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Carriera pianificata o emergente La consapevolezza professionale come strumento di empowerment

Carriera pianificata o emergente. La consapevolezza professionale come strumento di empowerment

Prosegue il ciclo di incontri “Diventa preda degli Head Hunter”. Nell’ultimo appuntamento, un confronto con gli esperti di Randstad RiseSmart: Sara Portolano, Marco Guareschi e Antonietta Palmaccio

All’interno del ciclo di incontri Diventa preda degli Head Hunter, organizzato da Federmanager Roma, lo scorso 27 ottobrAlessandroe – con l’apertura del Presidente Gherardo Zei e gli interventi di Alessandro Tiberi, coordinatore Giovani Federmanager Roma, Antonio Amato, Vicepresidente Federmanager Roma e Renato Fontana, già coordinatore Gruppo Giovani Federmanager Roma – ci si è confrontati sul tema “Carriera pianificata o emergente. La consapevolezza professionale come strumento di empowerment” con gli esperti di Randstad RiseSmart. Questa è la divisione specializzata del gruppo Randstad che, con profonda esperienza e un approccio incentrato sulle persone, fornisce soluzioni innovative per la gestione e lo sviluppo delle carriere, il coaching della vita lavorativa, il ricollocamento, l’outplacement e il pensionamento. Oltre a ciò, supporta responsabili delle Risorse Umane e lavoratori in ogni fase della vita professionale, all’interno e all’esterno delle organizzazioni.

Oggi si parla molto di “Great Resignation”. Quali azioni possono mettere in atto i manager delle aziende italiane per fronteggiare questo importante e delicato fenomeno?

Risponde Sara Portolano, National Concept & Career Transition Manager di Randstad RiseSmart.

 Si tratta di un fenomeno globale in costante crescita negli Stati Uniti che ha preso piede anche in Italia. Più di un lavoratore italiano su due, infatti, sta cercando un nuovo posto di lavoro o inizierà a farlo. È quanto emerso dal Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo e sul mercato del lavoro condotta in 34 Paesi, su un campione di circa 800 lavoratori, di età compresa tra i 18 e i 67 anni. Le motivazioni di questo “esodo” silenzioso sono molteplici e vanno dall’incapacità del proprio datore di lavoro di soddisfare le ambizioni professionali alla scarsa flessibilità, passando per la mancanza di corrispondenza tra i propri valori e quelli aziendali. A scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto i giovani della Gen Z, che affermano con sempre maggiore frequenza che la loro priorità è la felicità personale piuttosto che il lavoro. Secondo quanto emerso dal Randstad Workmonitor, il 29% dei lavoratori italiani starebbe cercando attivamente un nuovo impiego. A livello globale, il nostro Paese è al terzo posto della classifica rispetto a questo indicatore. A trainare l’esodo, come anticipato, sono i lavoratori più giovani. La percentuale di lavoratori che sta cercando un nuovo impiego, infatti, sale al 38% se si considera solo la fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Un altro dato estremamente indicativo del cambio di prospettiva e priorità è la percentuale di dipendenti (23%) che preferirebbero essere disoccupati piuttosto che infelici sul lavoro. La percentuale sale al 34% nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Il 70% delle aziende che ha sperimentato un aumento delle dimissioni volontarie ha messo in atto azioni per trattenere le risorse. Tra queste:

  • percorsi di formazione/ sviluppo competenze (30%)
  • momenti di ascolto/ condivisione problematiche (29%)
  • maggiore attenzione alle relazioni interne (27%)
  • passaggi di ruolo/ cambio mansione (25%)

Azioni che, nel 51% dei casi, sono state giudicate in linea con le trasformazioni del mercato. Tuttavia, nel 42% dei casi tali iniziative hanno riguardato solo alcune risorse, e solo nel 21% dei casi la maggioranza (il 7% tutte o quasi).

Randstad RiseSmart propone alle aziende un servizio innovativo che rappresenta una risposta efficace per aumentare la retention dei dipendenti, ovvero il worklife coaching.  Si tratta di un servizio di coaching messo a disposizione di tutti i dipendenti, senza alcun tipo di esclusione, con l’obiettivo di acquisire consapevolezza di sé, delle proprie capacità e risorse, degli ambiti di miglioramento, dei propri desideri e aspirazioni professionali.

