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IMPACT REPORT 2020 Le performance di Fondirigenti per una crescita sostenibile

Le nostre 3 domande a Carlo Poledrini, Presidente Fondirigenti, il fondo interprofessionale più grande d’Italia promosso da Confindustria e Federmanager per la formazione dei dirigenti

L’11 febbraio scorso Fondirigenti ha presentato il suo 3° Impact Report, ovvero il bilancio annuale che misura l’attività del Fondo in termini di risultati e benefici per le 14mila imprese e gli 80mila manager aderenti. Abbiamo chiesto al Presidente Carlo Poledrini di raccontarci l’impegno di un Fondo che opera per offrire modelli e strumenti utili ad interpretare e gestire i cambiamenti.

Carlo Poledrini, Presidente Fondirigenti

1. Presidente, leit motiv dell’Impact Report 2020 è la sostenibilità. Cosa rappresentano Formazione Green e Lavoro Agile in un processo di trasformazione digitale sostenibile e in che modo il Fondo sostiene tale transizione?
La sostenibilità è la chiave di volta per la ripresa dell’economia dall’emergenza sanitaria e, dati alla mano, la formazione “green” risulta chiaramente essere un moltiplicatore della produttività.
Abbiamo realizzato un focus sull’impatto economico della diffusione della cultura manageriale sostenibile e sono emersi dati a dir poco interessanti. Basti pensare al moltiplicatore degli investimenti: ogni euro investito da Fondirigenti attraverso le iniziative strategiche/avvisi genera 10 euro ulteriori di domanda di formazione “green” da parte delle imprese, fondamentale per aumentarne in modo considerevole la produttività.
Sulla base dei nostri dati, inoltre, abbiamo elaborato un originale “indicatore di sostenibilità” dal quale è emersa la possibilità, con l’adozione dello smart working, di ridurre di 2,43 milioni di tonnellate l’anno il volume delle emissioni di CO2, con risparmi economici annui di 7,09 miliardi di euro. Tutte le elaborazioni sono rigorosamente appoggiate su fonti ufficiali.
Nel 2020, oltre a potenziare i finanziamenti volti ad aiutare manager e imprese nei profondi processi di trasformazione necessari per superare la crisi e impostare una solida ripresa, abbiamo investito più di 33 milioni di euro in avvisi, conto formazione e iniziative strategiche sui temi dell’innovazione, della sostenibilità e della governance e, per la prima volta, abbiamo impegnato risorse specifiche per indagare le ragioni del deficit manageriale nel Mezzogiorno e finanziare la domanda di formazione manageriale nel Sud. Ne è emersa una preoccupante e perdurante arretratezza manageriale delle imprese che, per il 48%, risultano nella classificazione “da 0 a uno dirigenti”; spesso, è l’imprenditore stesso a svolgere anche funzioni manageriali. In tutte le imprese rispondenti, inoltre, l’età media dei dirigenti è risultata piuttosto elevata. Tuttavia, è aumentata del 70% la richiesta di formazione sulla responsabilità sociale, un dato che fa ben sperare.
2. A seguito dell’emergenza sanitaria la trasformazione digitale ha subito una forte accelerazione in ogni settore. Come ha risposto il fondo alle nuove esigenze manifestate da imprese e dirigenti? Eravate pronti a sostenere un tale cambiamento in chiave green?
I piani formativi presentati dalle imprese hanno visto crescere in modo considerevole la domanda di formazione sui temi della responsabilità sociale e della sicurezza ambientale.
Grazie alla completa digitalizzazione dei piani formativi, e alla grande attenzione rivolta ad agevolare il passaggio dalla formazione in presenza a quella a distanza, l’azione del Fondo ha permesso di supportare la domanda di formazione di dirigenti e imprese registrando, in un periodo non certo facile, un incremento della FAD del 70%.
Il processo di digitalizzazione delle attività operato da Fondirigenti parte dal 2019 e comporta dei vantaggi green. Un indicatore sviluppato dal Fondo ne ha misurato il risparmio in 21,5 tonnellate di C02 e in circa 730 mila euro all’anno in termini di costi e tempi ottimizzati dagli aderenti e dal network dei soci sui territori. Tutte risorse che possono tornare a disposizione del “sistema” formativo manageriale.
Nel 2020 il Fondo ha approvato 23 “iniziative strategiche” di analisi dei fabbisogni e modellizzazione di strumenti utili alla gestione della transizione digitale e sostenibile del management. Le iniziative, dedicate ai territori, hanno coinvolto oltre 2 mila soggetti, fra imprese e manager.
3. Grazie Presidente, la salutiamo con lo  sguardo rivolto al futuro. Quali sono gli obiettivi su cui orientare l’impegno del Fondo a cui è affidato l’aggiornamento delle competenze manageriali del nostro Paese?
Per il futuro manterremo sempre al centro della nostra azione il management a cui spettano importanti responsabilità, anche sociali, per innovare e rendere competitivo questo Paese, specie in questo momento così delicato nel quale – anche per la gestione del Next Generation Italia – si avverte più che mai il bisogno di persone competenti in grado definire e implementare i pilastri su cui costruire il futuro di tutti noi, a cominciare dai più giovani a cui dovremmo dedicare la nostra più consapevole e convinta attenzione. Mi auguro che i risultati dell’Impact report e il dibattito sempre aperto con i manager e tutti gli stakeholder, possano fornire spunti di riflessione e di azione volti ad offrire modelli e strumenti utili ad interpretare e gestire i cambiamenti e a misurare i ritorni economici e ambientali che la formazione rende possibili. 

