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Editoriale del Presidente: Parliamo di Sanità

Editoriale del Presidente: Parliamo di Sanità

Nel mio articolo sull’ultimo numero della nostra rivista Professione Dirigente ho ricordato come la nomina a dirigente di ciascuno sia stata importante, non solo per la carriera, ma anche per il fatto di entrare nella famiglia della previdenza e dell’assistenza sanitaria della nostra categoria professionale.

Del resto, è cosa nota che il dirigente è talmente immerso nelle problematiche aziendali che ha poco tempo per occuparsi delle proprie esigenze personali e rischia di trascurare se stesso e la propria famiglia. Quindi un aiuto in materia di previdenza e di assistenza sanitaria, specie considerando l’invecchiamento della popolazione anche dirigenziale, diventa un fattore decisivo in materia di benessere personale ed esistenziale.

In questo contesto sociale vi faccio una domanda retorica: cosa potrebbe essere meglio per ognuno di noi delle nostre casse sanitarie che non hanno fini di lucro, non fanno selezione del rischio e, soprattutto, non danno recessi? Nulla potrebbe essere meglio e, infatti, siamo pienamente consapevoli che il PREVINDAI, il FASI, l’ASSIDAI e, per quanto di competenza, PRAESIDIUM saranno sempre al nostro fianco anche quando saremo vecchi e stanchi.

Dopo quell’articolo molti colleghi mi hanno contattato esprimendomi condivisione e sostegno per quello che avevo scritto. Tanti altri mi hanno chiesto cosa si potesse fare per migliorare ancora il nostro sistema di welfare. Alcuni hanno sottolineato le criticità del sistema sanitario nazionale e come tali criticità impattino – in un modo o nell’altro – anche sulle nostre casse. Ma, soprattutto, moltissimi mi hanno chiesto di approfondire e allargare il dibattito in materia di sanità e di welfare sanitario dei dirigenti, per poter avere in tal modo più informazioni e capire bene cosa fare nelle varie situazioni che colpiscono la vita dei colleghi e delle loro famiglie.

A seguito di tutte queste sollecitazioni sono tornato con la memoria a quanto mi è spesso accaduto in questi dieci lunghi anni in cui ho ricoperto dapprima la carica di vicepresidente e poi quella di presidente di Federmanager Roma. Quante telefonate ho ricevuto dai colleghi per un aiuto o un consiglio in materia di welfare sanitario? Non potrei dire il numero esatto ma molte centinaia sicuramente. E cosa chiedevano i colleghi? In realtà nella stragrande maggioranza dei casi avevano bisogno soltanto di informazioni.

Perché, se torniamo a quello che ho detto prima, dobbiamo constatare i dirigenti non hanno, spesso, proprio il tempo materiale di occuparsi dei propri problemi personali e, quando accade qualcosa come una malattia improvvisa propria o di un proprio famigliare, si guardano intorno e si accorgono di avere bisogno subito di chiare informazioni su come procedere per attivare le tutele di FASI e ASSIDAI. Noi in Federmanager Roma abbiamo un ufficio molto efficiente che si occupa di queste problematiche sotto l’assiduo coordinamento del nostro Direttore Carlo Imperatore, un ufficio che è sempre stato un fiore all’occhiello della nostra Associazione Territoriale e – quindi – nella maggior parte dei casi io, a seguito delle richieste di aiuto dei colleghi, non ho dovuto fare altro che far telefonare a questi colleghi dirigenti da parte delle nostre valide collaboratrici che, in breve tempo, li hanno informati risolvendo i loro dubbi e – ove possibile – tutti i problemi.

Ogni volta ringraziavo in cuor mio la lungimiranza e grande capacità dei precedenti presidenti Stefano Cuzzilla, Nicola Tosto e Giacomo Gargano che, negli anni, hanno sempre curato questo straordinario presidio consegnandolo in perfetto stato di efficienza ai presidenti futuri e a tutti i colleghi. E certamente io non interromperò questa catena virtuosa e anzi, per quanto le nostre risorse ce lo consentiranno, cercherò di implementarla.

Riflettendo su questo ho pensato allora, insieme ai colleghi del Team della Comunicazione coordinati da Mauro Marchi, di dedicare la nostra Assemblea del 2023 al tema della sanità per i nostri colleghi. Un’assemblea finalizzata a ragionare insieme, tra di noi e con ospiti importanti, su come migliorare il nostro sistema, su come aiutare il Paese a migliorare il proprio sistema sanitario e anche (e direi soprattutto) su come tenere costantemente informati i colleghi sulle possibilità che il welfare esistente di Federmanager già offre loro. Opportunità che rischiano di non poter cogliere a causa del poco tempo a disposizione per i tanti impegni di lavoro.

Tutto questo anche perché non sia dimenticato e – anzi – sia sempre tenuto presente e implementato quel valore inestimabile che probabilmente noi colleghi dirigenti (me compreso) non valutiamo sufficientemente e non apprezziamo abbastanza. Il valore legato al fatto che in FASI e in ASSIDAI, così come in PREVINDAI e in PRAESIDIUM, la Governance è composta da colleghi in buona parte nominati dai nostri organismi nazionali di Federmanager e – pertanto – davanti a qualsiasi problema di salute o di sussistenza il nostro collega dirigente, magari anziano e stanco,  troverà sempre in questi Enti un collega che lo capisce e che, anche umanamente, gli è vicino e che farà di tutto, ovviamente nei limiti dei regolamenti e della legittimità, per aiutarlo, magari anche sacrificando qualcosa per se stesso.

E davvero posso garantire che trovarsi a chiedere una mano di aiuto ad un proprio collega è una cosa totalmente diversa che trovarsi a farlo nei confronti di un assicuratore che sta cercando di massimizzare gli utili della propria azienda per raggiungere gli obiettivi sfidanti che gli sono stati assegnati. Non bisogna dimenticare – infatti – che la maggior parte dei colleghi impegnati nella Federazione – me compreso – prestano la propria collaborazione a titolo gratuito, ma che lo fanno con convinzione perché ogni volta che tendono la mano a un collega pensano che un giorno anche loro potrebbero avere bisogno di aiuto e che quando questo aiuto lo chiederanno dovranno averlo precedentemente meritato.

