Dimostra che sei un essere umano


Gherardo Zei

Editoriale del Presidente: Parliamo di Sanità

Editoriale del Presidente: Parliamo di Sanità

Nel mio articolo sull’ultimo numero della nostra rivista Professione Dirigente ho ricordato come la nomina a dirigente di ciascuno sia stata importante, non solo per la carriera, ma anche per il fatto di entrare nella famiglia della previdenza e dell’assistenza sanitaria della nostra categoria professionale.

Del resto, è cosa nota che il dirigente è talmente immerso nelle problematiche aziendali che ha poco tempo per occuparsi delle proprie esigenze personali e rischia di trascurare se stesso e la propria famiglia. Quindi un aiuto in materia di previdenza e di assistenza sanitaria, specie considerando l’invecchiamento della popolazione anche dirigenziale, diventa un fattore decisivo in materia di benessere personale ed esistenziale.

In questo contesto sociale vi faccio una domanda retorica: cosa potrebbe essere meglio per ognuno di noi delle nostre casse sanitarie che non hanno fini di lucro, non fanno selezione del rischio e, soprattutto, non danno recessi? Nulla potrebbe essere meglio e, infatti, siamo pienamente consapevoli che il PREVINDAI, il FASI, l’ASSIDAI e, per quanto di competenza, PRAESIDIUM saranno sempre al nostro fianco anche quando saremo vecchi e stanchi.

Dopo quell’articolo molti colleghi mi hanno contattato esprimendomi condivisione e sostegno per quello che avevo scritto. Tanti altri mi hanno chiesto cosa si potesse fare per migliorare ancora il nostro sistema di welfare. Alcuni hanno sottolineato le criticità del sistema sanitario nazionale e come tali criticità impattino – in un modo o nell’altro – anche sulle nostre casse. Ma, soprattutto, moltissimi mi hanno chiesto di approfondire e allargare il dibattito in materia di sanità e di welfare sanitario dei dirigenti, per poter avere in tal modo più informazioni e capire bene cosa fare nelle varie situazioni che colpiscono la vita dei colleghi e delle loro famiglie.

A seguito di tutte queste sollecitazioni sono tornato con la memoria a quanto mi è spesso accaduto in questi dieci lunghi anni in cui ho ricoperto dapprima la carica di vicepresidente e poi quella di presidente di Federmanager Roma. Quante telefonate ho ricevuto dai colleghi per un aiuto o un consiglio in materia di welfare sanitario? Non potrei dire il numero esatto ma molte centinaia sicuramente. E cosa chiedevano i colleghi? In realtà nella stragrande maggioranza dei casi avevano bisogno soltanto di informazioni.

Perché, se torniamo a quello che ho detto prima, dobbiamo constatare i dirigenti non hanno, spesso, proprio il tempo materiale di occuparsi dei propri problemi personali e, quando accade qualcosa come una malattia improvvisa propria o di un proprio famigliare, si guardano intorno e si accorgono di avere bisogno subito di chiare informazioni su come procedere per attivare le tutele di FASI e ASSIDAI. Noi in Federmanager Roma abbiamo un ufficio molto efficiente che si occupa di queste problematiche sotto l’assiduo coordinamento del nostro Direttore Carlo Imperatore, un ufficio che è sempre stato un fiore all’occhiello della nostra Associazione Territoriale e – quindi – nella maggior parte dei casi io, a seguito delle richieste di aiuto dei colleghi, non ho dovuto fare altro che far telefonare a questi colleghi dirigenti da parte delle nostre valide collaboratrici che, in breve tempo, li hanno informati risolvendo i loro dubbi e – ove possibile – tutti i problemi.

Ogni volta ringraziavo in cuor mio la lungimiranza e grande capacità dei precedenti presidenti Stefano Cuzzilla, Nicola Tosto e Giacomo Gargano che, negli anni, hanno sempre curato questo straordinario presidio consegnandolo in perfetto stato di efficienza ai presidenti futuri e a tutti i colleghi. E certamente io non interromperò questa catena virtuosa e anzi, per quanto le nostre risorse ce lo consentiranno, cercherò di implementarla.

Riflettendo su questo ho pensato allora, insieme ai colleghi del Team della Comunicazione coordinati da Mauro Marchi, di dedicare la nostra Assemblea del 2023 al tema della sanità per i nostri colleghi. Un’assemblea finalizzata a ragionare insieme, tra di noi e con ospiti importanti, su come migliorare il nostro sistema, su come aiutare il Paese a migliorare il proprio sistema sanitario e anche (e direi soprattutto) su come tenere costantemente informati i colleghi sulle possibilità che il welfare esistente di Federmanager già offre loro. Opportunità che rischiano di non poter cogliere a causa del poco tempo a disposizione per i tanti impegni di lavoro.

Tutto questo anche perché non sia dimenticato e – anzi – sia sempre tenuto presente e implementato quel valore inestimabile che probabilmente noi colleghi dirigenti (me compreso) non valutiamo sufficientemente e non apprezziamo abbastanza. Il valore legato al fatto che in FASI e in ASSIDAI, così come in PREVINDAI e in PRAESIDIUM, la Governance è composta da colleghi in buona parte nominati dai nostri organismi nazionali di Federmanager e – pertanto – davanti a qualsiasi problema di salute o di sussistenza il nostro collega dirigente, magari anziano e stanco,  troverà sempre in questi Enti un collega che lo capisce e che, anche umanamente, gli è vicino e che farà di tutto, ovviamente nei limiti dei regolamenti e della legittimità, per aiutarlo, magari anche sacrificando qualcosa per se stesso.

