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Tempi difficili

Tempi difficili

Tempi difficili: di fronte alle difficoltà che il Paese sta affrontando, i colleghi pensionati vivono momenti di incertezza e di viva preoccupazione. Intanto Cida e Federmanger sono presenti nelle stanze del governo e portano sui tavoli che contano le esigenze e le aspettative dei loro rappresentati ed il loro sacrosanto diritto ad una giusta pensione

Tenere una continuità di colloquio con i nostri associati in questo periodo non è proprio facile. Non è facile per il condizionamento fisico che ci viene dalle disposizioni governative in atto per contenere la nota pandemia, non è facile per gli argomenti dolorosi che abbiamo dovuto affrontare nei mesi passati che hanno riguardato alcuni colleghi più anziani e fragili, stroncati dal morbo, non è facile perché la situazione economica in cui è crollato il Paese potrebbe far sembrare perfino fuori luogo riprendere e discutere le questioni dei nostri diritti ed interessi. E poi non è facile per la scarsità delle novità che riguardano il mondo delle pensioni.

L’unica notizia certa che abbiamo in questo settore riguarda l’esame del ricorso presentato contro il cosiddetto contributo di solidarietà (più esattamente “riduzione della base lorda della pensione”) e la modifica, in peggio, del sistema di perequazione che la Corte Costituzionale ha messo in calendario per il prossimo 20 ottobre. Previsioni sull’esito non se ne possono fare, possiamo solo attendere, anche se il momento non ci induce a grande fiducia. C’è pessimismo in giro. Dai contatti quasi quotidiani che ho con i colleghi in pensione emerge in tutti una preoccupazione costante: cosa succederà alle nostre pensioni nel prossimo autunno, quando il governo dovrà affrontare i nodi della prossima finanziaria, magari non avendo completamente ottenuto gli aiuti e i prestiti tanto attesi dall’Unione Europea? E qualora l’emergenza coronavirus dovesse ripresentarsi con la virulenza che ben conosciamo, cosa succederà al nostro già fragile sistema economico, già ampiamente fiaccato da tanti mesi di lockdown? Dove finiremo se il Paese si troverà di nuovo a dover fare i conti con la chiusura di fabbriche e di ogni attività commerciale e sociale? Dove potranno essere presi i soldi per continuare ad elargire cassa integrazione, redditi di cittadinanza, redditi di emergenza e sussidi vari per le categorie più penalizzate?

Queste sono le preoccupazioni più “sentite” dai nostri colleghi che chiedono, allarmati, cosa stanno facendo Cida e Federmanager per evitare che, in piena emergenza, siano come al solito i pensionati, con i contributi di solidarietà, i reiterati blocchi della perequazione, i tagli indiscriminati e balzelli vari a pagare il conto più salato, a fungere come sempre da bancomat del governo, a risolvere, seppure soltanto in parte, i problemi finanziari di uno Stato apparso finora forse fin troppo assistenziale.

D’altra parte le grandi elargizioni finora distribuite a pioggia non pare abbiano raggiunto le finalità desiderate. L’operazione reddito di cittadinanza, ad esempio, doveva portare, in cambio dei miliardi stanziati e distribuiti, la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Risultato: appena qualche migliaio di occupati e tanti, tantissimi “no” ai lavori proposti. In compenso assunti qualche migliaio di “navigator”. Domanda: per fare cosa?Stesso discorso per i cosiddetti redditi di emergenza. Le aziende agricole, tanto per fare un altro esempio, sono in crisi profonda. E questo, in parte, perché chi percepisce il reddito d’emergenza dallo Stato non vuole rinunciarci e preferisce tenersi quello e non andare a sudare nei campi. Mah, fosse che nei provvedimenti assistenziali dello Stato ci sia qualcosa da rivedere?

Ma torniamo a noi. Cosa stanno facendo Cida e Federmanager, chiedevano i nostri iscritti. La risposta è abbastanza semplice anche se forse poco esaustiva. Fanno quello che in questi casi e in questi difficili momenti è possibile fare: sono presenti nelle stanze del governo e portano sui tavoli che contano le esigenze e le aspettative dei loro rappresentati.