PNRR e telemedicina: la sanità di domani

PNRR e telemedicina: la sanità di domani

La pandemia ha lasciato il Servizio Sanitario Nazionale con le ossa rotte, rendendo necessario un intervento straordinario. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dedica quindi una intera Missione, la 6, alla salute, con l’obiettivo di potenziare la capacità di prevenzione e cura del SSN a beneficio di tutti i cittadini, garantendo un accesso equo e capillare alle cure.

Le risorse che il PNRR destina alla Missione Salute ammontano a 15,63 miliardi di euro. A queste, si aggiungono 2,38 miliardi di euro dal Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari al PNRR (PNC); 1,71 miliardi di euro dal Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU); e 625 milioni di euro per il Programma Nazionale-Equità nella Salute, destinato a potenziare la salute in sette Regioni del Mezzogiorno. Il totale, dunque, supera i 20 miliardi di euro.

Gli interventi della Missione Salute del PNRR si dividono in due aree principali: ridisegnare la rete di assistenza sanitaria territoriale e digitalizzare il SSN, innovando anche il parco tecnologico ospedaliero.

Si prevede, dunque, l’acquisto di almeno 3.100 nuove grandi apparecchiature sanitarie operative; la digitalizzazione di 280 strutture ospedaliere; l’aumento di 7.700 posti letto; il rinnovamento e la ristrutturazione di 651 strutture tra Pronto Soccorso, Dipartimenti di emergenza e accettazione e strutture di supporto ospedaliero e territoriale, attraverso uno specifico piano di riorganizzazione volto ad affrontare adeguatamente le emergenze pandemiche.

Per quanto riguarda l’assistenza territoriale, invece, il progetto di riforma è stato adottato con il Dm 77/2022. Viene prevista l’apertura di 1.350 Case della Comunità, dove lavoreranno equipe multiprofessionali che assicureranno servizi diagnostici, ambulatoriali, di prevenzione, prelievi, vaccinazioni, assistenza domiciliare di base e integrazione con i servizi sociali. Saranno aperti 400 Ospedali di Comunità con 20 posti letto ciascuno, che svolgeranno una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero per evitare ricoveri ospedalieri impropri e per favorire la stabilizzazione clinica ed il recupero funzionale del paziente.

Vengono previste 600 Centrali Operative Territoriali per coordinare servizi e professionisti. Vengono rafforzati l’assistenza domiciliare, la Rete delle cure palliative e i Servizi per la salute dei minori, delle donne, delle coppie e delle famiglie.

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Insomma, nei prossimi tre anni ci saranno continue inaugurazioni di nuove strutture e nuovi macchinari. Ma chi ci lavorerà? Chi le utilizzerà? Oggi è complicatissimo garantire la copertura dei turni presso le strutture sanitarie esistenti. Non è dunque immaginabile prevedere che lo stesso numero di professionisti attualmente in servizio possa in futuro lavorare anche in queste nuove strutture.

Sarà dunque necessario avviare un piano di assunzioni straordinario per il quale, com’è ovvio, occorrono risorse a regime, che al momento non risultano facilmente reperibili. Il rischio di creare scatole vuote che non riusciranno a rinforzare l’assistenza sanitaria territoriale, allora, è dietro l’angolo.

Discorso a parte merita la telemedicina, che all’interno del PNRR copre un ruolo importante, consentendo l’erogazione di servizi e prestazioni sanitarie a distanza. Campo in rapida evoluzione, anche grazie alle conseguenze del Covid-19, consiste in consultazioni virtuali con specialisti, monitoraggi a distanza, tecnologie di realtà virtuali utili a simulare procedure mediche, intelligenza artificiale in grado di analizzare grandi volumi di dati medici per aiutare gli operatori sanitari a formulare diagnosi e raccomandazioni terapeutiche, dispositivi indossabili e app che i pazienti possono utilizzare per monitorare la propria salute, prescrizioni elettroniche e addirittura chirurgia a distanza, grazie alla quale i chirurghi possono eseguire interventi a distanza utilizzando la tecnologia robotica.

Si tratta dunque di una rivoluzione destinata a sconvolgere del tutto la pratica medica, e che pone non pochi quesiti di carattere etico e deontologico. Ma, in un Paese in cui il Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora ampiamente inutilizzato, saremo in grado di cavalcarla? 

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Sanità in allarme rosso: le ragioni della crisi

Sanità in allarme rosso: le ragioni della crisi

Il Servizio Sanitario Nazionale è in affanno. Lo testimoniano le liste d’attesa infinite per qualsiasi prestazione, i Pronto soccorso presi d’assalto, la fuga del personale sanitario verso l’estero o le strutture private, gli ospedali fatiscenti, l’insufficienza di posti letto o il deserto di medici di famiglia in tante aree del Paese.

Problemi che riguardano tutti, perché chiunque da un giorno all’altro potrebbe trovarsi a dover indossare i panni del paziente, e che tuttavia faticano a trovare uno spazio nel dibattito pubblico e, soprattutto, nell’agenda politica.

Eppure, fino a pochi anni fa buona parte del mondo invidiava il nostro sistema, che tutela la salute di tutti e, a differenza di tanti altri Paesi occidentali, garantisce l’accesso alle cure a chiunque, senza considerare il reddito, la posizione sociale o l’indirizzo di residenza. Un sistema che tuttavia ha iniziato a scricchiolare all’inizio degli anni ’90, quando l’aumento esponenziale della spesa sanitaria è diventato incompatibile con la crisi economica e i vincoli di bilancio, e che oggi si trova su un precipizio, dove basta un refolo di vento per cadere nel burrone del fallimento.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Le radici della crisi, come dicevamo, affondano negli ultimi decenni, e sono di matrice economica e sociale. E quelli che vediamo oggi non sono altro che gli effetti di un costante definanziamento del settore e dei rinomati “tagli alla sanità”.

Basti pensare che, come emerso da un’analisi condotta dal sindacato dei medici ospedalieri Federazione CIMO-FESMED, tra il 2010 ed il 2020 in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso.