E davvero posso garantire che trovarsi a chiedere una mano di aiuto ad un proprio collega è una cosa totalmente diversa che trovarsi a farlo nei confronti di un assicuratore che sta cercando di massimizzare gli utili della propria azienda per raggiungere gli obiettivi sfidanti che gli sono stati assegnati. Non bisogna dimenticare – infatti – che la maggior parte dei colleghi impegnati nella Federazione – me compreso – prestano la propria collaborazione a titolo gratuito, ma che lo fanno con convinzione perché ogni volta che tendono la mano a un collega pensano che un giorno anche loro potrebbero avere bisogno di aiuto e che quando questo aiuto lo chiederanno dovranno averlo precedentemente meritato.

Editoriale del Presidente: La Sanità per i dirigenti industriali

Editoriale del Presidente: La Sanità per i dirigenti industriali

La nomina a dirigente di ciascuno di noi non è stata importante solo per il ruolo organizzativo o per la retribuzione ma anche per il fatto di entrare nella famiglia della previdenza e dell’assistenza sanitaria della nostra nuova categoria professionale. Infatti, quel giorno nel quale ci siamo trovati, davanti a un collega della Direzione delle Risorse Umane, a firmare una piccola montagna di fogli di carta che sancivano quell’importante momento di passaggio nella nostra vita lavorativa, abbiamo anche sottoscritto dei documenti di adesione per gli Enti Previdenziali e di Assistenza Sanitaria dei dirigenti, tra i più importanti dei quali sappiamo bene che ci sono il FASI, il PREVINDAI e l’ASSIDAI.

Negli anni molti colleghi mi hanno detto che in quel momento sono stati quasi più contenti per l’opportunità di aderire agli Enti piuttosto che per l’aumento di stipendio e per il ruolo conseguito. Quale il motivo di questo approccio apparentemente sorprendente? Ma forse non devo spiegarlo a voi. Credo che sia infatti nozione comune che le nostre casse sanitarie non hanno fini di lucro, non fanno selezione del rischio e, soprattutto, non danno recessi.

Quindi qualsiasi dirigente è consapevole che il FASI e l’ASSIDAI non lo “butteranno mai fuori” e saranno al suo fianco anche quando sarà vecchio e stanco. Inoltre, c’è un valore inestimabile che probabilmente nemmeno tutti i nostri colleghi valutano sufficientemente. In FASI e in ASSIDAI la Governance è fatta da colleghi in buona parte nominati dai nostri organismi nazionali di Federmanager e, quindi, davanti a qualsiasi problema il dirigente, magari anziano e stanco, che si trovi ad avere un deficit di salute, troverà sempre in FASI in ASSIDAI e in PREVINDAI un collega che lo capisce e che, anche umanamente, ha spirito fraterno di colleganza nei suoi confronti. E una cosa è trovarsi a chiedere una mano di aiuto ad un proprio collega mentre tutt’altra cosa è trovarsi a farlo nei confronti di un assicuratore che sta cercando di massimizzare gli utili della propria azienda.

Al riguardo vi racconto un piccolo aneddoto. Tanti anni fa quando ero membro della RSA di un importante Gruppo nazionale, alcuni colleghi mi dicevano di avere qualche problema tecnico nel richiedere i rimborsi del FASI. Quindi un giorno, in una nostra assemblea interna, io proposi ai presenti che mi fosse dato il mandato di andare a chiedere, a nome di tutti, un appuntamento al Presidente del FASI per cercare di farci dare una mano su tali problematiche. Qualcuno dei colleghi mi disse che il FASI era un gigante e che le mie richieste sarebbero state ignorate. Ma io insistetti che volevo provare lo stesso e, alla fine, ricevetti l’imprimatur dell’assemblea. Dunque, chiesi un appuntamento che mi venne dato molto facilmente e, dopo pochi giorni, conobbi il Presidente del FASI che altri non era se non il nostro Presidente Nazionale Stefano Cuzzilla che da quel giorno è diventato un mio amico anche sul piano personale.

Stefano, infatti, si mise subito a nostra disposizione e mandò un Dirigente FASI a fare un rapido corso di formazione ad un dipendente della nostra Amministrazione Dirigenti che – da quel momento in poi – fu in grado di risolvere tutti i problemi dei nostri colleghi. E poco tempo dopo Stefano Cuzzilla venne addirittura a presenziare alla nostra assemblea interna e gli presentammo l’Amministratore Delegato. Insomma, venne dimostrato che il FASI ci era vicino nella persona del suo Presidente perché lui era un nostro collega. Questo servizio interno di assistenza ai colleghi nella richiesta delle prestazioni FASI e ASSIDAI esiste tutt’ora in quell’azienda e i colleghi giovani nemmeno sanno che tutto nacque da una mia iniziativa e dalla disponibilità del Presidente Cuzzilla. Questo episodio lo considero un po’ il simbolo di come nei nostri Enti Sanitari e Previdenziali emerga come un grande valore il fatto che tali Enti sono gestiti da colleghi.

