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Pronto Soccorso

Crisi nei Pronto Soccorso

Crisi nei Pronto Soccorso

Periodicamente vengono pubblicate le immagini di decine di pazienti ammassati su barelle di fortuna, in condizioni non dignitose, che attendono per giorni di essere ricoverati, mentre in sala d’attesa decine di persone con codici minori trascorrono giornate intere prima di essere visitate.

L’origine del problema è sempre la stessa: tra il 2010 ed il 2020 sono stati chiusi 103 Pronto soccorso. Quelli rimasti aperti, dunque, devono gestire un bacino di utenza più ampio. La chiusura dei Pronto soccorso tuttavia non è sempre un dato negativo: se gli accessi ad una struttura sono troppo bassi diventa complicato garantire la sicurezza delle cure, quindi in alcuni casi è meglio chiudere una struttura che drena inutilmente risorse economiche e professionali per rafforzare l’assistenza territoriale e ospedaliera.

La chiusura dei Pronto soccorso negli anni, però, non è stata accompagnata da una contestuale riforma del territorio, per cui i Ps in molti casi continuano ad essere l’unica porta di ingresso alla sanità che rimane aperta ogni giorno, 24 ore al giorno, in cui, nonostante le attese, alla fine si ottiene comunque una risposta al proprio bisogno di salute.

Il tutto viene ovviamente peggiorato dalle lunghe liste d’attesa: se si ha mal di schiena e la prima visita ortopedica disponibile in ospedale è tra 7 mesi, in assenza di un’assicurazione sanitaria o di disponibilità economiche per pagare una visita privata si andrà in Pronto soccorso, dove dopo diverse ore di attesa si otterrà sicuramente una lastra e una diagnosi.

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Una delle cause dell’affollamento dei Pronto soccorso è anche questa: gli accessi inappropriati di pazienti con codice bianco o verde che, non trovando altri modi per essere visitati perché il medico di famiglia, la guardia medica o l’ambulatorio non sono adeguati, vanno nelle strutture di Emergenza-Urgenza. Queste ultime, tuttavia, come evidenziato dal nome stesso, dovrebbero essere dedicate esclusivamente a problemi di salute gravi ed urgenti.

Le lunghe attese sulle barelle, poi, sono legate ai tagli ai posti letto nei reparti, che hanno diminuito le possibilità di ricoverare i pazienti. In attesa che si liberi un posto letto, allora, si è costretti ad aspettare per giorni in stanzoni e in corridoi che assomigliano a veri e propri gironi danteschi.

A tutto questo si aggiunge la carenza di personale sanitario, che risulta ancor più grave proprio nei Pronto soccorso: si stima che in Italia, per far fronte ai carichi di lavoro attuali, servirebbero almeno 4.200 medici di Ps in più.

Ma in Pronto soccorso non vuole lavorare più nessuno: i turni sono insostenibili, le possibilità di carriera nulle, il tempo da dedicare alla vita privata e familiare inesistente, gli stipendi inadeguati rispetto alle responsabilità che si assumono.

E allora i concorsi banditi dalle aziende vanno deserti, la metà delle borse di specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza non vengono assegnate perché non scelte dai giovani medici e la fuga dei dipendenti è dirompente: nel 2022 se ne sono dimessi 100 al mese, e buona parte di questi non è stato sostituito.

Per chi rimane, allora, il carico di lavoro aumenta notevolmente, il numero di pazienti da trattare è sempre maggiore e il tempo da dedicare loro ridotto al lumicino, rischiando quotidianamente aggressioni verbali e fisiche di pazienti e familiari stremati. Tutto questo non fa che incentivare la fuga, dando vita ad un circolo vizioso che va necessariamente interrotto.

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