I presidenti Cida e Federmanager sono stati sentiti nei giorni scorsi a Villa Pamphili, in occasione degli Stati Generali promossi dal Presidente del Consiglio, Conte, e hanno lasciato, per un attento esame, un documento esplicativo del pensiero dei dirigenti nell’attuale contingenza. Cosa succederà nei prossimi mesi è difficile poterlo prevedere. Troppe le variabili che potranno condizionare il futuro. Resta il fatto che i nostri colleghi in pensione, pur con le loro preoccupazioni per il futuro, rappresentano oggi un elemento di grande stabilità per la società italiana.

Si pensi a quanti di loro sostengono con le loro pensioni i familiari, molti dei quali versano in particolari difficoltà economiche, spesso proprio per le conseguenze sociali del coronavirus, si pensi a quei nonni che si sostituiscono ai figli nell’accudire i nipotini soprattutto ora con le scuole chiuse, si pensi dunque a quanti di loro assicurano non solo affetto ma anche sicurezza economica a tutta la famiglia, svolgendo alla fine un vero e proprio servizio sociale.

Mi riallaccio a questo proposito a quanto ho avuto modo di scrivere in un articolo pubblicato qualche mese fa su questa stessa rivista: i pensionati, gli anziani in generale, vanno tutelati, vanno protettiÈ ora di smetterla con i prelievi ingiustificati sulle loro pensioni, con le angherie e i soprusi mascherati da forzosi contributi di solidarietà. Uno Stato che si rispetti, un governo come quello attuale che dice di preoccuparsi tanto del bene dei suoi cittadini, tanto da destinare miliardi e miliardi alle cosiddette fasce deboli con i molteplici provvedimenti a pioggia che abbiamo visto, non può non preoccuparsi della sicurezza e della stabilità degli anziani, di questo delicato e fragile segmento della popolazione del Paese.

I nostri pensionati, pur se anche loro naturalmente anziani, non cercano tutele o protezioni particolari e men che mai privilegi. I nostri pensionati, oltre al rispetto dei loro diritti, vogliono che venga riconosciuta loro esclusivamente la certezza ad avere la giusta pensione, la pensione per la quale hanno lavorato per anni, in modo onesto e serio, pagando tasse e contributi fino all’ultimo centesimo, rispettando regole e convenzioni. La loro maggiore preoccupazione è che ancora una volta questi loro diritti non verranno rispettati. E come diceva un politico d’altri tempi, “a pensar male si fa peccato ma purtroppo molto spesso ci si azzecca!”.

Quello che più appare perverso nei provvedimenti presi dai diversi governi contro le nostre pensioni non è tanto l’occasione della riduzione della pensione, dunque il fatto occasionale, quanto piuttosto la continuità di questi provvedimenti che si sono concatenati l’uno all’altro, anno su anno, da ormai oltre un decennio. Ravvisiamo in questo una profonda illegittimità. Ed è per questo che temiamo per il prossimo futuro. Sembra quasi che i governi si siano passati il “testimone”, come in una ipotetica corsa a “staffetta”. Ogni governo ha fatto il suo, cercando, coscientemente, di togliere un po’ di soldi ai pensionati pur dichiarando, con parecchia faccia tosta, che mai quel governo avrebbe messo le mani nelle tasche dei cittadini.

Ma evidentemente in quelle dei pensionati sì.

L’Intelligence a tutela degli interessi nazionali: dalla sicurezza economica a quella cibernetica

L’Intelligence a tutela degli interessi nazionali: dalla sicurezza economica a quella cibernetica

Le funzioni, attribuzioni e responsabilità del Comparto intelligence nazionale sono state incise in maniera profonda dalla legge 124 del 2007, istitutiva del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica. Con la legge di riforma si schiuse l’orizzonte della tutela di un novero di interessi nazionali ben più ampi rispetto al consolidato ambito “politico-militare”, orientando il lavoro dell’Intelligence moderna anche alla difesa degli interessi economici, scientifici ed industriali dell’Italia.