Decarbonizzare per una mobilità sostenibile

Decarbonizzare per una mobilità sostenibile

All’interno del processo europeo di decarbonizzazione, Eni, attraverso la Direzione Refining & Marketing, vuole giocare un ruolo da protagonista attivo, promuovendo una mobilità sostenibile volta a garantire la progressiva minimizzazione dell’impatto ambientale e un incremento di efficienza e qualità del servizio e dei prodotti

Nei prossimi anni è attesa una crescita della domanda di energia in un quadro caratterizzato da un impegno forte, almeno dell’Europa, verso una decarbonizzazione del continente. L’11 dicembre scorso il Presidente Von der Leyen  ha presentato la Comunicazione sul Green Deal, che rappresenta la prima priorità politica della nuova Commissione.

E’ chiaro che si prevede un trend di decarbonizzazione sempre più spinto e un contesto internazionale sempre più attento verso temi di sviluppo sostenibile e “social licence”. Queste tendenze plasmeranno il futuro e determineranno nuovi paradigmi di sviluppo che andranno a impattare sui modelli di consumo, di offerta e sui processi industriali.

In questo quadro di riferimento multi-sfaccettato, emerge la necessità di adottare un approccio sistemico che integri organicamente i trend emergenti di decarbonizzazione, ma anche la crescita inclusiva, sposandoli nel proprio piano di business. Nel percorso di decarbonizzazione dei trasporti Eni, attraverso la Direzione Refining & Marketing, vuole giocare un ruolo da protagonista attivo, promuovendo una mobilità sostenibile, grazie ad un approccio olistico di “technology neutral”, che punta ad identificare un mix sinergico di soluzioni innovative.

Questo approccio vuol garantire la progressiva minimizzazione dell’impatto ambientale e un incremento di efficienza e qualità del servizio e prodotti per la mobilità. Il tutto avviene attraverso l’adozione di diverse tecnologie con impatti su diversi orizzonti temporali, con iniziative “pronte” a fornire un contributo in termini di riduzione delle emissioni, e iniziative e tecnologie ancora “acerbe” ma che, nel lungo termine, potranno fornire importanti soluzioni. Le iniziative di economia circolare contribuiscono ad accrescere e a potenziare l’impatto delle nuove soluzioni tecnologiche per la mobilità sostenibile, ponendo in contatto diverse filiere produttive allo scopo di valorizzare scarti e rifiuti in nuovi prodotti e nuove soluzioni.

