre anni, il trattamento pensionistico ritorna alla sua entità originaria, senza produrre effetti ulteriori nel tempo, nel caso di blocco temporaneo (o modificazione in peggio) del meccanismo, la valorizzazione automatica riprende sì la sua entità originaria, ma con una entità in meno.  All’importo della pensione manca l’incremento che si sarebbe prodotto se non fosse intervenuto il blocco o la modifica in peggio. L’effetto cumulato di questo mancato incremento prosegue nel tempo, con progressione geometrica; depotenzia il potere d’acquisto della pensione vita natural durante del pensionato con impatto, ovviamente, anche sui trattamenti di reversibilità. Più delle parole, vale l’esercizio descritto nel grafico: quantifica visivamente le perdite annue del potere d’acquisto di una pensione di 3.400 euro mensili lordi (circa 2.250 euro netti), rispetto alla rivalutazione con le modalità della Legge n. 388/2000. (A fine 2023 la perdita calcolata è di 46.832,78euro).

Vanno aggiunte le considerazioni della Corte Costituzionale. Spiega che l’effetto trascinamento, “rende sostanzialmente definitiva anche una perdita temporanea del potere di acquisto del trattamento di pensione, atteso che ‘le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato’” (Sentt. n.70/2015, e n.234/2020).  È un’osservazione autorevole che domanda una profonda riflessione sul nostro sistema previdenziale. Monito cui vanno collegati gli altrettanto   autorevoli rilievi del Presidente Cuzzilla esposti al Convegno di Milano del 6 ottobre.  Indicano la linea da seguire: “Vogliamo credere, con ottimismo,- ha detto– che la politica sappia scrivere una nuova storia delle pensioni coi tempi verbali coniugati al futuro. Una storia dove i capitoli non abbiano per oggetto solo misure sottrattive e redistributive ma che parlino, invece, di crescita della popolazione, di potenziamento della vita delle famiglie, di lavoro per i giovani e le donne”.

L’impegno dei pensionati

A queste parole, che sono anche sintesi di una strategia in materia previdenziale, noi pensionati non possiamo e non dobbiamo far mancare il nostro sostegno. Occorre che, a nostra volta, ci rendiamo attivi, incalzando strutture sindacali di base, comitati e, per quanto possibile, cercando alleanze con altre categorie sociali. Occorre, ben organizzati, promuovere incontri con i media, spiegando bene le ragioni del nostro scontento, documentando le ingiuste misure riduttive che continuano a colpire i nostri trattamenti. Tanto, anche a coprire, per quanto possibile, l’assordante silenzio della politica sull’argomento.