 

 

Sono stati tagliati 37 mila posti letto

e, nonostante le assunzioni per far fronte al Covid-19, nelle strutture ospedaliere nel 2020 lavoravano oltre 29 mila professionisti in meno rispetto al 2010, di cui 4.311 medici.

Numeri che, a cascata, hanno comportato una riduzione drastica dell’attività sanitaria: gli accessi in Pronto soccorso risultano in calo, ma il tasso di mortalità è aumentato dell’85%; tra il 2010 e il 2019 si sono registrati 1,36 milioni di ricoveri ordinari in meno (dato che scende a -2,13 milioni nel 2020, primo anno di emergenza sanitaria). Un calo che non viene compensato – come si potrebbe immaginare – da un aumento di ricoveri di day hospital e day surgery: anch’essi infatti risultano diminuiti, rispetto al 2010, di 1,27 milioni nel 2019 e di 1,73 milioni nel 2020.

Sul territorio la situazione è altrettanto critica, considerato che quasi 3 milioni di italiani sono attualmente senza medico di famiglia e che nel 2020 sono state erogate 282,8 milioni di prestazioni in meno rispetto a dieci anni prima: -19% di indagini di laboratorio, -30% di attività di radiologia diagnostica e -32% di attività clinica ambulatoriale.

Venendo ai dati economici, secondo la Fondazione GIMBE l’Italia risulta tra i Paesi europei che investono meno in sanità: la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è ben al di sotto della media OCSE ($ 3.052 vs $ 3.488) e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità, con un gap dai $ 285 della Repubblica Ceca ai $ 3.299 della Germania.

Il confronto con i paesi del G7 è invece impietoso, poiché dal 2008 siamo fanalino di coda con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili.

E il futuro, stando all’ultimo Documento di Economia e Finanza adottato dal Governo Meloni lo scorso aprile, non appare roseo: il rapporto spesa sanitaria-PIL scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, un valore inferiore a quello del 2019 (6,4%), confermando che dalla pandemia non è stato tratto alcun insegnamento. Inoltre, l’invecchiamento costante della popolazione, ed il relativo prevedibile aumento della domanda di prestazioni sanitarie, pone domande rilevanti sulla sostenibilità del sistema, a cui risulta complesso rispondere.

In questo panorama trova, com’è ovvio, terreno fertile la sanità privata: la spesa sostenuta dalle famiglie per curarsi è in costante aumento, e nel 2021 ha superato i 37 miliardi, registrando un incremento del 20,7% rispetto all’anno precedente. Il ruolo della sanità privata, dunque, risulta ogni giorno più centrale per superare le difficoltà che il Servizio sanitario nazionale sta affrontando e facilitare ai pazienti l’accesso alle cure. Tuttavia, il privato non può che integrare la sanità pubblica, che deve continuare a garantire l’assistenza sanitaria anche a chi non ha un’assicurazione o non può permettersi il pagamento di una prestazione.

È necessario, in altre parole, che la sanità pubblica e privata lavorino in maniera sinergica per superare le disomogeneità dell’attuale impianto. Bisogna riconoscere il ruolo determinante svolto dai Fondi di assistenza sanitaria integrativa al fine di garantire la qualità delle prestazioni ed intercettare il cosiddetto “out of pocket”, ovvero la spesa sostenuta dal cittadino. Tenendo sempre ben presente la necessità di rendere davvero equo, accessibile e universale il diritto alla cura.

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Crisi nei Pronto Soccorso

Crisi nei Pronto Soccorso

Periodicamente vengono pubblicate le immagini di decine di pazienti ammassati su barelle di fortuna, in condizioni non dignitose, che attendono per giorni di essere ricoverati, mentre in sala d’attesa decine di persone con codici minori trascorrono giornate intere prima di essere visitate.

L’origine del problema è sempre la stessa: tra il 2010 ed il 2020 sono stati chiusi 103 Pronto soccorso. Quelli rimasti aperti, dunque, devono gestire un bacino di utenza più ampio. La chiusura dei Pronto soccorso tuttavia non è sempre un dato negativo: se gli accessi ad una struttura sono troppo bassi diventa complicato garantire la sicurezza delle cure, quindi in alcuni casi è meglio chiudere una struttura che drena inutilmente risorse economiche e professionali per rafforzare l’assistenza territoriale e ospedaliera.

La chiusura dei Pronto soccorso negli anni, però, non è stata accompagnata da una contestuale riforma del territorio, per cui i Ps in molti casi continuano ad essere l’unica porta di ingresso alla sanità che rimane aperta ogni giorno, 24 ore al giorno, in cui, nonostante le attese, alla fine si ottiene comunque una risposta al proprio bisogno di salute.

Il tutto viene ovviamente peggiorato dalle lunghe liste d’attesa: se si ha mal di schiena e la prima visita ortopedica disponibile in ospedale è tra 7 mesi, in assenza di un’assicurazione sanitaria o di disponibilità economiche per pagare una visita privata si andrà in Pronto soccorso, dove dopo diverse ore di attesa si otterrà sicuramente una lastra e una diagnosi.

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Una delle cause dell’affollamento dei Pronto soccorso è anche questa: gli accessi inappropriati di pazienti con codice bianco o verde che, non trovando altri modi per essere visitati perché il medico di famiglia, la guardia medica o l’ambulatorio non sono adeguati, vanno nelle strutture di Emergenza-Urgenza. Queste ultime, tuttavia, come evidenziato dal nome stesso, dovrebbero essere dedicate esclusivamente a problemi di salute gravi ed urgenti.

Le lunghe attese sulle barelle, poi, sono legate ai tagli ai posti letto nei reparti, che hanno diminuito le possibilità di ricoverare i pazienti. In attesa che si liberi un posto letto, allora, si è costretti ad aspettare per giorni in stanzoni e in corridoi che assomigliano a veri e propri gironi danteschi.

A tutto questo si aggiunge la carenza di personale sanitario, che risulta ancor più grave proprio nei Pronto soccorso: si stima che in Italia, per far fronte ai carichi di lavoro attuali, servirebbero almeno 4.200 medici di Ps in più.

