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Federmanager e il proselitismo

Federmanager e il proselitismo

Proselitismo: l’organizzazione di Federmanager rappresenta uno strumento unico e insostituibile per salvare i manager ed il tessuto industriale del Paese. Fondamentale diventa farsi conoscere e coinvolgere i colleghi, ottenerne la fiducia e dimostrare che quello che si fa è utile ed efficace

Per prima cosa è necessario sempre chiedersi chi siamo noi Manager e in quale situazione ci troviamo. La risposta alla prima domanda è semplice, anche se spesso noi stessi siamo i primi a non ricordarla. Noi siamo i Manager industriali italiani, la categoria di persone che ha guidato la cabina di regia dello sviluppo sociale e produttivo che ha fatto raggiungere il benessere al nostro amato Paese. In questo sforzo gigantesco abbiamo fatto tanta esperienza sia come categoria che come singoli individui e abbiamo imparato la differenza tra i buoni propositi e i risultati pratici. E il pragmatismo pieno di saggezza con cui abbiamo sempre perseguito un “bene” concreto preferendolo a un “meglio” illusorio, ha fatto di noi – con tutti i nostri inevitabili difetti – la più affidabile compagine professionale capace di affrontare qualsiasi problema che si sia manifestato in questo nostro meraviglioso e contraddittorio Paese. A chi mi chiede quale sia il lavoro del Manager mi capita talvolta di rispondere che fare il Manager significa essere incaricati di “far funzionare le cose che non funzionano”.

La risposta alla seconda domanda sulla situazione in cui ci troviamo è meno scontata e, in qualche modo, sorprendente. Considerato il ruolo essenziale dei Manager industriali per il Paese, sarebbe ragionevole attendersi che fossimo una categoria in espansione, ascoltata dalla politica e rispettata dagli altri cittadini. Invece non è così. Siamo una categoria in contrazione, ancora poco ascoltata dalla politica (anche se negli ultimi anni la nostra Presidenza Nazionale sta facendo grandi passi per recuperare il ritardo precedentemente accumulato) e, soprattutto, non siamo considerati dai nostri concittadini per l’effettivo valore di quello che abbiamo dato e ancora stiamo dando al Paese. Forse non siamo ancora arrivati al punto di essere oggetto di discredito e relegati verso l’estinzione in una “riserva indiana”. No non siamo a questo punto, ma dobbiamo lavorare duramente per invertire la tendenza attuale che è pericolosa.

A questo punto viene spontaneo formulare la domanda delle “cento pistole”: com’è potuto accadere tutto questo? E soprattutto cosa dobbiamo fare?

Le cause sono state molteplici, ma io ho una mia idea su quale – tra tutte – sia stata la causa più impattante. Io credo che il principale problema sia stato il nostro individualismo che – tra tanti pregi – è il difetto più tipico della nostra categoria. E il nostro individualismo ci ha reso meno efficaci nel lavoro in Team del quale, come Manager, conosciamo bene l’efficacia determinante.

Del resto è purtroppo normale che i meriti delle persone così come quelli delle categorie professionali siano riconosciuti non solo e non tanto per la loro oggettiva esattezza ed effettività ma soprattutto per la capacità di comunicarli e per la forza politica del movimento che li afferma e li impone all’attenzione. Così i nostri meriti per essere riconosciuti abbisognavano e abbisognano di essere ripetutamente comunicati e affermati con forza e autorevolezza. Ma per ottenere questo risultato è necessario mettere a fattor comune tutte le forze della categoria e non mi riferisco solo al peso del numero. Federmanager e il proselitismoGrazie a Dio e alla saggezza dei colleghi che ci hanno preceduto, noi abbiamo la nostra Federmanager che è lo strumento unico e insostituibile per condurre questa battaglia per salvare noi stessi, la categoria e il tessuto industriale del Paese. In Federmanager già trovano la loro collocazione i nostri preziosi enti assistenziali e previdenziali, ma dobbiamo fare oggi della nostra Federazione uno strumento di comunicazione, di organizzazione e di politica industriale dove mettere a fattor comune tutte le competenze e le conoscenze della categoria.

A questo punto si pone il problema dell’adesione di tutti i colleghi e dell’intera categoria sotto la bandiera della nostra Federmanager. Si pone il problema del proselitismo. Quale la situazione e come fare?

Considerando le stime che derivano dal conteggio degli iscritti agli enti assistenziali e previdenziali, possiamo dire oggi che gli iscritti a Federmanager sono circa la metà degli aventi diritto. Quindi quello degli iscritti è un numero grande, ma piccolo se rapportato in percentuale al potenziale. E soprattutto veniamo da un periodo lungo di lenta contrazione delle iscrizioni a cui solo negli ultimi anni la Presidenza Nazionale e le forze più vivaci delle associazioni territoriali sono riuscite a porre un primo argine.