Tra gli esempi di economia circolare i biocarburanti rappresentano una soluzione in grado di offrire un contributo immediato alla riduzione delle emissioni e al contenimento delle risorse, valorizzando i rifiuti o biomasse non destinate al food o feed.  Tutto ciò è stato possibile grazie alla conversione di due raffinerie tradizionali in bioraffinerie:  Eni è la prima compagnia al mondo ad avere realizzato questo investimento con l’impianto a Porto Marghera, Venezia, nel 2014 e a Gela nel 2019. L’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) prodotto attraverso il processo Ecofining™, che trasforma materie prime di origine biologica in biocarburante, consente l’utilizzo di qualsiasi tipo di carica, di prima generazione (oli vegetali), scarti e rifiuti (oli alimentari usati e di frittura, e sottoprodotti di lavorazioni di materie prime vegetali e animali.Un’altra iniziativa riguardante la differenziazione dei feedstock delle bioraffinerie in ottica circolare, è la recente sperimentazione di un genotipo di pianta di ricino, non in competizione con la filiera alimentare, una pianta in grado di crescere in terreni predesertici e dalla quale è possibile ottenere un bio-olio che può essere utilizzato come feedstock delle bioraffinerie.

Inoltre nell’ambito dei biocarburanti Eni ha individuato alcune opportunità di sviluppo di progetti di biometano CNG ed LNG e ha stretto alleanze con il mondo agricolo attraverso MOU con Coldiretti, CIB (consorzio italiano biogas) e ConfagricolturaIl biometano potrà essere distribuito sia in forma gas compresso che in forma liquefatta (LNG)La rete di punti vendita di proprietà R&M che distribuiscono metano fossile in Italia conta circa 100 stazioni e 2 che distribuiscono il metano liquefatto. In quest’ottica è prevista la realizzazione di ulteriori  punti vendita per il metano gassoso e 8 per la vendita di metano liquefatto.

Eni ha avviato un programma di installazione di colonnine di ricarica presso le stazioni di servizio Eni, con la realizzazione di circa 1.000 punti di ricarica con potenza di ricarica fino a 50 kW. Nel processo di trasformazione delle stazioni di servizio rientra anche la realizzazione di una nuova stazione di servizio a San Donato Milanese (Milano) per la fornitura di idrogeno a FCV (Fuel Cell Vehicles); a tal riguardo è stato siglato accordo di partnership con Toyota che metterà a disposizione 10 vetture per la sperimentazione della mobilità ad idrogeno.

Infine si ricorda l’impegno più “visibile” di Eni in termini di mobilità sostenibile, ovvero il programma Enjoy, nato nel dicembre 2013 a Milano, un servizio di car sharing presente in Italia in 5 città (Milano, Roma, Firenze, Torino, Bologna) con 2.400 veicoli di cui autovetture e 100 Fiat Doblò.L’approccio adottato da Eni Refining & Marketing è pienamente in linea con la posizione dell’Unione Europea che fin dagli anni Novanta ha individuato, tra gli obiettivi prioritari in termini di competitività in ambito internazionale, la messa a punto di politiche mirate ad accrescere la mobilità riducendone, nel contempo, gli effetti negativi, soprattutto nelle aree urbane. In questo senso la diversificazione delle soluzioni nel rispetto delle istanze locali rappresenta la chiave interpretativa di un fenomeno complesso con non può essere risolto con la semplice elettrificazione del comparto del trasporto leggero.