I Servizi sono oggi chiamati a lavorare anche per sostenere l’impegno del Paese nella competizione economica su scala planetaria. Rientra, infatti, fra i compiti del Comparto quello di mettere a fattor comune tutte le sue risorse per finalizzarle alla tutela di una sicurezza nazionale intesa in senso ampio, nella quale la dimensione cosiddetta “ecofin” è per l’appunto centrale, come si conviene ad un’economia di mercato quale è la nostra, fortemente internazionalizzata e caratterizzata da un elevato grado di apertura al commercio internazionale.

Per “sicurezza economica” si intende, peraltro, non una semplice congerie di informative puntiformi sui fattori di rischio per questa o quella singola componente del nostro tessuto produttivo o del nostro sistema di infrastrutture critiche, bensì – come di fatto accade e come è doveroso che accada in una Nazione a costituzionalismo democratico – un approccio organico che, esclusivamente sulla base della pianificazione informativa approvata dal Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR), munisce i titolari del “decision making” governativo del dato informativo e degli strumenti conoscitivi necessari per tutelare l’interesse nazionale ed i gangli vitali del Sistema Paese.Decisiva diventa l’osmosi tra pubblico e privato, poiché, in concreto, non può esserci sicurezza economica nazionale se non vengono efficacemente tutelati tutti i soggetti imprenditoriali privati esposti a rischi, minacce o aggressioni che minano il patrimonio tecnologico, il know how industriale, i marchi, le strategie e le “brand reputation”. A cominciare da coloro i quali gestiscono infrastrutture critiche, erogano servizi di pubblica utilità ed operano nei settori strategici del Paese. Ma non solo: anche di tutti quelli che, compreso il tessuto di piccole e medie imprese, danno corpo al nostro sistema produttivo e che, per ciò stesso, sono chiamati ad un coinvolgimento attivo e responsabile, anzitutto in termini di consapevolezza diffusa e di abito mentale.

La sicurezza non deve essere più considerata un costo, bensì “l’investimento” per eccellenza dal quale, in misura crescente nel prossimo futuro, dipenderà la buona riuscita di qualsiasi altro. È, infatti, arduo immaginare che la competizione internazionale possa farsi, d’ora innanzi, “meno” accesa ed agguerrita. Al contrario, sarà sempre più connessa agli avanzamenti tecnologici e cibernetici, e sarà sempre più incline, nella sua declinazione concreta, a profilare “trappole” e forme mascherate di aggressione, specie nell’ambito degli investimenti diretti esteri, delle operazioni di fusione e acquisizione e dei fenomeni di concorrenza sleale in danno delle nostre imprese, di cui l’Intelligence ha ampiamente trattato nella Relazione annuale al Parlamento.

È utile, in sostanza, rafforzare gli strumenti a disposizione dell’Intelligence nazionale. Che, è bene ricordarlo, da ben prima che l’epidemia di Coronavirus dilagasse e si riverberasse sull’economia nazionale e mondiale poteva già fare affidamento su una cornice normativa molto robusta ed avanzata. A profili di rischio, attacchi, vulnerabilità ed ingerenze a matrice ibrida, che tendono a dissolvere la distinzione fra minaccia cibernetica e minaccia economico-finanziaria, può infatti corrispondere un livello di resilienza adeguato solo a condizione di disporre di una disciplina organica a tutela degli interessi nazionali nei settori strategici.