Ma in Pronto soccorso non vuole lavorare più nessuno: i turni sono insostenibili, le possibilità di carriera nulle, il tempo da dedicare alla vita privata e familiare inesistente, gli stipendi inadeguati rispetto alle responsabilità che si assumono.

E allora i concorsi banditi dalle aziende vanno deserti, la metà delle borse di specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza non vengono assegnate perché non scelte dai giovani medici e la fuga dei dipendenti è dirompente: nel 2022 se ne sono dimessi 100 al mese, e buona parte di questi non è stato sostituito.

Per chi rimane, allora, il carico di lavoro aumenta notevolmente, il numero di pazienti da trattare è sempre maggiore e il tempo da dedicare loro ridotto al lumicino, rischiando quotidianamente aggressioni verbali e fisiche di pazienti e familiari stremati. Tutto questo non fa che incentivare la fuga, dando vita ad un circolo vizioso che va necessariamente interrotto.

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Editoriale del Presidente: La Sanità per i dirigenti industriali

Editoriale del Presidente: La Sanità per i dirigenti industriali

La nomina a dirigente di ciascuno di noi non è stata importante solo per il ruolo organizzativo o per la retribuzione ma anche per il fatto di entrare nella famiglia della previdenza e dell’assistenza sanitaria della nostra nuova categoria professionale. Infatti, quel giorno nel quale ci siamo trovati, davanti a un collega della Direzione delle Risorse Umane, a firmare una piccola montagna di fogli di carta che sancivano quell’importante momento di passaggio nella nostra vita lavorativa, abbiamo anche sottoscritto dei documenti di adesione per gli Enti Previdenziali e di Assistenza Sanitaria dei dirigenti, tra i più importanti dei quali sappiamo bene che ci sono il FASI, il PREVINDAI e l’ASSIDAI.

Negli anni molti colleghi mi hanno detto che in quel momento sono stati quasi più contenti per l’opportunità di aderire agli Enti piuttosto che per l’aumento di stipendio e per il ruolo conseguito. Quale il motivo di questo approccio apparentemente sorprendente? Ma forse non devo spiegarlo a voi. Credo che sia infatti nozione comune che le nostre casse sanitarie non hanno fini di lucro, non fanno selezione del rischio e, soprattutto, non danno recessi.

Quindi qualsiasi dirigente è consapevole che il FASI e l’ASSIDAI non lo “butteranno mai fuori” e saranno al suo fianco anche quando sarà vecchio e stanco. Inoltre, c’è un valore inestimabile che probabilmente nemmeno tutti i nostri colleghi valutano sufficientemente. In FASI e in ASSIDAI la Governance è fatta da colleghi in buona parte nominati dai nostri organismi nazionali di Federmanager e, quindi, davanti a qualsiasi problema il dirigente, magari anziano e stanco, che si trovi ad avere un deficit di salute, troverà sempre in FASI in ASSIDAI e in PREVINDAI un collega che lo capisce e che, anche umanamente, ha spirito fraterno di colleganza nei suoi confronti. E una cosa è trovarsi a chiedere una mano di aiuto ad un proprio collega mentre tutt’altra cosa è trovarsi a farlo nei confronti di un assicuratore che sta cercando di massimizzare gli utili della propria azienda.

Al riguardo vi racconto un piccolo aneddoto. Tanti anni fa quando ero membro della RSA di un importante Gruppo nazionale, alcuni colleghi mi dicevano di avere qualche problema tecnico nel richiedere i rimborsi del FASI. Quindi un giorno, in una nostra assemblea interna, io proposi ai presenti che mi fosse dato il mandato di andare a chiedere, a nome di tutti, un appuntamento al Presidente del FASI per cercare di farci dare una mano su tali problematiche. Qualcuno dei colleghi mi disse che il FASI era un gigante e che le mie richieste sarebbero state ignorate. Ma io insistetti che volevo provare lo stesso e, alla fine, ricevetti l’imprimatur dell’assemblea. Dunque, chiesi un appuntamento che mi venne dato molto facilmente e, dopo pochi giorni, conobbi il Presidente del FASI che altri non era se non il nostro Presidente Nazionale Stefano Cuzzilla che da quel giorno è diventato un mio amico anche sul piano personale.

Stefano, infatti, si mise subito a nostra disposizione e mandò un Dirigente FASI a fare un rapido corso di formazione ad un dipendente della nostra Amministrazione Dirigenti che – da quel momento in poi – fu in grado di risolvere tutti i problemi dei nostri colleghi. E poco tempo dopo Stefano Cuzzilla venne addirittura a presenziare alla nostra assemblea interna e gli presentammo l’Amministratore Delegato. Insomma, venne dimostrato che il FASI ci era vicino nella persona del suo Presidente perché lui era un nostro collega. Questo servizio interno di assistenza ai colleghi nella richiesta delle prestazioni FASI e ASSIDAI esiste tutt’ora in quell’azienda e i colleghi giovani nemmeno sanno che tutto nacque da una mia iniziativa e dalla disponibilità del Presidente Cuzzilla. Questo episodio lo considero un po’ il simbolo di come nei nostri Enti Sanitari e Previdenziali emerga come un grande valore il fatto che tali Enti sono gestiti da colleghi.

Inoltre, i nostri enti sanitari hanno un altissimo valore sociale per il Paese perché grazie al nostro impegno mutuo sgravano il Servizio Sanitario Nazionale da un certo volume di impegni. Qualche anno orsono una figura politica molto importante in campo sanitario in un governo dell’epoca ci disse che questo contributo di FASI e ASSIDAI era molto apprezzato dal governo perché il Servizio Sanitario Nazionale generalista soffriva la costante insufficienza di risorse.

Purtroppo questo apprezzamento, che deriva dalla semplice constatazione di un dato di fatto, non si è mai concretizzato nei vari governi di qualsiasi orientamento nell’adozione di misure recanti consistenti sgravi fiscali per i nostri Enti, come sarebbe stato meritato e equo nei nostri confronti ma anche vantaggioso per il Paese, in quanto avrebbe dato luogo ad un ulteriore aumento delle attività delle coperture private con alleggerimento aggiuntivo per il SSN certamente superiore ai volumi degli sgravi concessi.