Ridefinire le priorità

Ridefinire le priorità

Ridefinire le priorità: le politiche ambientali nell’autotrazione non devono, in piena crisi post epidemia, determinare ulteriori difficoltà al comparto industriale. Importante rivalutare strategie, ad esempio osservando che, nel periodo di massimo blocco del traffico, i livelli di inquinamento non si sono ridotti in proporzione

Prima di essere travolti dal dramma coronavirus, eravamo tutti bene attenti all’adozione di norme per un crescente rispetto dell’ambiente, una riduzione della CO2 e delle polveri sottili, anche in armonia con le direttive e le convenzioni internazionali. Tra le tante proposte di intervento l’obiettivo della decarbonizzazione nel sistema dell’autotrazione entro il 2030 era un mantra.

Tutti gli sforzi si sono concentrati verso la trasformazione della motorizzazione da termica ad elettrica, con qualche apertura verso l’utilizzo di fonti alternative come metano e GPL e con un orizzonte più lontano ed avveniristico verso lo sviluppo della alimentazione ad idrogeno. Questi gli orientamenti per il futuro.Ridefinire le prioritàNel presente la transizione green avrebbe avuto un costo (non so quanto calcolato). Un costo ed un rischio soprattutto per il sistema industriale dell’autotrazione in Italia, in ritardo rispetto all’aggressività delle case automobilistiche asiatiche.

Un onere ed un rischio giustificato dall’obiettivo di ridurre l’emissione di CO2, soprattutto delle polveri sottili ed altri inquinanti nocivi, oltre al contenimento della fattura energetica legata all’import di petrolio e gas naturale. Nella sommatoria dei plus e dei minus si ponevano quindi a confronto questi fattori.

L’irruzione del Covid-19 ha sparigliato molti parametri e determinato la necessità di rivalutare molte strategie e ridefinire le priorità. In primo luogo si è scoperto che, proprio nei giorni di massimo blocco della circolazione dovuto al lockdown, nelle principali città italiane le centraline di rilevazione non hanno registrato una riduzione proporzionale né di CO2 né di particolato né di polveri sottili.

I mezzi di informazione non hanno dato il dovuto risalto alla notizia, ma i dati sono a disposizione. Si è parlato del ritorno alla limpidezza dell’acqua dei laghi e dei fiumi ma non della persistenza delle polveri sottili.

Forse il sistema delle centraline non è del tutto affidabile e sarebbe utile pensare un suo superamento.

L’altro fenomeno determinato dal Covid-19 è stato il crollo delle quotazioni del petrolio e conseguentemente del gas naturale, così la fattura energetica non ha più quella incidenza che si registrava prima della crisi, spostando peraltro i problemi sulla tenuta occupazionale di un comparto tanto importante come quello dell’energia. La stessa coerenza del Piano Energetico Nazionale va rivista. Vanno riconsiderate tutte le valutazioni, vanno aggiornate le priorità.Ridefinire le prioritàPrima della crisi gli interventi in campo ambientale avevano una priorità assoluta su ogni altra considerazione, i costi e gli investimenti di riconversione trovavano un tempo di rientro lungo, giustificato dalla convinzione della improrogabilità di misure destinate alla salvaguardia dell’ambiente.

Ma la realtà determinata dalla crisi sanitaria (produzione industriale a marzo meno 38%, PIL 2020 meno 9.5%, rapporto D/PIL 155/160%) impone una profonda riflessione circa le scelte e gli orientamenti assunti nel periodo precedente alla crisi.

Va trovata, ove possibile, una mediazione tra obiettivi e condizioni reali del momento.

Nel caso dell’autotrazione, ad esempio, appare opportuno non spingere per provvedimenti che possano accentuare le difficoltà per il comparto industriale che produce in Italia. La riduzione delle emissioni potrà essere perseguito incentivando la rottamazione del vecchio parco dei mezzi da euro 0 ad euro 3. Si tratta di oltre 4.6 milioni di veicoli la cui sostituzione con veicoli di nuova generazione contribuirebbe sia alla riduzione degli inquinanti sia alla rivitalizzazione di un settore come quello dell’industria automobilistica.