Inoltre, i nostri enti sanitari hanno un altissimo valore sociale per il Paese perché grazie al nostro impegno mutuo sgravano il Servizio Sanitario Nazionale da un certo volume di impegni. Qualche anno orsono una figura politica molto importante in campo sanitario in un governo dell’epoca ci disse che questo contributo di FASI e ASSIDAI era molto apprezzato dal governo perché il Servizio Sanitario Nazionale generalista soffriva la costante insufficienza di risorse.

Purtroppo questo apprezzamento, che deriva dalla semplice constatazione di un dato di fatto, non si è mai concretizzato nei vari governi di qualsiasi orientamento nell’adozione di misure recanti consistenti sgravi fiscali per i nostri Enti, come sarebbe stato meritato e equo nei nostri confronti ma anche vantaggioso per il Paese, in quanto avrebbe dato luogo ad un ulteriore aumento delle attività delle coperture private con alleggerimento aggiuntivo per il SSN certamente superiore ai volumi degli sgravi concessi.

Invece, malauguratamente, i volumi economici versati dai colleghi per le nostre casse sanitarie e previdenziali sono spesso stati considerati in maniera erronea come delle opportunità per imposizioni aggiuntive o anticipate, con il risultato di scoraggiarne l’utilizzo.

Per quanto riguarda la previdenza è nozione comune che l’insufficienza degli sgravi e il pagamento anticipato delle imposte su importi che il dirigente è destinato a vedersi corrispondere dopo dieci o addirittura venti anni, ha addirittura scoraggiato svariati colleghi dall’accettare misure convenienti di previdenza integrativa, che le aziende erano disposte ad offrire, per il motivo paradossale che il pagamento anticipato delle imposte sulla previdenza aggiuntiva marginale avrebbe abbassato troppo il salario mensile corrente.

Considerando le inevitabili difficoltà dell’INPS generate dal pensionamento delle classi ad alta natalità degli anni Sessanta, unitamente all’invecchiamento della popolazione e, soprattutto, alla mancata separazione della previdenza dall’assistenza, lo Stato dovrebbe – tutto al contrario – favorire con sgravi fiscali particolarmente robusti queste disponibilità di privati a surrogare in parte ma in modo generoso il sistema previdenziale. Ma io sono confidente che il governo in carica provvederà in tal senso.

Per tutti questi motivi che vanno a beneficio sia della nostra categoria che di tutto il resto del Paese noi dirigenti industriali dobbiamo impegnarci al massimo per salvaguardare e fare crescere i nostri enti previdenziali e di assistenza sanitaria, facendo capire in ogni sede ai decisori istituzionali che devono condividere con noi questa missione nel superiore interesse del bene comune non solo dei dirigenti ma di tutto il Paese.

2023 anno di svolta per i dirigenti

Editoriale del Presidente: 2023 anno di svolta per i dirigenti

Cari colleghi,

quando molteplici fatti inaspettati si determinano in rapida successione, l’incalzare degli eventi rischia di far perdere la visione generale. Ma un dirigente non deve mai consentire che questo accada.

I problemi che, a partire dalla debole ripresa del 2019, ci hanno portato fino ad oggi attraverso la pandemia, culminati con l’esplosione dei prezzi delle materie prime e la guerra, ci hanno costretto a governare tatticamente – un giorno dopo l’altro – una serie quasi infinita di velocissimi cambiamenti. Il primo è stato il fermo pandemico di molte attività con la conseguente recessione. Poi è venuta la sospensione del patto di stabilità europeo con i relativi scostamenti di bilancio e l’aumento del debito, indispensabili per erogare necessari sussidi. Infine, il rimbalzo della produzione è stato preso in contropiede dall’aumento del prezzo delle materie prime, reso addirittura rovinoso dallo scoppio della guerra in Europa. La successiva riconversione affannosa dei rapporti commerciali verso l’ovest, l’Africa e l’oriente, causata dal venir meno del mercato russo dell’est, ha reso tutto ancora più difficile, proprio mentre il “mostro” dell’inflazione cominciava a erodere il potere d’acquisto dei salari. Il tutto contemporaneamente alla “battaglia” per il corretto utilizzo dei fondi del PNRR, la quale è tutt’ora in corso e ci impegnerà fino al 2026.

Davvero non c’è stato molto tempo per la strategia, perché ciascuno di noi nella propria azienda ha dovuto affrontare in modo pragmatico, di giorno in giorno, l’incalzare degli eventi. Alcuni si sono trovati a governare settori industriali devastati dai problemi e dal fermo di produzione, altri hanno incontrato opportunità inaspettate ma che richiedevano riconversioni repentine, altri ancora hanno avuto invece la necessità di generare accelerazioni di produzione improvvise e brucianti, come ad esempio accaduto all’inizio della pandemia nei settori delle telecomunicazioni e come accade oggi nel comparto energetico. Ma tutti abbiamo dovuto affrontare quello che succedeva, un giorno dopo l’altro, in modo pragmatico, cercando di governare la barca nella tempesta. Come tutti i bravi naviganti sapevamo che l’importante era uscire dal fortunale con meno danni possibile e poi, la mattina dopo, col sole e la buona visibilità avremmo potuto rivedere le strategie e tracciare una nuova rotta.