Invece, malauguratamente, i volumi economici versati dai colleghi per le nostre casse sanitarie e previdenziali sono spesso stati considerati in maniera erronea come delle opportunità per imposizioni aggiuntive o anticipate, con il risultato di scoraggiarne l’utilizzo.

Per quanto riguarda la previdenza è nozione comune che l’insufficienza degli sgravi e il pagamento anticipato delle imposte su importi che il dirigente è destinato a vedersi corrispondere dopo dieci o addirittura venti anni, ha addirittura scoraggiato svariati colleghi dall’accettare misure convenienti di previdenza integrativa, che le aziende erano disposte ad offrire, per il motivo paradossale che il pagamento anticipato delle imposte sulla previdenza aggiuntiva marginale avrebbe abbassato troppo il salario mensile corrente.

Considerando le inevitabili difficoltà dell’INPS generate dal pensionamento delle classi ad alta natalità degli anni Sessanta, unitamente all’invecchiamento della popolazione e, soprattutto, alla mancata separazione della previdenza dall’assistenza, lo Stato dovrebbe – tutto al contrario – favorire con sgravi fiscali particolarmente robusti queste disponibilità di privati a surrogare in parte ma in modo generoso il sistema previdenziale. Ma io sono confidente che il governo in carica provvederà in tal senso.

Per tutti questi motivi che vanno a beneficio sia della nostra categoria che di tutto il resto del Paese noi dirigenti industriali dobbiamo impegnarci al massimo per salvaguardare e fare crescere i nostri enti previdenziali e di assistenza sanitaria, facendo capire in ogni sede ai decisori istituzionali che devono condividere con noi questa missione nel superiore interesse del bene comune non solo dei dirigenti ma di tutto il Paese.

È questione di benessere

È questione di benessere

Decifrare le richieste che emergono dal mondo del lavoro per far stare bene le persone, in ufficio come nella vita privata. Ne va della crescita sostenibile del Paese

2023, un anno apparentemente interlocutorio, ma nei fatti decisivo.

Partito, infatti, sotto gli auspici che il Pil nazionale risenta degli effetti delle crisi in misura un po’ più lieve rispetto ad alcune previsioni del 2022, si affaccia alla primavera con l’obiettivo di stimolare la ripresa, attraverso le missioni del Pnrr, certamente, ma anche in forza di un rilanciato protagonismo del sistema produttivo.

A cominciare dall’articolata fase di trattative che prenderà il via quest’anno per il rinnovo del Ccnl nazionale, che interessa la categoria di dirigenti da noi rappresentata. Parliamo del nostro documento-guida, che dovrà riflettere e interpretare le diverse istanze dettate oggi dalla “nuova normalità” delineata dalla gestione dell’emergenza pandemica.

Il Paese ha dovuto, in tempi rapidissimi e laddove possibile, riconvertire le attività professionali in diverse forme di lavoro a distanza, non sempre qualificabili come smart working, ed è cresciuta l’attenzione verso un fattore considerato, ancor più oggi, imprescindibile: il benessere del lavoratore, dentro e fuori il luogo di lavoro.

È quanto emerge da una qualificata indagine che abbiamo recentemente condotto con il Fasi, Fondo di assistenza sanitaria integrativa per i dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi.

Gli oltre 2.900 manager intervistati hanno rilevato, nell’ultimo triennio, innovazioni aziendali che, per il 71% dei casi, riguardano benefici verso i dipendenti.

Benefici determinati dall’adozione di modelli organizzativi nuovi, che guardano a quella visione di agile management da noi convintamente promossa.

È questa la via per generare quel “benessere organizzativo” da porre a fondamento di una crescita aziendale sostenibile e che per i manager intervistati dipende, in un range da 1 a 10, da alcuni fattori precisi: stile di leadership (8,5), welfare aziendale (7,5), modello organizzativo adottato (7,4) e senso attribuito al proprio lavoro, inteso anche come utilità sociale e condivisione dei valori aziendali (7).

La lungimiranza è da sempre uno dei tratti distintivi della nostra categoria e un dato, in particolare, lo dimostra: per i manager è infatti pari addirittura a 8,2 il valore da attribuire alla presenza di coperture sanitarie, previdenziali, assicurative quali componenti del benessere lavorativo.

Perché il lavoro è una parte fondamentale della vita, ma oltre a essere sicuro deve sapere dare sicurezze. E deve inoltre essere armonizzato con ciò che, con una certa superficialità, viene troppo spesso definito “il resto della vita”.

Ebbene, quel “resto” sono i pilastri della nostra esistenza, come segnalano fenomeni allarmanti quali le, ormai note, “Grandi dimissioni”.

Il lavoro sta cambiando e noi sapremo guidare il cambiamento.

Editoriale del Presidente

Ci siamo. Ci ritroviamo dopo un’estate per certi versi unica: una ripresa dopo la pausa estiva, ma di fatto il riavvio post lockdown.

Siamo in piena fase di ripartenza, tanto urgente quanto necessaria, a dispetto di una situazione sanitaria ancora delicata per l’andamento poco rassicurante dei contagi. Un momento storico che richiede il massimo sforzo per ripartire, pur tenendo conto dei nuovi stili di vita imposti dal virus.

Di fronte alla gravità della situazione, è il momento dell’assunzione di responsabilità, da parte di tutti, a livello individuale e personale ma anche, se non soprattutto, come Associazione di categoria. I quasi 10.000 manager iscritti alla nostra Associazione rappresentano un patrimonio umano e professionale, un grande orgoglio per la nostra organizzazione e nel contempo una fortissima responsabilità. I numeri continuano a premiarci: l’azione svolta all’interno e all’esterno della nostra organizzazione ha portato ad un notevole incremento, nonostante le pesanti defezioni fisiologiche dovute a questioni anagrafiche, a perdite di qualifica e trasferimenti di sede. Peraltro, i primi mesi di questo difficile 2020 confermano il trend di crescita.

Ripartiamo quindi da noi e da quello che abbiamo sempre fatto. Come è noto Federmanager Roma non si è mai fermata, lavorando in smartworking e portando avanti, senza soluzione di continuità, il lavoro di tutela e assistenza dei propri associati.