L’altra considerazione di fondo è che queste decine di migliaia di colleghi che non sono iscritti non hanno nessuna altra sigla associativa a cui aderire. Questo perché – come ben sappiamo – la rappresentanza sindacale dei dirigenti industriali è unica ed è interamente in mano a Federmanager. Quindi non esiste un’alternativa e – se così si potesse dire – una forma di concorrenza. Pertanto l’offerta di servizi (assistenziali, previdenziali eccetera), associativa di tutela e di network di Federmanager è l’unica cui questi colleghi si possono rivolgere.

Pertanto se, in questa situazione, molti colleghi non aderiscono dobbiamo chiederci se possiamo comunicare meglio per raggiungerli e coinvolgerli. Esiste naturalmente l’ipotesi, assolutamente ragionevole, di avere in futuro una regola generalizzata che associ automaticamente l’iscrizione agli enti previdenziali e assistenziali con l’iscrizione a Federmanager, regola che risolverebbe certamente il problema formale e numerico ma non quello del coinvolgimento personale e politico.

Ma oggi una regola del genere non esiste e, come mi diceva sempre mia nonna, è inutile chiedersi come andrebbero le cose se fossero diverse da quello che sono, bisogna rimboccarsi le maniche e farle funzionare nella situazione in cui ci si trova. Federmanager e il proselitismoDunque veniamo al tema ultimo: il proselitismo. Tutto si gioca nella nostra capacità di coinvolgere i colleghi che oggi non ci conoscono, ci ignorano o non ci stimano utili o efficaci. Come fare?

Alla fine le soluzioni sono semplici e la difficoltà sta quasi sempre nel lavoro per realizzarle. Dunque dobbiamo i) farci conoscere da chi non ci conosce ii) ottenere l’attenzione di chi ci ignora e iii) dimostrare che quello che facciamo è utile ed efficace. Pertanto dobbiamo comunicare molto, comunicare cose interessanti e far vedere che le iniziative che intraprendiamo funzionano.

É molto difficile? Non abbiamo le forze per farlo? Io non credo questo. Penso che siamo una Federazione di Manager molto in gamba e abbiamo al nostro interno tutte le competenze necessarie, come ho potuto constatare dall’esperienza di cinque anni come vicepresidente di Federmanager Roma e di due anni come Consigliere Nazionale. Io credo che quello che ci serve sia innanzi tutto la consapevolezza che la strategia consiste nella realizzazione di cose concrete (attività di comunicazione, attività di sensibilizzazione e iniziative indirizzate a obiettivi concreti che portano a risultati concreti). Secondariamente dobbiamo mettere da parte tutte le divisioni interne. Ovviamente ci saranno sempre opinioni e sensibilità diverse ma noi non siamo qui per alimentare infiniti dibattiti sulle differenze interne alla categoria o sulle ambizioni di questo o quel collega di ricoprire una posizione o un’altra. Noi siamo qui per valorizzare, esaltare e – infine – portare alla vittoria tutte quelle cose (e sono tante) che ci uniscono e che ci vedono uguali e tutti insieme messi in pericolo da un mondo esterno che non ci capisce e ci umilia. Quindi parliamo delle cose che ci uniscono e delle iniziative concrete da portare avanti e alle differenze tra di noi ci ripenseremo dopo che avremo portato in porto la barca al sicuro dalla tempesta.

Infine dobbiamo organizzarci sempre meglio di giorno in giorno. Questa, come noi Manager ben sappiamo, è la cosa operativamente più importante e, tuttavia, ritengo che risolti i primi due problemi e cioè definita la strategia e ritrovata l’unità, l’aspetto organizzativo verrà da solo. Infatti quando saremo uniti e avremo in testa una comune strategia emergerà prepotentemente e spontaneamente la nostra professionalità di Manager, appresa in tanti anni di azienda. Messe da parte l’incertezza strategica e le divisioni, ciascuno opererà in scienza e coscienza nel modo più efficace.

Qualcuno di voi penserà che è un’utopia ma, di nuovo, vi propongo una massima di buon senso popolare che mi ripeteva ogni tanto mia nonna quando mi lamentavo di questo e di quello. Se una cosa è indispensabile fermarsi a chiedere se sia possibile o meno è solo una perdita di tempo, bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a farla.

La responsabilità senza colpe dei manager

La “responsabilità oggettiva” di tipo penale dei manager è una mostruosità giuridica che nasce da un’errata interpretazione dell’articolo 42 del codice penale. Obbligo di Federmanager è non lasciare soli i colleghi ingiustamente accusati ed offrire loro conforto e protezione

La “responsabilità giuridica” è un mostro giuridico e morale che si aggira per le aule dei tribunali del mondo intero, mietendo vittime innocenti, talvolta più di quante non ne mietano gli eventi tragici che hanno dato luogo ai processi. Eppure i principi di base della civiltà giuridica europea fondano le loro antiche e solide radici nel diritto romano. “Nullum crimen, nulla poena sine culpa” (nessun reato e nessuna pena senza colpa) sancisce un famoso broccardo e non credo che ci sia una persona dotata di senso morale che possa essere in disaccordo con questo principio, perché il diritto penale deve sanzionare i comportamenti colpevoli e non essere uno strumento per individuare dei “capri espiatori” incolpevoli (nel senso specifico e tecnico/legale del termine visto che parliamo di responsabilità oggettiva e quindi per definizione senza colpa) da sacrificare sull’altare di una vera o presunta pace sociale, additando un colpevole purchessia al fine di garantire un ristoro in sede penale e civile/risarcitoria.