In particolare, la novellazione e la conseguente risistemazione del quadro normativo in materia di sicurezza nazionale attuate nel corso del 2019 hanno costituito, nella loro essenza, un tentativo ben riuscito di declinare in maniera moderna l’interesse nazionale. Sullo sfondo di una crescita culturale e di una presa di coscienza vieppiù ampie, incoraggiate dalle campagne nazionali di consapevolezza e formazione promosse dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), sono state infatti adottate innovative iniziative legislative intese ad elevare il livello di prevenzione e contrasto delle minacce legate alla trasformazione digitale.Vi era, in sostanza, una priorità non dilazionabile: imbastire una compiuta, articolata e coerente traduzione normativa della nozione di interesse nazionale, volta a mettere in sicurezza tutto quello che deve esserne considerato il cuore, vale a dire il know how, gli assetti, i sistemi, le reti ed i servizi di valore strategico: tutto ciò che, alla luce dell’estensione sconfinata del cyberspazio, della ramificazione capillare delle infotecnologie e della traslazione nel mondo digitale di quasi ogni aspetto della vita umana, va considerato come l’insieme degli “organi vitali” per antonomasia di un Paese.

È stato dunque finalizzato un impianto normativo che costituisce un esempio molto sofisticato di legislazione in materia di sicurezza nazionale e che dà corpo ad un vero e proprio “sistema integrato” di scrutinio degli investimenti e scrutinio tecnologico.

In chiave di intelligence economica, a rilevare sono, specificamente, i profili di scrutinio degli investimenti, nella misura in cui tale filone dell’attività degli Organismi si dipana proprio “in armonia con” e “a supporto del” framework di tutela che trova nella normativa sul Golden Power asse portante e punto di riferimento.

In conclusione, l’architettura normativa che disciplina il Comparto informativo nazionale prese le mosse, nel 2007, dagli spartiacque che segnarono quell’epoca e per tale motivo risulta, ancor oggi, solida nell’impianto e, parimenti, flessibile nell’adattabilità al cambiamento.

Il Paese può, dunque, fare affidamento su un’Intelligence alla quale, in ciascuno degli ambiti di sua pertinenza, sono connaturate tanto la propensione a cogliere il cambiamento, quanto l’attitudine ad assolvere alla propria missione istituzionale accostandosi con senso di responsabilità agli interrogativi cui il decisore politico e la cittadinanza la chiamano a rispondere: con il perseguimento del bene comune quale unica bussola, in piena aderenza agli obiettivi fissati dall’Autorità di Governo e sotto il controllo parlamentare.

Scelte giuste, scelte obbligate

Scelte giuste, scelte obbligate

Scelte giuste, scelte obbligate. Nell’avvio della “fase 2” prioritarie rimangono la sicurezza e la salute. Al governo chiediamo linee guida comuni che tutelino i posti di lavoro, evitando confusione, superando contrapposizioni e riconoscendo il ruolo fondamentale che le organizzazioni di rappresentanza svolgono sul piano operativo. Servono responsabilità e competenza, per questo è importante affidarsi ai manager d’azienda

È con prudenza, ma grande determinazione che dobbiamo avviare la cosiddetta “fase 2”, una fase estremamente delicata, in cui è indispensabile non commettere errori, ma anche muoversi con slancio, rapidità ed efficienza.

Come ho più volte sostenuto, la questione va posta sul “come” ripartire, non certo sui tempi. A chi mi ha chiesto finora quando riaprire l’industria, ho sempre risposto subito. Perché è il “come” aprire l’unica vera variabile da considerare.

La prima scelta riguarda la sicurezza e la salute dei lavoratori. Senza garanzie adeguate su questo, l’Italia può solo retrocedere. Seconda scelta riguarda la catena di comando. Una riapertura a “macchia di leopardo” come alcuni prospettano potrebbe essere un boomerang. Non ci possono essere divergenze o localismi nella ripartenza, bensì scelte condivise: un Paese coeso e unito è quello di cui tutti abbiamo bisogno.

Questo, attenzione, nel rispetto della ricca diversità territoriale che caratterizza il nostro tessuto industriale. Ogni industria, ogni piccola o media impresa deve essere lasciata libera di poter adottare le migliori soluzioni per la continuità del business in raccordo con tutti gli stakeholder e nel rispetto di un quadro normativo e autorizzativo chiaro.