Il tema della trasformazione tecnologica dei propulsori non va abbandonato ma va unicamente contemperato alle nuove priorità imposte dalla più grave e profonda crisi che abbia colpito l’intera comunità mondiale. Nel frattempo dovremo incentivare la ricerca per colmare il ritardo tecnologico e produttivo in cui ci troviamo, ad esempio nella produzione di batterie e sistemi di accumulo di energia elettrica. Anche in questo campo siamo in ritardo rispetto alle tecnologie e alla capacità produttiva dei Paesi dell’est asiatico e non solo. Anche in questo caso dovremmo riflettere sulle politiche adottate che ci hanno portato a cedere società come Marelli per calcoli meramente mercantili con la cessione non solo di marchio ed immagine ma soprattutto di know how.

 

Un rapporto sull'economia circolare

Un rapporto sull’economia circolare

Un contributo di Federmanager per indicare alle aziende produttrici di beni e servizi la via per rilanciare il sistema produttivo italiano, cogliendo le opportunità della “transizione verde”

L’impegno di Federmanager nel settore energia prosegue con la collaborazione scientifica di AIEE (Associazione Italiana Economisti dell’Energia). Dopo i primi due studi presentati nel 2017 e a gennaio 2019, di cui vi abbiamo parlato nell’ultimo numero di questa rivista, un terzo è in via di ultimazione e sarà presentato a inizio del prossimo anno. L’appuntamento con i temi dell’energia è ormai un momento di incontro periodico con i nostri iscritti, i politici, gli industriali e il mondo scientifico. I nostri rapporti sono ormai una pubblicazione importante e attesa dai player del settore.

Il nuovo studio si occupa di economia circolare, tema quanto mai attuale, da cui anche la nostra economia può trarre dei benefici. Questa edizione risponde alla domanda che è nel titolo del Rapporto: “Può l’economia circolare contribuire al rilancio del sistema Italia?” Con l’approfondimento intrapreso nel settore dell’energia, intendiamo indicare alle aziende produttrici di beni e servizi la via per rilanciare il sistema produttivo italiano cogliendo le opportunità che la “transizione verde”, e quindi anche l’economia circolare, offre per raggiungere gli importanti obiettivi ambientali del 2030 e del 2050.

Infatti, la trasformazione dei sistemi economici in sistemi “sostenibili” in senso ambientale impone una profonda riflessione su quali siano i modelli di business da scegliere e lo studio che presenteremo a inizio 2020 indica le soluzioni migliori sotto il profilo economico e ambientale per il conseguimento degli obiettivi energetico-climatici che l’Italia si è posta.

CONOU, il valore di fare sistema

L’attività del CONOU, il Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati, è uno degli esempi più virtuosi di economia circolare in Europa. L’efficacia della sua azione trae forza dall’integrazione sinergica di tutte le componenti della filiera, a partire dal segmento di raccolta

Il successo è sempre il frutto di un lavoro di squadra. Lo stesso si può dire per una grande organizzazione ambientale come il CONOU. Il Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati. Una storia importante, partita ufficialmente nel 1984, ma legata ad un secondo dopoguerra, quando la pratica del riciclo scaturiva più dalla carenza di olio lubrificante necessario per far ripartire il Paese che dalle teorie ambientaliste. La storia del CONOU ha evidenziato, con il trascorrere degli anni e dei risultati ottenuti, la volontà di conciliare le ragioni della tutela ambientale e quelle della convenienza economica grazie alla capacità di leggere le trasformazioni culturali, sociali ed economiche del Paese e di operare scelte strategiche conseguenti.

