Il periodico di Federmanager Roma

Vises_728x90
  • Home
  • /
  • Articoli
  • /
  • Relazioni umane per Intelligenze Artificiali

Relazioni umane per Intelligenze Artificiali

Relazioni umane per Intelligenze Artificiali

Il confronto fra l’intelligenza umana e quella artificiale nei luoghi di lavoro dovrà svolgersi su un piano dialettico, dove la macchina e l’uomo esaltino le specificità che ancora li distinguono: per la macchina l’efficienza e per l’uomo la capacità relazionale.

Nella seconda metà del secolo scorso si affermarono correnti di ricerca sulle organizzazioni che presero il nome di Human Relations, con il fine di porre rimedio alla spersonalizzazione e disumanizzazione del lavoro improntato ai dettami del taylorismo, che avevano la loro più compiuta espressione nella infernale catena di montaggio fordista, magistralmente   rappresentata nel film Tempi Moderni di Charlie Chaplin.

Oggi una nuova rivoluzione investe il lavoro, guidata dalla introduzione della AI (l’intelligenza non umana) nei processi lavorativi.

Se l’innovazione tecnologica sino ad oggi ha prevalentemente investito le attività manuali più semplici  e ripetitive, producendo per un verso la  riduzione della quantità di lavoro  necessario ma per altro verso l’up grading qualitativo di molti compiti  con la conseguente riduzione del potere alienante del lavoro manuale, l’innovazione guidata dalla AI investe attività di maggior contenuto intellettuale e creativo e investe fasce professionali sino a ieri esenti dalla concorrenza  della tecnologia. 

Si rende quindi necessario adeguare le professionalità interessate alla relazione con le “macchine intelligenti” enfatizzando nelle organizzazioni quelle qualità umane che ancora restano escluse dall’ambito di azione delle macchine munite di intelligenza non umana; ora più che mai è necessario umanizzare le organizzazioni progressivamente permeate dalla razionalità dell’algoritmo.

Se per un verso sorge il bisogno di nuove e diverse competenze tecniche per governare i cambiamenti nei processi lavorativi introdotti dall’uso sempre più ampio dell’AI nella produzione di beni e servizi – soprattutto per le categorie professionali addette al governo come quella dei dirigenti – bisogna anche essere coscienti del fatto che non potrà bastare l’aggiornamento professionale e l’introduzione di nuove figure professionali a garantire il mantenimento della centralità nelle organizzazioni delle alte professionalità nel mondo già oggi profondamente modificato dalla diffusione dell’ AI.

Il confronto fra l’intelligenza umana e quella artificiale nei luoghi di lavoro non potrà limitarsi al mero adeguamento della prestazione umana ai modelli imposti dalle macchine intelligenti, ma dovrà svolgersi su un piano più dialettico fra l’uomo e la macchina, all’interno del quale la macchina e l’uomo esaltino le specificità che ancora li distinguono: per la macchina l’efficienza e per l’uomo la capacità relazionale.

Le organizzazioni riconfigurate dalla diffusione dell’AI saranno più efficienti ma dovranno recuperare in termini di relazione umana i costi pagati in ossequio alla razionalità tecnologica, diversamente una nuova disumanità, ancora più pervasiva e insidiosa, colonizzerà le organizzazioni come avvenuto nel passato con la taylorizzazione della produzione manifatturiera

I manager che avranno il formidabile supporto decisionale dell’AI dovranno enfatizzare le proprie capacità di creare relazioni umane nella organizzazione per scongiurare il pericolo che l’efficienza assicurata dagli algoritmi si trasformi in “efficientismo”, altrettanto inumano quanto quello della catena di montaggio fordista che alienava il lavoratore.

Le soft skill orientate alla crescita professionale, cura, supporto, leadership, etica, tutela della privacy, inclusione, motivazione, coinvolgimento, team building, dovranno divenire il tratto distintivo dei manager operanti nelle organizzazioni in cui le scelte più tecniche saranno delegate alla intelligenza non umana.

Perché queste soft skill – in verità già ora richieste almeno a parole ai manager – trovino piena e compiuta cittadinanza nelle organizzazioni occorre che anche i processi valutativi della performance manageriale si adeguino e ne riconoscano la centralità.

Oggi la valutazione della prestazione lavorativa di un manager si basa prevalentemente su Kpi misurabili in termini di efficienza ed efficacia, occorrerà introdurre misure capaci di far emergere e premiare anche la capacità relazionale del manager, le sue qualità squisitamente umane che lo distinguono dalla macchina, solo così garantendogli un ruolo nella organizzazione che non sia solo ancillare rispetto all’apparato tecnologico divenuto intelligente.

 

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
ULTIMO NUMERO
IN PRIMO PIANO
Praesidium FM Roma 300×300

RICEVI PROFESSIONE DIRIGENTE DIRETTAMENTE NELLA TUA EMAIL