Oggi ancora non sappiamo se il 2023 sarà l’anno in cui potremo finalmente avere una prospettiva sufficiente a consentirci una programmazione di lungo periodo, ma lo speriamo vivamente. Inoltre, per noi come dirigenti industriali, il 2023 è l’anno in cui scade il contratto di categoria e, pertanto, è un anno di svolta in un momento cruciale.

Nella nostra rivista Professione Dirigente questo articolo di fine anno è normalmente dedicato agli auguri e ai buoni propositi natalizi per l’anno nuovo ma, come sanno bene i nostri famigliari, noi dirigenti sentiamo sempre una grande responsabilità e, anche nei momenti di festa, finiamo sempre per parlare di lavoro e delle cose indispensabili da fare. Quindi oggi, come Presidente di Federmanager Roma e come Capo della Delegazione Trattante del CCNL, sento il dovere di darvi una chiara immagine della situazione e delle prospettive per quanto ciò sia possibile.

Come abbiamo detto molte volte, la società italiana fino ad oggi non ci ha riconosciuto il giusto merito per il contributo determinante che abbiamo dato e stiamo dando al benessere del Paese. Le nostre tutele per la conservazione del posto di lavoro sono, infatti, costantemente ridotte rispetto a quelle degli altri dipendenti, le nostre retribuzioni sono sotto attacco, le nostre pensioni sono costantemente tagliate, i nostri benefit sono sovrattassati e accusati di essere privilegi. Ogni anno vengono emanate nuove leggi che generano una sorta di responsabilità penale oggettiva per la posizione del dirigente (a mio avviso incostituzionale) e con discutibili applicazioni tali normative i dirigenti sono usati come “capri espiatori” per ogni evento che possa generare allarme sociale e, inoltre, ultimamente, con la logica perversa dell’ISEE veniamo addirittura costretti a pagare per servizi sociali che, con l’imposizione fiscale esagerata di cui siamo fatti segno, abbiamo già pagato almeno dieci volte. Questo è quello che riceviamo invece della gratitudine e, tuttavia, continuiamo a fare il nostro dovere.

Quindi oggi è giunto il momento in cui dobbiamo approfittare di questo auspicato momento di “quiete dopo la tempesta” che speriamo di vivere nel 2023 per guardare al nostro futuro con una visione di prospettiva che non sia solo a favore delle nostre aziende e del Paese ma che – una volta tanto – sia anche a favore della nostra categoria.

Le parole d’ordine mi sembrano abbastanza chiare. Dobbiamo migliorare la nostra immagine facendo capire l’importanza e i meriti del nostro lavoro e, nel contempo, dobbiamo perlomeno ridurre, se non eliminare del tutto, le ingiustizie perpetrate nei nostri confronti che ho appena elencato.  Ma per poterlo fare abbiamo bisogno di una superiore forza politica che nasca dalla maggiore rappresentatività e compattezza di una categoria come la nostra in cui purtroppo – è giusto riconoscerlo onestamente – molto spesso in passato abbiamo peccato di individualismo.

Affrontando il problema in modo pratico facciamo una fotografia della situazione. Oggi tra colleghi pensionati e colleghi in servizio sono iscritti alla nostra Federmanager meno della metà dei dirigenti industriali aventi diritto. Se fossimo iscritti tutti supereremmo abbondantemente il numero di centomila e potremmo mettere sul tavolo ben altra forza negoziale e ben altra forza comunicativa. Gli appelli ad iscriversi si succedono da anni ma sono purtroppo in parte inefficaci a causa del nostro individualismo. Sarebbe giusto e ragionevole che tutti coloro che sono iscritti ai nostri Enti di tutela previdenziale e assistenziale (Previndai, Fasi, Assidai eccetera) si iscrivessero anche a Federmanager. E questo è un appello che faccio a tutti voi di fare iscrivere almeno uno o due colleghi nel 2023 spiegando loro l’importanza di questo gesto.

Altro tema è quello dei super quadri. Ad oggi la nostra categoria di dirigenti non ha infatti un chiaro perimetro di consistenza. Se andiamo ad analizzare le declaratorie che individuano le classiche competenze del dirigente (governo di risorse, ruoli di coordinamento, attribuzione di deleghe eccetera) vediamo che tali elementi sono valutati in modo variabile, al punto che il medesimo incarico (ad esempio “capo del personale”) nella vita pratica viene interpretato, a seconda della singola azienda, nel senso che tale figura possa o non possa essere dirigente.

Pertanto, in tal modo la nostra categoria rimane esposta ad essere ridotta di numero e, per assurdo, addirittura eliminata semplicemente attribuendo incarichi a super quadri e non nominando più dirigenti. Questa cosa è effettivamente successa in alcuni periodi anche in grandi aziende e dimostra – a mio avviso – la debolezza di questa modalità legata alla definizione di declaratorie di ruoli e competenze, molto bella in apparenza ma spesso del tutto inefficace in pratica.

A mio parere la definizione del ruolo aziendale dovrebbe rimanere come stella polare nella individuazione delle caratteristiche per la nomina a dirigente, ma aggiungendo un elemento di garanzia legato al livello di retribuzione. In parole povere i lavoratori con qualifica di super quadro che godono di una retribuzione di base (RAL) pari o superiore a quella minima stabilita nel nostro CCNL per i dirigenti dovrebbero costantemente essere nominati dirigenti, naturalmente a valle di una revisione delle loro qualifiche la quale – considerando l’alto livello retributivo – non potrebbe che dare un esito positivo nella stragrande maggioranza dei casi.