In concreto, parliamo dunque di sessioni individuali, in cui la persona lavora su se stessa e sui propri obiettivi, guidata da un coach che l’aiuta ad identificare strategie, strumenti e comportamenti da mettere in atto per raggiungerli. Per attrarre, motivare, sviluppare, far crescere e fidelizzare le proprie persone, le aziende devono dunque iniziare a considerare le soluzioni di coaching aziendale come parte integrante della propria strategia. Non come appannaggio di pochi, ma come soluzione olistica e democratica per tutti i dipendenti.

 Su quale competenza sarebbe opportuno investire per rimanere competitivi oggi?

Risponde Marco Guareschi, Career Consultant di Randstad RiseSmart

Certamente il networking: le relazioni interpersonali sono uno degli ingredienti che più caratterizzano la nostra identità privata e professionale. Siamo costantemente influenzati dalle esperienze che facciamo insieme agli altri, dagli stimoli che riceviamo e dalle emozioni che l’incontro con l’altro suscitano; il nostro benessere si costruisce quotidianamente anche attraverso il nostro network di amici, colleghi e conoscenti.

Il tema del networking, come sappiamo, è stato oggetto di molti studi nel corso della storia e tra questi mi piace ricordare le riflessioni audaci e avveniristiche di Ferenc Karinthy, elaborate a partire dagli Anni 30. All’interno dell’opera “Viaggio intorno al mio cranio”, lo scrittore ungherese, dopo aver descritto le bizzarrie e le stranezze percettive dovute al progredire incalzante del suo tumore al cervello, ipotizza una teoria che avrebbe rivoluzionato il concetto di network: la teoria dei sei gradi di separazione.

Per Karinthy, infatti, ogni persona nel mondo può essere collegata ad un’altra attraverso solo cinque legami interpersonali.

Difficile da credere, vero? Tuttavia, il famoso psicologo Stanley Milgram, circa trent’anni dopo l’ipotesi di Karinthy, allestisce uno studio per saggiare le potenzialità delle relazioni interpersonali.

Milgram seleziona in modo del tutto casuale alcune persone del Midwest, chiedendo loro di inviare, a diverse migliaia di chilometri di distanza, un pacco ad un abitante sconosciuto del Massachusetts.

Le uniche informazioni fornite sono:

  • nome destinatario
  • professione destinatario
  • zona di residenza destinatario (l’indirizzo preciso è sconosciuto)

I partecipanti non hanno molta scelta, possono solo valorizzare le loro conoscenze personali per far passare di mano in mano il pacco e permettere che questo giunga alla destinazione finale. A quel tempo si pensava che il pacco dovesse entrare in contatto con almeno cento persone, prima di giungere a destinazione; tuttavia, i risultati lasciarono tutti a bocca aperta. Infatti, il numero medio di passaggi si attestò tra i cinque ed i sette, confermando in maniera inequivocabile la ipotesi di Karinthy.

Anni dopo, la teoria di separazione venne applicata in ambito informatico dando vita ai social media che tutti noi oggi conosciamo ed utilizziamo, come per esempio Linkedin e Facebook. Questi social media, sempre più sofisticati negli algoritmi e nelle funzionalità offerte, permettono di entrare in contatto potenzialmente con chiunque.

Ampliare la propria rete di contatti, di persona come in ambito social, è una scelta sempre più preziosa per noi stessi, in quanto, tra i diversi benefici, abbiamo la possibilità di:

  • aumentare la consapevolezza di chi siamo
  • arricchire di prospettive diverse la nostra visione del mondo
  • entrare in contatto con opportunità di crescita personali
  • scoprire come ci vedono e ci percepiscono gli altri 

Attraverso il fenomeno della “Great Resignation” abbiamo parlato dei professionisti che decidono di uscire dall’azienda per essere protagonisti della propria carriera professionale. Per chi invece si trova a subire il cambiamento in azienda, a quali risorse può attingere?

Risponde Antonietta Palmaccio, HR Consultant di Randstad RiseSmart.

Come ci ricorda Eraclito, filosofo risalente al 500 a.C., il “cambiamento è l’unica costante” e oggi più che mai questa frase ci appare vera e indiscutibile. I cambiamenti sono all’ordine del giorno e si presentano spesso nella loro ineluttabilità sia a livello personale che in quello professionale.