CONOU, il valore di fare sistemaOggi il CONOU è quella che si definisce “un’eccellenza”, uno tra gli esempi più virtuosi di economia circolare che l’intera Europa può vantare. L’efficacia dell’azione del CONOU trae forza dall’integrazione sinergica di tutte le componenti della filiera, a partire dal segmento della raccolta. Nel corso del tempo l’intervento del Consorzio ha reso infatti possibile la trasformazione di piccole aziende poco strutturate in imprese con un assetto industriale in grado di operare su tutto il territorio nazionale, senza sprechi nel campo della logistica. Aziende che hanno avuto la capacità di qualificare il proprio intervento, riorganizzandosi e adeguando la propria struttura gestionale e infrastrutturale all’esigenza di un’attività di raccolta sempre più accurata e specializzata. Una progressione resa possibile anche grazie alla gestione manageriale del Consorzio.

Una filiera all’insegna dell’efficienza

Oggi i Concessionari sono in grado di affrontare il nuovo obiettivo posto con forza dal CONOU: migliorare la qualità dell’olio usato.

Una sfida che implica un’azione costante di sensibilizzazione dei produttori di lubrificanti usati affinché adottino tutte le misure necessarie a differenziare i rifiuti industriali, nel rispetto della normativa vigente e per non correre il rischio di contaminarli rendendone difficile, e in alcuni casi impossibile, la rigenerazione. Un rigore che è andato via via estendendosi a tutti gli stakeholder e che si rispecchia nel road show che il Consorzio ha pensato e realizzato insieme a Confindustria per promuovere presso le imprese il tema della qualità degli oli stoccati e raccolti. CircOILeconomy, questo il nome dell’iniziativa, ha già coinvolto alcuni dei più importanti distretti imprenditoriali del nostro Paese, da quello bresciano alla vasta area industriale afferente il polo di raffinazione di Porto Marghera, a Venezia, e che prevede di proseguire il proprio itinerario presso altre importanti aree industriali. Quello della diffusione di una corretta informazione sulla gestione degli oli minerali usati rappresenta un mandato fondante per il CONOU, tanto che il Consorzio sta pensando di integrare l’accordo raggiunto con Confindustria con altre intese simili da sottoscrivere con tutte le grandi organizzazioni di rappresentanza a cui fanno capo, ad esempio, aziende multiservizi con estese flotte di mezzi.

Un esempio a livello europeo

La vita degli oli industriali usati si prolunga, anzi si moltiplica, grazie ovviamente all’intervento dell’industria della Rigenerazione, e quella italiana ha la leadership in Europa.

Anche in questo caso si tratta di una supremazia acquisita grazie ad una lungimirante strategia che ha previsto un profondo processo di razionalizzazione della rete impiantistica nazionale, che si è concentrata sullo sviluppo di tre principali siti di raffinazione. Come per la raccolta, anche in questo caso il percorso compiuto è stato accompagnato dall’azione di sostegno del Consorzio, che ha intravisto da subito la necessità di tenere nel debito conto parametri economici e andamento dei mercati che presentavano numerose complessità. Per parte sua l’industria della Rigenerazione ha messo in campo investimenti e innovazione tecnologica che l’hanno posta in condizione di lavorare anche tipologie di lubrificanti usati che fino a non molti anni fa venivano destinate alla valorizzazione energetica attraverso la combustione o la termodistruzione. Oggi, grazie all’organizzazione del Consorzio, ben il 99% degli oli raccolti viene condotto a rigenerazione per la produzione di olio base, bitume e gasolio. Dal 1984 a oggi il CONOU ha raccolto 6 milioni di tonnellate di olio usato, avviandone a rigenerazione 5,3 milioni e consentendo così la produzione di 3 milioni di tonnellate di olio rigenerato, un’attività che ha consentito un risparmio complessivo, negli anni, di 3 miliardi di euro sulla bilancia energetica nazionale. Solo nel 2018 sono state raccolte circa 187 mila tonnellate di lubrificante usato, ancora una volta in crescita rispetto all’anno precedente. Un dato che, secondo il Groupement Européen de l’Industrie de la régénération (GEIR) rappresenta il massimo quantitativo raccoglibile in questo ambito e che colloca l’Italia ai massimi livelli europei e internazionali.