Siamo ancora lontani da questo orizzonte. E questo è il terzo impegno da prendere.

Al governo chiediamo linee guida comuni che tutelino i posti di lavoro e la salute evitando confusione, superando contrapposizioni e riconoscendo il ruolo fondamentale che le organizzazioni di rappresentanza svolgono sul piano operativo. Mai come in questo momento la capacità di riorganizzare il lavoro e di tutelare la salute dei lavoratori deve passare attraverso chi ha l’onere della rappresentanza, con l’obiettivo di cambiare i vecchi modelli di relazioni industriali per disegnarne di nuovi.

Bisogna proteggere gli asset strategici, come ha fatto il Governo con la golden power ad esempio, ma anche irrorare di liquidità le imprese che possono vincere la sfida. Scegliendo, ancora una volta, chi sostenere, su cosa puntare, come muoversi in Europa.

Stime attendibili preannunciano che il Pil italiano si ridurrà di oltre il 10% nei primi due trimestri del 2020. In termini di finanza pubblica, il deficit previsto nel Def per il 2020 torna a livelli mai sperimentati dalla firma del trattato di Maastricht. Se guardiamo ai nostri conti, dobbiamo avvertire molto stringente l’obbligo di utilizzare bene le risorse che abbiamo. Stiamo facendo debito, un debito ingente che graverà sulle generazioni a venire. Perciò serve responsabilità. Ancora una volta, serve scegliere.

Ci vuole competenza, in questo momento, a tutti i livelli. Lo ripeto, non possiamo e non vogliamo sbagliare. Ma non possiamo certo restare immobili. Dobbiamo scegliere e agire, e affidarci a chi, come i manager d’azienda, dimostra di possedere la competenza per farlo.

 

Welfare, la manovra conferma gli incentivi

Welfare, la manovra conferma gli incentivi

Come l’anno scorso anche la Legge di bilancio 2020 non cambia il quadro normativo del welfare aziendale su deducibilità e conversione dei premi di risultato. Ricordiamo che nel triennio 2016-2018 il Governo aveva lanciato riforme che hanno sostenuto lo sviluppo di questo settore in Italia

Ma quali sono le attuali agevolazioni fiscali e, più in generale, qual è il quadro normativo? La Manovra del 2017, come quella del 2016, era intervenuta con misure ad hoc muovendosi principalmente in due direzioni.

Da una parte aveva deciso per un “allargamento” del perimetro del welfare aziendale che non concorre al calcolo dell’Irpef (includendo servizi tra cui l’educazione, l’istruzione e altri benefit erogati dal datore di lavoro, per poter fruire di servizi di assistenza destinati a familiari anziani o comunque non autosufficienti).

Dall’altra parte aveva ampliato, nei numeri, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale stesso. In alternativa i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Nel dettaglio, il tetto massimo di reddito di lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata è di 80mila euro, mentre gli importi dei premi erogabili sono di 3mila euro nella generalità dei casi e di 4mila euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Infine, la sanità integrativa può andare oltre il limite di deducibilità previsto dalle norme fiscali utilizzando il premio di produttività.

Autonomia differenziata, quali prospettive?

Autonomia differenziata, quali prospettive?

Il tavolo tecnico organizzato da Federmanager Roma il 26 marzo, chiamando a partecipare Istituzioni, Tecnici e Stakeholder, ha dato il via al dibattito: quale futuro per Roma e per il nostro paese?