In ambito organizzativo a volte le aziende si trovano costrette a fare scelte difficili come prevedere delle riorganizzazioni interne o, nella peggiore delle ipotesi, avviare dei percorsi di esodo di parte del loro personale. Quando questo avviene, l’intera organizzazione ne è profondamente scossa, la stessa direzione che ha preso questa decisione, come i professionisti destinati a uscire e i dipendenti che rimangono in azienda.

Fortunatamente oggi le aziende hanno a disposizione servizi di outplacement personalizzabili che sono in grado di fornire ai professionisti le competenze e gli strumenti concreti per affrontare la transizione di carriera verso l’esterno e che rappresentano un’importante occasione per le aziende di mostrare la cura e l’attenzione verso i propri dipendenti. È vero, nessuno è pronto al cambiamento, il nostro cervello per motivi di sopravvivenza è programmato per allontanare da sé tutto ciò che non conosce, tuttavia, quante volte ci siamo trovati a riconoscere che quella rivoluzione specifica occorsa all’interno della nostra vita alla fine si è rivelata portatrice di trasformazioni positive?

Ed è proprio questo lo spirito con cui accogliamo i candidati che entrano all’interno dei nostri percorsi di outplacement, costruiti con l’obiettivo principale di aiutarli a maturare un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento, per passare quindi dal subire all’agire il cambiamento.

Per favorire questa rivoluzione mettiamo a disposizione dei nostri candidati molti strumenti, ma soprattutto lavoriamo sulla consapevolezza delle loro risorse mediante, per esempio, bilanci di competenze con l’obiettivo primario di agire in maniera proattiva il cambiamento e non limitarsi a subirlo.

Cogliere i segnali deboli di cambiamento in azienda a proprio vantaggio

Cogliere i segnali deboli di cambiamento in azienda a proprio vantaggio

Prosegue il ciclo di incontri “Diventa preda degli Head Hunter” organizzato da Federmanager Roma. Spunti e consigli ai colleghi per non farsi trovare impreparati in un mercato del lavoro sempre più competitivo

Lo scorso primo luglio è andato in scena un nuovo incontro del ciclo “Diventa preda degli Head Hunter”. Questo è volto ad avvicinare i colleghi al mondo della ricerca e selezione del personale, fornendo strumenti adeguati per chi vuole, o deve, cercare un nuovo posto di lavoro.

La serie di incontri in corso ha già visto ospitare responsabili di aziende quali Wyser e Randstad, mentre protagonista dell’ultimo incontro è stato il Gruppo Umana. Particolarmente apprezzato è stato l’intervento di una donna quale Direttore Generale, la dottoressa Roberta Bullo, che dirige Uomo e Impresa, società specializzata nella ricollocazione professionale. Il tema oggetto del meeting è stato: “Come cogliere i segnali deboli del cambiamento in azienda a proprio vantaggio”.

Nei nostri incontri cerchiamo, ogni volta, di riflettere su un aspetto diverso o piuttosto su un momento differente della vita professionale di un manager, potendo così offrire una visione più ampia possibile su come comportarsi e reagire. Questa volta abbiamo focalizzato l’attenzione sulla possibilità che spesso, presi dagli obiettivi, dalla frenesia della vita, non ci si accorge, o non ci si vuole accorgere, che qualcosa sta accadendo o sta cambiando. Ebbene, un buon manager, specie nei momenti di turbolenza come quello attuale, deve avere l’abitudine ad analizzare in maniera critica il contesto in cui opera e non lasciarsi cullare dalla sua cosiddetta “zona di confort”.

Tanti piccoli segnali, se letti e valutati, possono rappresentare un campanello di allarme indicatore di un divario che si sta allargando tra il manager e l’azienda in cui lavora. Il divario può venire a crearsi per fattori esterni, come un cambio di tecnologia, che presto potrebbe rendere obsoleto il mercato in cui opera l’azienda, del set di conoscenze necessarie per essere sul mercato o far invecchiare in un colpo solo le conoscenze ed il modo di lavorare del manager (vedi, ad esempio, lo smart working di questi giorni che ha richiesto altre competenze trasversali rispetto a quelle che sì è abituati a esercitare e a mettere in campo nella quotidiana vita d’ufficio di tutti i giorni).

In alternativa possono esserci fattori interni all’azienda che creano dei microshock che alla lunga portano a veri e propri terremoti. Pensate ad esempio ad un cambio di vertice, di strategia, all’apertura di una nuova linea di prodotto e/o mercato. Tutte queste cose potrebbero sembrare facilmente gestibili, mentre possono creare dei profondi solchi tra il manager e l’azienda con il rischio di sfociare nella dissonanza di valori e vedute.