E del resto se una azienda è disposta a pagare a un dipendente una RAL superiore a quella minima dei dirigenti non sarebbe più dignitoso per tutti che gli fosse riconosciuta la categoria dirigenziale? Questo riporterebbe in famiglia da noi molte migliaia di colleghi manager quadri che a mio avviso, considerando la retribuzione e le responsabilità attribuite, di quadro ormai hanno solo la qualifica contrattuale. Io intendo portare in tutte le sedi questa proposta che ritengo equa, logica e al passo con i tempi.

A questo punto, compattata dentro Federmanager, la forza di tutta la dirigenza industriale italiana e avendo raggiunto un numero di rappresentatività molto superiore alle centomila unità, l’ultima cosa che rimarrebbe da fare sarebbe quella di riunire la forza complessiva della categoria allargata al mondo del la dirigenza pubblica, del commercio, del mondo bancario e di ogni altro settore che abbia una dirigenza.

A questo sta già pensando il nostro lungimirante Presidente Nazionale Stefano Cuzzilla che, quale Presidente della Confederazione CIDA, persegue questo progetto con la determinazione e la forza politica che lo contraddistinguono e grazie alle quali si è potuta svolgere con straordinario successo la recente Assemblea della CIDA all’Auditorium Parco della Musica, con oltre mille colleghi presenti e molti di più in collegamento da remoto. Sono certo che il Presidente Cuzzilla avrà totale successo in questo grande progetto e tutti noi lo appoggeremo con assoluta determinazione.

Non esiste nessun motivo morale o di interesse che impedisca questa grande unione. I problemi di un primario di medicina, di un dirigente pubblico o di un direttore di banca sono esattamente gli stessi che abbiamo noi, i nostri meriti verso la società italiana sono molto simili, i nostri interessi sono coincidenti e gli attacchi che subiamo sono i medesimi. Dunque mettiamo da parte il nostro individualismo e, per una volta, facciamo anche il nostro interesse, in parallelo a quanto stiamo continuando a fare con immutato impegno a favore delle aziende e del Paese.

Per quanto mi riguarda farò tutto il possibile a Roma e nella trattativa del CCNL perché questa unità sia raggiunta e questa forza della categoria sia messa a frutto, con il sogno che il 2023 sia per davvero l’anno della svolta e che tra un anno avremo raggiunto questi obiettivi.

Volontà di rilancio oltre la guerra

Editoriale del Presidente: Volontà di rilancio oltre la guerra

L’unica certezza è l’incertezza

Il Paese – in una forte sinergia con l’Europa – si preparava a ripartire ordinatamente dopo due anni di pandemia da Covid 19. Il PNRR alimentava in tutti noi la razionale speranza che si potesse non solo rimontare la perdita di PIL determinata dall’epidemia, ma anche chiudere definitivamente il buco di PIL generato dalla crisi finanziaria del 2008 (e mai completamente recuperato in precedenza). Il Paese e l’intera Unione Europea lavoravano alacremente alla migliore collocazione delle centinaia di miliardi di nuovi investimenti del PNRR e il traguardo del 2026, in cui tali investimenti sarebbero stati completamente scaricati a terra, appariva come il punto di partenza di un nuovo periodo di crescita. I dubbi determinati dall’aumento dei prezzi delle materie prime generato dal rimbalzo della ripartenza invitavano tutti alla prudenza, ma non affievolivano l’ottimismo.

Poi è avvenuto l’impensabile ed è iniziata la guerra in Europa. Per qualche giorno tutti ci siamo chiesti se sarebbe durata pochi giorni o, al massimo, qualche settimana. Poi, con il trascorrere del tempo, ci siamo rassegnati all’idea di non conoscerne la durata e tutti – diciamocelo per una volta francamente senza infingimenti – abbiamo oggi seriamente paura di una escalation atomica.

Ma anche mettendo da parte i timori più terrificanti, rimane il fatto che tutto il sistema industriale vive una fase di assoluta incertezza.

Si prospetta per davvero un periodo molto lungo di prezzi altissimi delle materie prime e dell’energia? Le inevitabili conseguenze destabilizzeranno il nord Africa o il Medio Oriente? Entreremo in recessione o, peggio, avremo un periodo di stagflazione?

Credo che nessuno possa dirlo con certezza. Naturalmente il Governo sta lavorando assiduamente nel cercare di affrancarci nei tempi più brevi possibili dalla dipendenza dalle materie prime (gas, petrolio e quant’altro) provenienti dalla Russia, ma questa giusta decisione deve essere considerata un’azione tattica e non strategica. Purtroppo credo che nessuno in questo momento possa fare previsioni nemmeno a medio termine e l’unica possibile strategia è quella di prepararsi a una situazione in cui l’unica certezza è l’incertezza.

Flessibilità e rapidità

E quando l’unica certezza è l’incertezza diventa chiaro che il Paese, le Imprese e anche noi tutti Manager, dobbiamo prepararci ad essere flessibili e a fare riconversioni rapidissime. Forse svariate riconversioni in poco tempo. Oggi lo facciamo cercando fonti di materie prime alternative a quelle provenienti dall’est. Domani lo faremo riconvertendo verso nuovi mercati le quote di mercato Russe delle nostre esportazioni manifatturiere, in particolare quelle del lusso. Dopodomani forse dovremo nuovamente cambiare rotta, oppure invertirla del tutto.