All’incontro, moderato dal giornalista de Il Messaggero Andrea Bassi, hanno preso parte il Presidente Federmanager Stefano Cuzzilla, il Presidente Federmanager Roma Giacomo Gargano, il Viceministro dell’Economia e delle Finanze Laura Castelli, l’on. Francesca Gerardi – Vice Capogruppo Commissione Finanze Camera dei Deputati, il prof. Adriano Giannola – Presidente Svimez, l’Ing. Nicolò Rebecchini – Presidente Acer, il dr. Gianfrancesco Romeo – Capo Ufficio Legislativo Ministro per il Sud – il dr. Lorenzo Tagliavanti – Presidente Infocamere e l’Ing. Filippo Tortoriello Presidente Unindustria Lazio.Autonomia differenziata, quali prospettive? Come ricordato dal Presidente Federmanager Roma, Giacomo Gargano, con il dibattito organizzato il 26 marzo, si è voluto “favorire un confronto su una questione delicata che oltre a spostare risorse per miliardi di euro, si parla di oltre 21 miliardi, ha ripercussioni politiche, economiche, istituzionali e costituzionali con ricadute considerevoli sul futuro di molti territori”. “Va scongiurato il rischio di aumento della distanza tra regioni ricche e regioni povere.ha sottolineato il Presidente –  Si deve pensare ad una soluzione per far fronte a questioni di fondamentale rilevanza come quelle dell’ambiente, del settore energetico e delle infrastrutture e del governo del territorio. Per non parlare di scuola e sanità”. Roma? Merita un progetto di sviluppo strutturato al pari delle grandi capitali europee e va tutelata nella sua funzione di capitale del Paese. “Bisogna sicuramente evitare il depauperamento di territori già compromessi – ha continuato il Presidente Gargano –. Serve un progetto concreto di sviluppo che porti risorse adeguate, sia pubbliche che private, che siano in grado di arginare il rischio di un aumento del divario già esistente”. Dello stesso avviso il Presidente Federmanager Stefano Cuzzilla che, nel ringraziare il Presidente Federmanager Roma in apertura del dibattito, ha ricordato: “Ben vengano le trasformazioni ma ragionate. Le regioni devono poter camminare alla stessa velocità – ha proseguito il presidente Cuzzilla – Abbiamo regioni virtuose che è importante vengano supportate nei più diversi settori: dalla sanità, all’energia, ai trasporti. Per non parlare di una grande sfida che è quella della logistica“.

I rischi?

Con l’autonomia differenziata regionale, insomma, c’è il rischio concreto, come qualcuno paventa, di una “disarticolazione” dello Stato in poche mosse per fare di Roma una scatola vuota? Sono state poste domande importanti che hanno coinvolto i presenti e animato il confronto. “Ci sono alcune misure richieste nell’autonomia regionale differenziata ha sottolineato il Vice Ministro Laura Castelliche andrebbero estese a tutte le Regioni, perché renderebbero l’Italia migliore. Il tema dell’autonomia è sicuramente un’occasione da non perdere, per aumentare la competitività dell’intero Paese. In questo – ha concluso – si incastra anche il lavoro che come Governo stiamo facendo per la riforma del TUEL, che incide sulla possibilità per molte realtà di rafforzarsi”. Il tema, insomma, è di quelli particolarmente “spinosi” che stimola numerose riflessioni a 360 gradi.Il professor Giannola, in assoluta controtendenza rispetto al Viceministro, ha ricordato: “Queste intese modificano esattamente il punto della Costituzione che parla di uguaglianza tra i cittadini, anzi cristallizzano il fatto che i diritti non sono gli stessi in tutti i territori. Qui c’è un problema surrettizio, quello di voler cambiare la Costituzione“. Rispetto alle considerazioni del Viceministro Castelli sulla “questione del Nord” il professor Giannola è categorico: “Avere più risorse per far riprendere il Vento del Nord è un’illusione. Dobbiamo pensare a qualcosa di più inclusivo e che comprenda anche il Vento del Sud se vogliamo evitare che l’Italia vada a sbattere e finire commissariata entro tre anni. Edulcorare questi aspetti è una grossa responsabilità“. “L’autonomia può andare beneha aggiunto il professor Giannolama perché allora nella bozza delle intese si parla di autonomia come rivendicazione del cosiddetto residuo fiscale finanziario? Si chiede un riconoscimento del ruolo della capacità fiscale ma è un concetto contro il diritto di cittadinanza dell’approccio costituzionale”.