Ecco allora che dar peso a questi “segnali deboli” può aiutare il manager a fare le sue scelte in maniera consapevole. Scelte che possono portare anche ad un nuovo sviluppo professionale, di carriera etc. È bene però ricordare che ogni nuova strada, quale che essa sia, richiede preparazione e tempo e quindi vale la massima, forse già sentita tante volte, che cambiare un lavoro è un lavoro.

Perché non temere il Covid-19

Perché non temere il Covid-19

Al termine dei tre anni di consiliatura, il presidente Giuseppe Noviello conferma la solidità di Previndai nell’affrontare l’emergenza da Covid-19

Sto per lasciare la Presidenza di Previndai, ruolo che ho avuto l’onore di ricoprire per 3 anni a partire dal 22 maggio 2017.

Avrei potuto dire che durante la consiliatura i dirigenti iscritti sono aumentati, superando a fine 2019 la soglia degli 82.000, i versamenti annui sono passati a 900 milioni di euro ed il patrimonio è aumentato a 12,5 miliardi di euro, mantenendo invariato il prelievo a carico degli iscritti per il funzionamento del Fondo, con un costo tra i più competitivi nel settore della previdenza complementare.

Ed ancora che il patrimonio è suddiviso nei comparti assicurativi (Assicurativo 1990: 6 miliardi euro, Assicurativo 2014: 4 miliardi) e finanziari (Bilanciato: 1,5 miliardi, Sviluppo: 1 miliardo), gestiti i primi da Generali (45%), Allianz (25%), Unipol Sai (24%), Reale mutua (6%) ed i secondi per il 90% da AXA, Pimco, Eurizon, ognuno per 1/3, in investimenti c.d. liquidi e per il restante 10% da c.d. fondi alternativi, con BlackRock quale Advisor del Fondo per gli investimenti finanziari.

Che i comparti assicurativi, tutelati da rendimenti minimi garantiti, hanno sempre battuto con i loro risultati il rendimento del Tfr e l’inflazione, che per il 2019 i comparti finanziari hanno registrato un risultato netto a due cifre, 12,32% per Bilanciato e 15,89% per Sviluppo.

Perché non temere il Covid-19

Avrei presentato tabelle e grafici e proseguito con le tematiche affrontate durante la consiliatura.

Il livello del servizio agli iscritti, ad esempio, fiore all’occhiello del Fondo, del quale la quasi totalità dei dirigenti si ritiene soddisfatta, con l’arricchimento delle informazioni periodiche ed il rinnovato sito web, area pubblica e privata. E che dire del call center telefonico, gestito direttamente da personale del Fondo esperto, che riscuote da sempre ampio consenso.

Avrei parlato degli scenari e delle strategie di investimento dei comparti finanziari, con il passaggio da una gestione specialistica ad una multi asset, con tre gestori di cui viene verificata costantemente la prestazione, e degli investimenti nell’economia reale, 10% dei comparti finanziari, per ottimizzare il rapporto rendimento/rischio contando sulle sinergie tra aziende competitive e manager competenti; del coinvolgimento del Fondo nei sei fondi selezionati attraverso la presenza nei loro Advisory Committee.

E che dire dell’apertura dell’iscrizione ai familiari, particolarmente importante perché consente di introdurre alla previdenza complementare i giovani, con tutti i vantaggi di una iscrizione precoce, o della Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, sostegno finanziario agli iscritti in difficoltà.

Mi sarei soffermato poi sul rafforzamento dei sistemi di controllo, con la creazione delle funzioni di gestione del rischio, di revisione interna e della compliance, nonché della nomina del responsabile della protezione dei dati, in linea con la normativa europea, e sulla revisione dell’assetto organizzativo, in coerenza con il nuovo sistema di controllo ed ampliando le competenze della funzione finanza, accrescendo così il know how interno del Fondo, che si pone ora in condizioni dialettiche rispetto all’Advisor.

Non meno importanza avrei dato al rapporto con i giovani, con la conferma dell’edizione annuale del Premio per tesi di laurea alla memoria del precedente Direttore Generale, ed all’implementazione dei supporti informatici, con la costante attività di indirizzo e controllo del servizio, reso per la massima parte dalla Selda di cui il Fondo detiene una quota del 45%.