Abbiamo seguito con costante impegno i progetti sul nostro tavolo, a cominciare dal progetto di politiche attive “Smart Energy per PMI” finanziato da 4Manager, che è entrato nella sua fase operativa e avremo modo, nei prossimi numeri, di raccontarne l’evoluzione che ci auguriamo possa essere ancor più positiva rispetto al più che soddisfacente progetto “Open Innovation Manager” di cui leggerete nelle pagine più avanti.

Continua poi a confermarsi un prodotto eccellente in tema di Formazione e Politiche attive “BeManager”, il nostro percorso di Certificazione delle Competenze Manageriali volto ad offrire alle aziende, e in particolare alle PMI, professionalità certificate indispensabili per affrontare il difficile cambiamento che ci attende. “BeManager” ha ottenuto il riconoscimento formale dell’Ente italiano di accreditamento, Accredia, che ha conferito al Disciplinare tecnico utilizzato da Federmanager e da Rina Services, Ente terzo di certificazione, l’importante valutazione di conformità a tutti i requisiti di legge previsti per il settore di attività.

Altra conferma importante riguarda il settore Salute, da sempre prioritario per la nostra organizzazione. Come noto dai primi mesi del corrente anno il caricamento delle richieste di prestazione on line da parte degli iscritti Fasi e Assidai viene effettuato attraverso il portale IWS – Industria Welfare Servizi SPA.

Federmanager Roma tiene inoltre sempre alta l’attenzione sulla questione delle pensioni.  Stiamo aspettando a breve la decisione della Corte Costituzionale che per la metà del mese di ottobre dovrebbe pronunciarsi sul famoso ricorso presentato contro il taglio delle pensioni medio-alte. Nell’attesa continueremo comunque a vigilare affinché vengano fatti tutti i passi necessari per opporsi ad una operazione che penalizza fortemente chi ha versato somme ingenti per tutta la vita lavorativa e che per questo, appare profondamente ingiusta e, per molti, anticostituzionale.

Ripartiamo quindi da noi e soprattutto ripartiamo dalla centralità del nostro territorio come fulcro della ripresa.

Le eccellenze della nostra regione diventano sempre più un bene da tutelare e da divulgare, un punto da cui partire per costruire insieme una nuova prospettiva di sviluppo. E lo spieghiamo bene nelle pagine di questa rivista raccontando di ben tre realtà che, in maniera oltretutto sinergica, si stanno distinguendo per  l’impegno in prima linea nella lotta contro il coronavirus: l’istituto di malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, fulcro della lotta al virus, l’IRBM di Pomezia, il meglio della tecnologia biomedica distribuita in  22 mila metri quadrati di laboratori, dove si sta lavorando su uno dei vaccini anti-Covid e lo stabilimento Catalent di Anagni che si occuperà dell’infialamento di circa 400 milioni di dosi, non appena ottenuta l’autorizzazione dalle agenzie regolatorie e sempre che la sperimentazione confermi l’esito positivo del percorso avviato.

D’altronde, come spesso succede in momenti di crisi epocali, anche gli effetti di questa pandemia, seppure devastanti, possono rappresentare uno snodo importante, un’occasione di cambiamento che, se ben governati, possono offrire nuove opportunità e nuove prospettive.  È indubbio che il nostro territorio sta giocando un ruolo fondamentale in questa battaglia grazie all’impegno e alla competenza di vere e proprie eccellenze nel settore.  

Non solo. Nei prossimi anni l’Unione europea metterà a disposizione dei Paesi membri un ammontare di risorse mai sperimentato prima grazie anche al “Recovery and Resilience Facility”, meglio noto come “Recovery Fund”.

Tuttavia, il pericolo che questi fondi non vengano utilizzati al meglio, che si imbriglino nelle maglie della burocrazia o che, peggio, vengano sprecati per mancanza di visione è una preoccupazione reale, un pericolo da scongiurare, senza contare che una buona parte andranno comunque restituiti. Motivo in più affinché le competenze della dirigenza vengano coinvolte nell’intero processo di ripartenza, fin d’ora, nella redazione del piano programmatico di riforme strutturali su cui il Governo sta lavorando ma anche, e soprattutto, nelle fasi concrete di applicazione degli interventi che da lì scaturiranno. Siamo sempre più convinti che il management possa offrire al nostro paese un bagaglio di competenze e professionalità che, in questo momento, diventa imprescindibile.

Con una corretta gestione dei fondi europei e certezza sulla destinazione delle risorse, sarà possibile dare un segnale concreto per la ripresa economica del nostro Paese.

Oltretutto, le risorse del Recovery Fund sembra che possano concorrere anche alla riduzione del cuneo fiscale.  La Commissione Europea pare non sia contraria ad usare il denaro del Fondo per alleggerire la pressione fiscale in Paesi dove questa è molto elevata, come appunto l’Italia.

In questo complesso quadro, la nostra Organizzazione intende continuare, con convinzione, a dare il proprio apporto ad una progettualità oggi indispensabile. Un primo passo è stato quello di partecipare nel mese di luglio, come associazione di categoria, al sondaggio lanciato da LazioLab – la cabina di regia tecnico-politica della Regione Lazio – per capire come meglio investire queste risorse. Un contributo doveroso partendo dal presupposto che la dirigenza, per la centralità della propria funzione, possa e debba avere molto da dire, e da dare, per la rifondazione dell’economia e della società.

Appare evidente quindi che sia questo il momento di spingere su provvedimenti oggettivamente urgenti e non più rinviabili: l’alleggerimento delle tasse sul lavoro e sulle imprese; la drastica semplificazione burocratica; il taglio delle spese improduttive; la valorizzazione del nostro patrimonio storico e culturale dove Turismo e Cultura, pilastri della nostra economia, rischiano di sgretolarsi, con enorme perdita di occupati.  Fondamentale sarà una rinnovata attenzione alla scuola e alla promozione della ricerca; maggiori incentivi all’innovazione tecnologica, all’internazionalizzazione delle imprese e all’inserimento di figure manageriali nelle Piccole e Medie Imprese che sono il tessuto connettivo del nostro territorio e rappresentano il 92% delle imprese attive sul territorio.