Noi italiani siamo i migliori da questo punto di vista. La nostra storia dice che più volte abbiamo effettuato dei cambiamenti radicali e rapidissimi del nostro sistema produttivo. Lo abbiamo fatto nel dopoguerra, lo abbiamo ripetuto nelle crisi energetiche e politiche degli anni settanta, lo abbiamo replicato nel momento epocale di introduzione dell’Euro, quando improvvisamente non abbiamo più potuto fare svalutazioni competitive e, da ultimo, lo abbiamo fatto di nuovo dopo la crisi del 2008 e durante e dopo la pandemia da Covid19 nel periodo 2020/2022. E se le ripartenze degli anni fino al 2000 sono state forse più dinamiche di quelle successive questo si deve al costante peggioramento – è necessario ammetterlo – del sistema burocratico della pubblica amministrazione rispetto alle cui lentezze, inefficienze e diseconomie, nonostante le dichiarazioni e la buona volontà di molti esponenti politici, nessuno è mai riuscito a invertire seriamente la rotta.

 

Un decennio di sfide per il Paese e per Roma

Mai come in questo momento è importante che sotto questo aspetto la Politica (e volutamente scrivo la parola con la “P” maiuscola) passi dalle parole ai fatti. Certamente non si può negare che molte pubbliche amministrazioni si trovino sotto organico per i prolungati blocchi di assunzioni degli ultimi anni, ma dobbiamo dire forte e chiaro che non basta liquidare il problema dell’inefficienza della pubblica amministrazione dicendo che bisogna spendere e portare gli organici a pieno regime, perché purtroppo l’esperienza ci ha dimostrato che questo è insufficiente. E nemmeno basta dire che abbiamo centrato tutte le riforme della pubblica amministrazione richieste dall’Europa per i fondi del PNRR.

Se vogliamo davvero competere in una situazione di incertezza come quella presente dobbiamo essere molto più efficienti, giusti, veloci e flessibili di quello che oggi vediamo ogni giorno accadere nei rapporti tra le imprese e la pubblica amministrazione. I sistemi devono essere digitalizzati, gli iter permessistici devono essere rapidi e la giustizia deve essere efficiente. E la Politica per ottenere questo deve avere la forza e la convinzione di fare scelte coraggiose incidendo profondamente sulla struttura stessa e sui processi della macchina burocratica. Fuori da ogni ipocrisia tutti sappiamo quali sono i cambiamenti necessari e non manca la conoscenza ma, quasi sempre, solo il coraggio e la determinazione di portarli avanti.

In questo contesto la nostra regione e la nostra Capitale stanno affrontando un decennio straordinario e decisivo. Nel pieno del fiume di investimenti (2022 – 2026) del PNRR, sono in programma nella Capitale due Giubilei (quello del 2025 e quello straordinario del 2033) e, come se non bastasse, alla fine del 2023 sapremo se Roma si sarà aggiudicata l’EXPO 2030.

Questa congiuntura unica nella storia è per tutte le aziende della Regione Lazio e per tutte le realtà produttive della città di Roma un’occasione irripetibile di rilancio e di affermazione. Le iniziative forti del Sindaco Gualtieri per il Termovalorizzatore e per un nuovo “Regolamento Antenne” in materia di telecomunicazioni mobili ci danno la speranza che la Politica (con la P maiuscola) stia finalmente cercando di incidere nella nostra città su temi strategici. Da un lato infatti il tema dei rifiuti a Roma è stato uno dei tanti problemi della Capitale (e non solo) in cui per decenni si è deciso di “non decidere” lasciando che le cose finissero per degenerare.

Dall’altro lato sembra incredibile ascoltare continuamente discorsi in cui si afferma che in futuro faremo lavori che oggi non esistono mentre contemporaneamente le amministrazioni impediscono proprio lo sviluppo di quelle infrastrutture di telecomunicazioni che dovrebbero consentire il dispiegarsi efficace di questo nuovo mondo digitalizzato. Molti settori produttivi (cinema, editoria, musica, televisione, e–commerce, videogiochi eccetera) stanno convergendo sulla rete web ma sembra che nessuno si preoccupi dei “sistemi di impianti” e di “apparati” che servono per sostenerli e anzi pare che la palude burocratica e quella antagonista si siano alleate proprio nell’impedire questa crescita senza la quale nel giro di dieci anni noi saremmo fuori da tutto e, questa volta, per davvero.

Questo dibattito sembra abbastanza poco considerato e, anzi, spesso si parla delle applicazioni finali ma non dei mezzi per generarle, come se le installazioni che consentono le nuove modalità produttive dovessero crearsi da sole dal nulla all’occorrenza. Ma del resto la mancanza di visione e di programmazione è sempre stata il difetto che ha fatto da contraltare all’indiscutibile genio degli italiani sia nella storia politica che in quella industriale.

Rispetto e fiducia per i dirigenti industriali

Tuttavia credo di poter parlare anche a nome di tutti i Manager della nostra regione se dico che – anche nel difficile scenario che abbiamo evidenziato – proviamo entusiasmo e siamo convinti che ce la possiamo fare. Ma a questo punto si pone una “questione di fiducia” da parte del nostro Paese nei confronti dei suoi Manager.

Disse John F. Kennedy  nel suo celebre discorso di insediamento: “non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese”.