Perché non temere il Covid-19

Ed avrei riferito con grande soddisfazione dell’ampliamento delle logiche di comunicazione, su tutto il rafforzamento della identity del Fondo con il nuovo logo, che doveva essere presentato ufficialmente a marzo 2020 in occasione dei previsti festeggiamenti per la ricorrenza del 30° anniversario di vita di Previndai, rinviati a causa di Covid-19.

Non avrei dimenticato le raccomandazioni per il futuro, brutta abitudine di chi lascia, e quindi l’attenzione ai contratti assicurativi e alla loro scadenza: rendimento minimo garantito – consolidamento dei risultati – tavole di conversione in rendita favorevoli, condizioni che devono essere ripensate alla luce delle modifiche intervenute in questi anni nel settore delle Compagnie di Assicurazione.

Avrei richiamato il tema delle associazioni di categoria, nelle quali la leadership di Previndai nel campo della previdenza comporta l’onere di assumere un ruolo adeguato per conseguire obiettivi di interesse del settore.

Avrei anche ricordato che gli asset Previndai, Fasi, Assidai, Praesidium, coprono una vasta gamma di attività negli ambiti della previdenza complementare e dell’assistenza sanitaria integrativa, anche con prodotti assicurativi, e che l’esperienza ed il know-how acquisiti possono essere messi a disposizione di un settore in continua espansione.

Avrei infine concluso ringraziando i componenti del Consiglio di Amministrazione, del Collegio Sindacale e dell’Organismo di Vigilanza, la Società di Revisione, il Direttore Generale e la Struttura tutta.

Purtroppo non posso terminare così, perché i recenti accadimenti legati al Covid-19 mi impongono responsabilmente alcune riflessioni aggiuntive.

Anche se i recenti crolli dei mercati azionari sono analoghi a quelli dei drammatici giorni della crisi finanziaria del 2008 e lo shock economico cui stiamo assistendo è sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta, c’è da ritenere che l’economia globale non si trovi nella stessa situazione di allora. Infatti, sebbene le misure di contenimento del contagio del Covid-19 abbiano portato alla quasi paralisi dell’attività economica, i provvedimenti di politica monetaria e fiscale, adottati in modo adeguatamente espansivo, forniscono sostegno durante lo shock, per poi tornare alla ripresa dell’attività economica nella seconda metà dell’anno, senza danni permanenti al sistema economico.

Le banche centrali sono intervenute con misure rilevanti e talvolta senza precedenti nella storia al fine di fornire liquidità e stabilizzare la situazione di panico nei mercati finanziari.

L’entità delle misure adottate è stata simile a quella della crisi finanziaria del 2008 se non anche maggiore: la FED ad esempio con un programma di acquisti che non ha precedenti nella storia in quanto illimitato in termini di ammontare e senza scadenza temporale predeterminata.

Le politiche monetarie tuttavia non hanno ampio spazio di azione, in quanto i tassi di interesse di inizio anno partivano già da livelli bassi e dopo i recenti provvedimenti espansivi sono già arrivati a livelli minimi sotto i quali è difficile spingersi. E’ quindi necessario che le politiche fiscali siano più espansive in quanto ancora non sufficienti a tutelare piccole aziende e lavoratori. Le politiche fiscali devono sfruttare i margini di azione che le banche centrali stanno mettendo a disposizione.

Quanto alla diffusione del Covid-19, in Cina la curva di contagio ha rallentato in circa 6-8 settimane grazie alle rigide misure adottate. Il ricorso, nel resto del mondo, a misure di contenimento tali da stabilizzare la curva epidemiologica, come accaduto in Cina, porterà ad una lenta ripresa, con accelerazione nella seconda metà del 2020.

Bisogna quindi attraversare la burrasca, contenendo i danni quanto più possibile, per farsi trovare pronti alla ripresa del ciclo economico espansivo, facendo tesoro di quanto avvenuto e certi che nel medio-lungo termine i mercati recupereranno le recenti perdite. Il Fondo, dal canto suo e come sempre fatto finora, saprà assicurare ai propri iscritti risultati positivi.

Previndai ha le carte in regola per affrontare la situazione perché può contare su collaboratori di elevata professionalità e spiccato senso di appartenenza ed opera in collaborazione con strutture di primario standing mondiale. Ancora una volta dobbiamo ringraziare la lungimiranza di Federmanager e Confindustria.
Ora posso veramente concludere con soddisfazione la mia esperienza di Presidente.