La funzione del diritto e del processo deve necessariamente essere quella di fare “giustizia” e non di commettere un’altra ingiustizia con la quale tentare di mascherare goffamente le carenze di tutto un sistema. Del resto l’art. 27 della costituzione dice molto chiaramente che la responsabilità penale è personale (escludendo la responsabilità oggettiva) e stabilisce il principio per il quale la pena “deve tendere alla rieducazione del condannato” e davvero non è chiaro a quale rieducazione potrebbe essere sottoposto un individuo rispetto al quale non è stata accertata nessuna colpa.

Nel nostro ordinamento le fattispecie di responsabilità oggettiva sono ancorate in modo poco solido alla parola “altrimenti” contenuta nell’articolo 42 del codice penale il quale, dopo avere parlato del dolo e della colpa, recita: “la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione ed omissione”. Una certa parte della dottrina e della giurisprudenza ha interpretato la parola “altrimenti” nel senso che possano esistere dei delitti senza colpa e quindi incolpevoli. Non ho timore ad affermare che, per il mio senso morale, questa è una vera mostruosità. Penso che questa interpretazione sia la “madre” di tutti i teoremi che, in certe particolari circostanze, possono portare ad accusare persone innocenti di fatti che non solo non hanno provocato ma dei quali non hanno mai nemmeno saputo niente.

Per cercare di dare una giustificazione a ciò che (a mio personale avviso) non è giustificabile, si è tentato di considerare la responsabilità oggettiva come un tertium genus (dopo dolo e colpa), ritenendo giusto che un fatto illecito venga imputato a qualcuno che non lo ha voluto commettere e che non ha avuto colpa nel suo inverarsi, solo per l’esistenza di un nesso di causalità unito ad un concetto molto generico di prevedibilità. La qual cosa, stressando il concetto con un chiaro argomento “per absurdum”, sarebbe come dire che se io gestisco una pista ciclabile e quindi la apro alla circolazione delle biciclette (nesso di causalità) e posso immaginare (prevedibilità) che le persone possono cadere dalle biciclette, a questo punto posso essere imputato per tutti gli incidenti che avvengono su quella pista in quanto se io l’avessi chiusa (nesso causale) gli incidenti non sarebbero successi.

A mio avviso questa è una vera aberrazione che, al giorno d’oggi, viene sempre più incentivata dalla proliferazione di normative che stabiliscono obblighi di vigilanza per le aziende e i loro manager in forma esponenzialmente sempre più astratta, configurando vere e proprie fattispecie di responsabilità oggettiva per le quali la responsabilità del manager viene ritenuta esistente sulla base di un generico obbligo di vigilanza, unito ad un nesso causale tanto vago da essere inaccettabile ed associato a un concetto di prevedibilità talmente generale da essere addirittura filosofico. Questo è il modo “politicamente corretto” e alquanto ipocrita di legiferare della vecchia Europa esangue. Per come la vedo io questo modo di fare le leggi sta ostacolando e, talvolta, impedendo l’attuazione del principio di legalità sancito dall’art. 27 della costituzione che, a mio avviso, impone senza ombra di dubbio di non sanzionare i comportamenti incolpevoli.

A questo punto delle due una, o il terzo comma dell’art. 42 del codice penale è incostituzionale, oppure la parola “altrimenti” deve essere interpretata diversamente, dovendosi ritenere che l’articolo faccia riferimento a delle fattispecie di colpa diverse da quelle del comma due e, pertanto, impegnando sia il legislatore che il giudice ad indirizzare il proprio lavoro nel definire, con senso di giustizia ed equità, quali possano essere queste fattispecie di colpa, in modo tale da evitare di generare quelle storture nell’esercizio del diritto di cui abbiamo parlato. Proprio quel genere di storture che hanno portato Cicerone a coniare il broccardo “summum ius summa iniuria”.

Se non si agirà a livello politico, legislativo e giudiziario per rimettere insieme i concetti di “pena” e di “colpa”, molti nostri colleghi potrebbero trovarsi nella condizione di Josef K., il personaggio del “Verdetto” di Franz Kafka che la mattina del suo compleanno viene improvvisamente tratto in arresto perché un processo è stato istruito contro di lui senza che lui sia in grado di comprendere quale sia l’accusa. Dapprima Josef K., sapendo di non avere alcuna colpa, esprime fiducia ma poi si trova schiacciato in un meccanismo processuale, inestricabilmente burocratico, bizantino e labirintico e, rapidamente, avverte il peso sempre più opprimente di non poter sfuggire ad una condanna di cui prova un’angosciosa vergogna senza nemmeno sapere quale sarebbe la sua colpa. Credo che sia un dovere di noi colleghi impegnati in Federmanager non lasciare mai soli i nostri colleghi risucchiati in circostanze del genere e agire in tutte le sedi per proteggerli e confortarli.