Una bellissima frase che – lo dico con assoluta convinzione – i Manager industriali italiani e romani hanno sempre dimostrato di condividere e di mettere in pratica, anche con grande sacrificio personale. Ma arriva il momento nella storia di un Paese in cui le circostanze impongono di rovesciare il paradigma. E per questo oggi, in questa congiuntura difficilissima, io devo affermare che il Paese non deve chiedersi cosa possono fare i propri Manager industriali per lui ma cosa può fare il Paese stesso per dare ai propri Manager industriali la forza per guidare la barca fuori dalle secche.

Credo anche di conoscere la risposta. I Manager sono disposti ad ogni sacrificio e chiedono solo fiducia e rispetto. Non sempre questo è avvenuto negli anni recenti visto che le nostre pensioni sono state tagliate, i nostri stipendi depauperati da una tassazione assurda e le nostre responsabilità aumentate a dismisura fino a farle coincidere con una responsabilità oggettiva legata alla posizione. Nonostante questo ancora una volta non abbiamo paura di affrontare questa nuova sfida con lo spirito dei Manager del dopoguerra purché il Paese ci esprima lo stesso rispetto e la stessa fiducia che all’epoca diede ai suoi grandi Manager che governarono la ricostruzione industriale e lanciarono il boom economico.

Editoriale del Presidente: Nei momenti difficili il Paese deve affidarsi ai suoi manager

Editoriale del Presidente: Nei momenti difficili il Paese deve affidarsi ai suoi manager

La capacità di governare i momenti critici è il carattere distintivo del Manager industriale. Affrontare certe difficili situazioni professionali in modo manageriale è un po’ come nel Football Americano quando il Quarterback riceve la palla per l’ultima azione di attacco con cinque secondi sull’orologio a meno di dieci iarde dal goal, i suoi occhi fulminei guardano in End Zone, dove i ricevitori si incrociano velocissimi e il suo braccio frusta l’aria per cercare quella parabola sul petto del Receiver che possa dare la vittoria alla squadra. La sua mano non deve tremare ma per fortuna è allenato per questo, allo stesso modo dei nostri Manager industriali che sono preparati ad affrontare situazioni di lavoro difficili, con poco tempo per pensare e una grandissima responsabilità sulle spalle. Proprio la congiuntura in cui ci troviamo oggi.

Il Paese ha affrontato la seconda parte dell’inverno pieno di speranze, con il dato della pandemia che calava e i fondi del PNRR che si avvicinavano a offrirci una grandissima occasione. Eravamo tutti focalizzati sul fatto che se fossimo riusciti a effettuare duecento miliardi di investimenti a tempo di record avremmo probabilmente rimesso il Paese sulla strada della crescita. Anche il rimbalzo del PIL sembrava quasi sufficiente a riportarci sui numeri precedenti all’ultima ondata della pandemia.

L’aumento dei prezzi delle materie prime (in atto già da molto tempo) raffreddava leggermente gli entusiasmi. Ma si pensava che fosse un fenomeno temporaneo, legato alla risalita brusca della produzione dopo il recesso pandemico e c’era un certo generale ottimismo. Anche la ripartenza dell’inflazione, causata tra l’altro dagli interventi particolarmente robusti – sebbene pienamente giustificati – effettuati per ammortizzare gli effetti sociali ed economici della pandemia, non preoccupava più di tanto. Le banche centrali cominciavano a porre rimedio e la prognosi era, tutto sommato, se non proprio eccellente, perlomeno non infausta.

Poi è accaduto quello che ciascuno si rifiutava di credere che potesse accadere. È scoppiata la guerra in Europa. Ancora oggi ci sembra incredibile ma dobbiamo prenderne atto. Anche perché dobbiamo reagire rapidamente in un quadro economico che è diventato improvvisamente instabile e molto difficile da decifrare nei suoi sviluppi, perfino a breve termine.

Già nell’immediato ci sono realtà industriali e commerciali che soffrono atrocemente per l’improvvisa scomparsa di tutto il business che derivava dalla parte di Est Europa che è rimasta isolata dal conflitto e dalle conseguenti sanzioni. Cosa potrà accadere con il protrarsi delle ostilità e comunque con il perdurare dell’instabilità di tutta l’area est del continente europeo? È difficile dirlo. Certamente sarà richiesto ancora una volta agli italiani di sfoderare le proprie leggendarie capacità di operare riconversioni velocissime, talento che i manager italiani hanno sempre dimostrato di avere in misura più grande di tutti gli altri manager del mondo. Del resto la qualità del nostro “motore manifatturiero” e la nostra capacità di aggredire i nuovi mercati, aumentando le esportazioni sia come valori assoluti che come percentuali di quote di mercato, si è sempre dimostrata altissima anche quando – con la nascita dell’euro – ci siamo improvvisamente ritrovati a farlo con una valuta forte. La nostra capacità di confezionare servizi innovativi facendo leva su un grande numero di realtà piccole e piccolissime, con la classica fantasia che ci contraddistingue, è tutt’ora al massimo livello.

