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Servizio Sanitario Nazionale

Sanità in allarme rosso: le ragioni della crisi

Sanità in allarme rosso: le ragioni della crisi

Il Servizio Sanitario Nazionale è in affanno. Lo testimoniano le liste d’attesa infinite per qualsiasi prestazione, i Pronto soccorso presi d’assalto, la fuga del personale sanitario verso l’estero o le strutture private, gli ospedali fatiscenti, l’insufficienza di posti letto o il deserto di medici di famiglia in tante aree del Paese.

Problemi che riguardano tutti, perché chiunque da un giorno all’altro potrebbe trovarsi a dover indossare i panni del paziente, e che tuttavia faticano a trovare uno spazio nel dibattito pubblico e, soprattutto, nell’agenda politica.

Eppure, fino a pochi anni fa buona parte del mondo invidiava il nostro sistema, che tutela la salute di tutti e, a differenza di tanti altri Paesi occidentali, garantisce l’accesso alle cure a chiunque, senza considerare il reddito, la posizione sociale o l’indirizzo di residenza. Un sistema che tuttavia ha iniziato a scricchiolare all’inizio degli anni ’90, quando l’aumento esponenziale della spesa sanitaria è diventato incompatibile con la crisi economica e i vincoli di bilancio, e che oggi si trova su un precipizio, dove basta un refolo di vento per cadere nel burrone del fallimento.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Le radici della crisi, come dicevamo, affondano negli ultimi decenni, e sono di matrice economica e sociale. E quelli che vediamo oggi non sono altro che gli effetti di un costante definanziamento del settore e dei rinomati “tagli alla sanità”.

Basti pensare che, come emerso da un’analisi condotta dal sindacato dei medici ospedalieri Federazione CIMO-FESMED, tra il 2010 ed il 2020 in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso.

 

 

Sono stati tagliati 37 mila posti letto

e, nonostante le assunzioni per far fronte al Covid-19, nelle strutture ospedaliere nel 2020 lavoravano oltre 29 mila professionisti in meno rispetto al 2010, di cui 4.311 medici.

Numeri che, a cascata, hanno comportato una riduzione drastica dell’attività sanitaria: gli accessi in Pronto soccorso risultano in calo, ma il tasso di mortalità è aumentato dell’85%; tra il 2010 e il 2019 si sono registrati 1,36 milioni di ricoveri ordinari in meno (dato che scende a -2,13 milioni nel 2020, primo anno di emergenza sanitaria). Un calo che non viene compensato – come si potrebbe immaginare – da un aumento di ricoveri di day hospital e day surgery: anch’essi infatti risultano diminuiti, rispetto al 2010, di 1,27 milioni nel 2019 e di 1,73 milioni nel 2020.

Sul territorio la situazione è altrettanto critica, considerato che quasi 3 milioni di italiani sono attualmente senza medico di famiglia e che nel 2020 sono state erogate 282,8 milioni di prestazioni in meno rispetto a dieci anni prima: -19% di indagini di laboratorio, -30% di attività di radiologia diagnostica e -32% di attività clinica ambulatoriale.

Venendo ai dati economici, secondo la Fondazione GIMBE l’Italia risulta tra i Paesi europei che investono meno in sanità: la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è ben al di sotto della media OCSE ($ 3.052 vs $ 3.488) e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità, con un gap dai $ 285 della Repubblica Ceca ai $ 3.299 della Germania.

Il confronto con i paesi del G7 è invece impietoso, poiché dal 2008 siamo fanalino di coda con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili.

E il futuro, stando all’ultimo Documento di Economia e Finanza adottato dal Governo Meloni lo scorso aprile, non appare roseo: il rapporto spesa sanitaria-PIL scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, un valore inferiore a quello del 2019 (6,4%), confermando che dalla pandemia non è stato tratto alcun insegnamento. Inoltre, l’invecchiamento costante della popolazione, ed il relativo prevedibile aumento della domanda di prestazioni sanitarie, pone domande rilevanti sulla sostenibilità del sistema, a cui risulta complesso rispondere.

In questo panorama trova, com’è ovvio, terreno fertile la sanità privata: la spesa sostenuta dalle famiglie per curarsi è in costante aumento, e nel 2021 ha superato i 37 miliardi, registrando un incremento del 20,7% rispetto all’anno precedente. Il ruolo della sanità privata, dunque, risulta ogni giorno più centrale per superare le difficoltà che il Servizio sanitario nazionale sta affrontando e facilitare ai pazienti l’accesso alle cure. Tuttavia, il privato non può che integrare la sanità pubblica, che deve continuare a garantire l’assistenza sanitaria anche a chi non ha un’assicurazione o non può permettersi il pagamento di una prestazione.

È necessario, in altre parole, che la sanità pubblica e privata lavorino in maniera sinergica per superare le disomogeneità dell’attuale impianto. Bisogna riconoscere il ruolo determinante svolto dai Fondi di assistenza sanitaria integrativa al fine di garantire la qualità delle prestazioni ed intercettare il cosiddetto “out of pocket”, ovvero la spesa sostenuta dal cittadino. Tenendo sempre ben presente la necessità di rendere davvero equo, accessibile e universale il diritto alla cura.

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