Serve un piano strategico per Roma

Sono tematiche su cui occorre avere un approccio laicosottolinea nel suo intervento Filippo Tortorielloil   livello essenziale delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini, è questa la responsabilità che si deve assumere lo Stato. Pensiamo alla sanità. Il tema delle autonomie differenziate, così come è stato pensato, rischia di rendere ancora più difficile la situazione per Roma. Le capitali di tutto il mondo sono le locomotive per l’economia del paese. Occorre, dunque, un piano strategico per fare di Roma una città attrattiva, resiliente e internazionale“.

Sulla necessità di attuare un nuovo modello più competitivo per Roma è d’accordo anche Nicolò Rebecchini: “Il rischio che le autonomie così concepite possano avere una ricaduta sugli aspetti economici della città è reale. Regioni ricche che continueranno ad arricchirsi e impoverimento e disoccupazione per la nostra città. Bisogna però cavalcare questo momento di spinta di autonomia regionalista per poter inserire il problema della nostra capitale altrimenti il futuro sarà sempre più difficile“.

Secondo Tagliavanti che non apprezzaquesto federalismo fai da te“, “non è solo un problema di soldi ma di funzioni“. La Roma moderna è la Roma Capitale, una Roma capace di poter competere con l’Europa, un’esigenza istituzionale per la realizzazione di uno status diverso per la città. E Tagliavanti ricorda, per sottolineare che non si tratta solo di un problema di soldi, che “con i numeri del residuo fiscale dopo la Lombardia, c’è il Lazio, quindi a Roma converrebbero anche le autonomie“.

Insomma, tocca capire, come ricorda Gianfrancesco Romeo, “quanto si può cavare davvero dalle materie delle autonomie differenziata, quanta autonomia si può prendere e si può chieder realmente, quanto l’attuale tessuto costituzionale ce lo permette“. L’onorevole Francesca Gerardi spiega: “Questo tavolo è un momento molto importante per ascoltare i diversi pareri. Promuovere queste autonomie serve ad alleggerire i conti dello Stato e a gestire al meglio le proprie risorse per distribuirle a pioggia sul resto dell’economia. Ritengo che sia un’opportunità da non perdere ma è anche necessaria una migliore comunicazione tra Regioni e Stato. Penso al problema dei rifiuti. Con l’autonomia regionale si potrebbero risolvere anche questi problemi“.

Le conclusioni del Presidente Gargano

Il tavolo tecnico, insomma, è stato un vero e proprio confronto, a tratti animato, sempre molto verticale su problematiche e soluzioni. Il presidente di Federmanager Roma ha precisato, nel suo intervento finale: “Su questo tavolo oggi sono state dette cose importantissime. Si è capito che l’autonomia non è una cosa negativa come era stata presentata inizialmente, che è necessaria ma che va affrontata con tutti i criteri, con senso di responsabilità. Per questo chiedo al governo e a ognuno di noi di fare il proprio ruolo perché anche noi, quando il tema verrà portato in Parlamento, dobbiamo essere ascoltati. Roma deve essere considerata nel modo che le spetta perché è la Capitale d’Italia. Siamo noi che dobbiamo dare indicazioni e che possiamo farlo su tutte le cose che succedono in questa città. Il futuro dipende anche da noi perché depauperare Roma significa depauperare il paese, significa togliere tutto quello che c’è di collante tra Nord e Sud. Parlamento e parti sociali devono intervenire e collaborare insieme. Ecco il nostro auspicio. Abbiamo in Italia degli esempi così importanti, dobbiamo trovare il modo di utilizzarli e migliorarli“. “Ringrazio tutti i partecipanti al tavoloha concluso il Presidente Federmanager Romaa cominciare dalle Istituzioni che hanno accettato di intervenire oggi. I nodi da sciogliere sono intricati e cruciali. Il nostro auspicio è che si opti per una soluzione che agisca nel rispetto delle peculiarità territoriali e pensi ad un’Italia con un futuro di peso in Europa”.