D’altra parte, come Federmanager Roma, abbiamo da sempre sostenuto la necessità di una programmazione per superare la crisi che vivono Roma e il Lazio, con un preoccupante stallo progettuale e di pianificazione. Il nostro contributo si è reso evidente nella elaborazione dello studio “Le prospettive di Roma capitale alla luce delle tendenze in atto”, in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, che concentra l’attenzione sul futuro, al 2030, e le aspettative nei settori della mobilità, sanità, fabbisogno abitativo, fabbisogno edilizio scolastico ed evoluzione economica di Roma e dell’intera sua provincia.

Il prossimo 29 ottobre, come già comunicato, terremo la nostra Assemblea Annuale. All’interno del numero troverete l’inserto di convocazione e tutte le informazioni nel dettaglio. Aggiungo che quest’anno abbiamo scelto, per questioni di opportunità legate al momento che stiamo vivendo, di limitare i lavori dell’Assemblea alla parte privata, strettamente riservata ai soci e agli adempimenti statutari di approvazione del Bilancio.

Concludo augurando a tutti voi una buona ripresa dopo un’estate difficile come difficile si prospetta l’autunno ormai alle porte. Abbiamo davanti un orizzonte carico di incognite ma sono fiducioso che sapremo affrontare anche questa prova e che ognuno di noi troverà le giuste motivazioni per superare il momento critico che ci accomuna.

 

Welfare, l’esperienza del presente per riprogrammare il futuro

Welfare, l’esperienza del presente per riprogrammare il futuro

Il dopo Covid-19 per riconsiderare il welfare come fattore macroeconomico aziendale e strumento d’integrazione che libera risorse pubbliche

Lo sviluppo del welfare è riconducibile alla favorevole evoluzione della normativa fiscale, al protagonismo delle parti sociali, che ne hanno potenziato la portata nei diversi rinnovi dei CCNL, ed al crescente interesse di tante aziende, socialmente responsabili, che hanno recepito lo strumento come infrastruttura di cambiamento della produzione e del benessere organizzativo.

Per tipologia, potremmo fare una macro distinzione tra benefit, quando l’azienda offre strumenti finalizzati alla protezione del futuro tenore di vita, o della protezione del patrimonio o della salute della famiglia (si tratta di servizi di natura previdenziale e assistenziale), mentre si dovrebbe parlare di perquisites quando l’azienda offre beni e servizi di cui il dipendente può avvalersi immediatamente come i flexible benefit.

Fonti di finanziamento e fiscalità

  • Contributo obbligatorio per l’azienda con ammontare definito, previsto dal CCNL.
  • Conversione del valore del premio di risultato in acquisto di beni e servizi a seguito accordo sindacale e/o regolamento
  • Contributo unilaterale a discrezione dell’azienda che ne definisce modalità ed importo.

Le prestazioni più richieste

Dipende dalle dimensioni aziendali, per esempio, nelle imprese medio-grandi, la sanità integrativa e la previdenza complementare sono le prestazioni più richieste, a seguire nelle altre beni e servizi in convenzione, istruzione ed infanzia, cultura e tempo libero trasporti ed infine, purtroppo, ancora sotto-assicurati, rimane l’assistenza ai familiari anziani ed ai non autosufficienti.

Il mercato del welfare sanitario

La spesa sanitaria in Italia è valutata in 160 mld di Euro di cui 40 mld circa di spesa privata out of pocket a carico delle famiglie. Solo 5 mld di Euro sono intermediati da fondi sanitari integrativi di natura contrattuale, casse di assistenza sanitaria, società di mutuo soccorso, compagnie di assicurazione (polizze collettive ed individuali) ed infine, da tutti gli enti e banche che operano nel settore della sanità integrativa.

Ora, nel mercato del welfare aziendale stanno operando nuovi player, i cosiddetti provider, ai quali va riconosciuta la capacità di aver stimolato e semplificato, attraverso piattaforme digitali, l’intermediazione dell’offerta e della domanda dei piani di welfare, superando le difficoltà di fruibilità dei benefit che ne limitavano l’adozione da parte delle PMI per via della ridotta dimensione e capacità di spesa .

Questi ultimi gestiscono un valore del budget di welfare annuale di circa 750 mln di Euro interessando due milioni di dipendenti di 5.000 aziende che diventano 15.000 se si considerano quelle che hanno acquistato i voucher.

Anche se si tratta di un mercato con offerte di prestazioni a bassa-media priorità a connotazione più ludico-ricreativa e di consumo immediato per beneficiari più giovani, la repentina crescita di tali soggetti stimola a nuove riflessioni prospettiche sul futuro ruolo dei corpi intermedi e reti multi-attore che operano nell’ambito del secondo welfare.

In un mercato così animato, l’ingresso di un nuovo provider come IWS, di derivazione bilaterale (FedermanagerConfindustria) è stata la scelta più appropriata per dare qualità all’offerta dei prodotti e dei servizi sanitari erogati dai fondi FasiAssidaiInfatti IWS si presenta nel mercato della sanità, di cui conosce perfettamente la catena del valore, con le skill giuste e con strumenti innovativi quali una piattaforma digitale dedicata e con una rete di welfare manager, conoscitori del mercato della sanità integrativa di origine contrattuale, per svolgere sul territorio e nell’interesse del management industriale   attività di welfare counseling e di ascolto diretto dei reali nuovi bisogni di protezione.

Correlazione tra conoscenza ed utilizzo del welfare

Al fine di assumere iniziative di upgrading del sistema, è utile analizzare la stretta correlazione tra la conoscenza approfondita di norme ed incentivi fiscali dei flexible benefit e tra l’ampiezza del tasso di iniziative del welfare aziendale da parte delle imprese; il successo dei provider su menzionati, con le reti commerciali ed i portali digitali di cui dispongono, sono in grado di influenzare le scelte verso fringe benefit ludico-ricreativi, anziché verso benefit come sanità e previdenza di maggiore rilevanza sociale.

Anche le compagnie di assicurazione ed i broker generalisti, già presenti nelle aziende nella gestione integrata dei rischi d’impresa, da qualche tempo, stanno focalizzandosi sul rischio sanitario e previdenziale delle persone divenendo di fatto concorrenti dei fondi contrattuali.

Il Dopo Covid-19

La crisi sanitaria in corso, oltre ai disastri, ci ha riservato la sorpresa di aver accelerato, il processo di digitalizzazione nelle aziende come lo smart working che stentava a decollare e di avere favorito una nuova presa di coscienza collettiva verso forme di protezione e di tutele di welfare all’interno del quale, la sicurezza sanitaria, previdenza e qualità di vita-lavoro cominciano ad essere considerati sempre più come temi di relazioni industriali e fattori abilitanti di sviluppo economico anziché mera lista di benefit di pronto consumo.

L’inaspettata massiccia adesione delle aziende alle polizze anti coronavirus va in tale direzione.

L’affermarsi delle forme cosiddette di “nuovo welfare” ossia dei flexible benefit, significa che una buona parte dei dipendenti preferiscono forme di welfare flessibili e di immediata fruibilità e che quindi serve un maggior coinvolgimento e sensibilizzazione dei decisori aziendali e dei beneficiari attraverso azioni di comunicazione mirate sul territorio che valorizzino il contenuto sociale del welfare di tipo sanitario, previdenziale e di sostegno al reddito. Le due forme di welfare possono comunque convivere e non sono concorrenti tra loro poiché nella maggior parte dei casi provengono da fonti di finanziamento diverse, fisse le prime derivanti dalla contrattazione collettiva aziendale o da liberalità, flessibili le altre derivanti dalle componenti della retribuzione premiale e variabile.

I welfare manager di Praesidium hanno il compito di relazionarsi quotidianamente con l’HR management per far capire che l’assistenza sanitaria integrativa -contrattuale è un patrimonio acquisito, grazie all’azione delle parti sociali, che salvaguardarla   e che mal si adatta a forme di flessibilità o di convenienze economiche di mercato, quasi sempre virtuali, che incrinano il principio di solidarietà intergenerazionale insito nei CCNL.

Per ciò è necessaria una nuova narrazione del welfare aziendale auspicabilmente sostenuta e promossa da una nuova cultura dell’HR management improntata sulla logica del valore condiviso del benessere organizzativo, su un migliore equilibrio di vita privata e lavorativa e su una maggiore assistenza sanitaria per contrastare quelle fragilità socio-economiche delle popolazioni più anziane e che rischiano di non essere curate per scelte anagrafiche discriminanti.

Occorre ridisegnare nuovi contorni di connessione tra sanità pubblica e sanità integrativa che concorrano, da una parte, alla produzione di benessere attraverso maggiori grandi misure strutturali digitalizzate che assicurino più sicurezza, più prevenzione e più equità verso coloro che la sostengono con il pagamento delle tasse e, dall’altra, come valore integrante di protezione non più intesa come dimensione individuale ma come valore collettivo ed elemento primario del lavoro e della produzione con l’importante funzione di prevenzione e monitoraggio della salute di chi produce.

In tale nuovo scenario di rafforzamento del ruolo della sanita integrativa forse sarà utile inserire anche nuove forme di defiscalizzazione differenziate per prestazioni erogate che tengano conto anche dei “carichi sociali” e del livello minimo di benessere che si vuole assicurare al nucleo familiare del dipendente, oggi assai diverso per composizione, ed uniformare la decontribuzione, oggi paradossalmente discriminata tra i benefits sanitari e previdenziali con un contributo di solidarietà del 10% a carico dei datori di lavoro, con la decontribuzione totale prevista per le altre forme di welfare come quelle ludico ricreative di minore rilevanza sociale.

Il dopo Covid può aiutarci a declinare definitivamente il valore del welfare state e welfare integrativo come elementi essenziali di una grande necessaria trasformazione socio-economica della società, che va oltre il puro vantaggio fiscale ed in grado di rispondere ai nuovi bisogni di protezione, in un quadro unitario delle ragioni della produttività con quelle della redistribuzione del valore creato da una moderna impresa. Se non ora, quando?

Le responsabilità del personale sanitario

La responsabilità del personale sanitario

Presso il Centro Congressi della Fondazione Santa Lucia di Roma, in un focus di approfondimento, si è affrontato il tema della “Responsabilità del personale sanitario”, guardando ai profili deontologici e disciplinari, civili, penali e amministrativo-contabili

Il convegno, patrocinato da Federmanager Roma, ha affrontato le problematiche relative alle responsabilità del personale sanitario alla luce della Riforma Gelli (Legge 24/2017) e dei diversi codici deontologici dei professionisti sanitari, analizzando anche la ricchissima casistica vagliata dalle Magistrature.

Obiettivo centrale dell’incontro è stato quello di sensibilizzare il personale sanitario sulle proprie responsabilità professionali, presupponendo la chiarezza sui sistemi di erogazione dei percorsi di neuroriabilitazione e sulle Linee Guida che saranno prodotte dalle Società Scientifiche. Nel contempo sono stati rassicurati gli operatori, della complessità dell’arsmedica e dell’equilibrio della Magistratura in relazione alla valutazione degli occasionali casi di malpractice medica.

L’incontro, attraverso autorevoli relatori, tra cui il presidente di Federmanager Roma Giacomo Gargano, ha valorizzato la “fisiologia” della buona Sanità, parlando delle occasionali “patologie” comportamentali di medici ed infermieri vagliate dai giudici, che rappresentano mere eccezioni in un Sistema Sanitario fatto di uomini e donne competenti, preparati ed attenti ai profili umani del paziente. Sono state affrontate anche le problematiche giuridico-amministrative che toccano il Comparto Sanità, prospettando alcune soluzioni ed offrendo spunti migliorativi agli operatori sanitari e agli stessi politici che governano la Sanità in Italia.

Nell’immagine di apertura, da sinistra: Giovanni Tria, Professore ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata; Tommaso Miele, Presidente sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio; Edoardo Alesse, Direttore Generale Fondazione Santa Lucia; Giacomo Gargano, Presidente Federmanager Roma