L’abbiamo già fatto in passato e io sono convinto che potremo farlo di nuovo anche questa volta. Sapremo attraversare le difficoltà, assorbendo i colpi, ripartendo dopo ogni frenata e portando il Paese in salvo integro con il suo benessere.  Ma per fare questo è necessario che il Paese si affidi a noi Manager Industriali, ritrovando quella fiducia nella nostra autorevolezza che negli ultimi lustri qualche volta è sembrata venire meno. Ritornando alla metafora del Football il Paese deve credere nel lavoro del Manager industriale e passargli quell’ultima palla a meno di dieci iarde dalla End Zone con cinque secondi sull’orologio e solo un ultimo lancio da fare. Se ci sarà fiducia reciproca la palla arriverà dritta sul petto del Receiver e la squadra vincerà.

 

Editoriale del Presidente: Insieme, rialziamo la testa

Editoriale del Presidente: Insieme, rialziamo la testa

 

Cari Colleghi,

Dopo due mandati come Vicepresidente, nel mese di settembre la maggioranza dei colleghi del Consiglio Direttivo di Federmanager Roma ha deciso darmi la responsabilità di coordinare come Presidente gli sforzi dei tanti colleghi che si impegnano a favore della categoria nella nostra Capitale e in una parte significativa della nostra Regione.

La storia di Federmanager è una lunga e gloriosa storia e l’Associazione Romana, che un tempo si chiamava SDRAI, è una parte fondamentale di questa storia.

Sento molto fortemente il peso di questa responsabilità e la gratitudine per tutti i colleghi che – in quasi un secolo di storia – hanno lavorato per l’Associazione romana contribuendo a farla arrivare fino a noi come un baluardo in difesa della nostra categoria. Al momento di accettare l’incarico ho ringraziato pubblicamente gli ultimi tre presidenti dell’Associazione Romana, il Presidente Cuzzilla, il Presidente Tosto e il Presidente Gargano, volendo in tal modo simboleggiare il mio ringraziamento a tutti i colleghi dei Consigli Direttivi che si sono succeduti, a tutti i colleghi impegnati negli Enti e a tutti gli attivisti e gli iscritti. Li ringrazio di cuore, perché già la semplice iscrizione deve considerarsi un significativo impegno a favore della categoria.

Le generazioni dei dirigenti industriali del dopoguerra hanno ricostruito il Paese partendo dalle macerie e hanno tenuto saldo il timone verso il benessere, governando la barca della produzione nei periodi politicamente difficili degli anni Settanta, poi conseguendo un benessere diffuso per il Paese a partire dagli anni Ottanta e – infine – mantenendo la rotta in tutte le tempeste dei decenni successivi. Ma negli ultimi anni è accaduto qualcosa di impensabile. Gli incontestabili meriti della nostra categoria hanno quasi smesso di essere riconosciuti nella società italiana e, per converso, hanno cominciato a diffondersi inopinatamente infondate convinzioni secondo le quali noi potremmo essere considerati una categoria di privilegiati. Accusati ingiustamente allo stesso modo del personaggio del “Processo” di Kafka, molti di noi hanno provato una specie immotivata vergogna e si sono chiusi in sé stessi, senza partecipare alla battaglia in difesa della categoria, ovvero facendolo con una strategia di retroguardia, lasciando quasi intendere che, per davvero, noi potessimo avere privilegi da difendere. Mentre in realtà, tutto al contrario, noi siamo chiaramente una categoria che riceve molto meno di quello che offre e che è oggetto – sempre più spesso – di vere e proprie inaccettabili ingiustizie.

La pressione fiscale

Non si fa altro che parlare del fatto che la pressione fiscale in Italia è inaccettabile. Ma raramente si sente qualcuno che dica chiaramente su chi gravano tali eccessi di pressione fiscale. Ebbene essi gravano quasi interamente sui lavoratori dipendenti con i redditi lordi più elevati. Il 12% degli italiani paga il 58% delle tasse e siamo noi. Quindi noi paghiamo di tasca nostra i servizi a milioni di concittadini, ma non abbiamo il piacere di poter dire che, perlomeno, li abbiamo pagati anche a noi stessi. Infatti quando si arriva a dover pagare, per esempio, la retta universitaria per un figlio scopriamo che noi dobbiamo pagare più di tutti, perché il contributo che abbiamo dato agli altri per noi non vale. Noi dobbiamo pagare di nuovo perché abbiamo l’ISEE alta. Perché lavoriamo dalla mattina alla sera e paghiamo tutte le tasse e questa evidentemente è considerata una specie di colpa. Poi gli evasori fiscali che hanno l’ISEE bassa non pagano la retta universitaria e magari prendono pure il reddito di cittadinanza, ma questo sarebbe un discorso lungo.

Il lavoro

I colleghi in servizio continuano a perdere il lavoro giorno dopo giorno. Perché se il sistema del credito alle imprese non funziona bene, se la burocrazia pubblica inefficiente determina una crisi di sistema, se il cuneo fiscale troppo alto o i contributi di cittadinanza a pioggia provocano una crisi del lavoro, tutto questo viene scaricato proprio sull’unica categoria che sta combattendo e contrastando tutti questi problemi nell’interesse del Paese e cioè su di noi. Una normativa sbilanciata ci rende la categoria più debole dal punto di vista delle tutele del lavoro e molti di noi si ritrovano, a decine di anni dalla pensione, ripagati di una vita di impegno con una lettera di licenziamento.

Le pensioni

Poi ci sono i colleghi in pensione che vedono decurtate e tagliate le loro pensioni e, quel che è peggio, si vedono additati come privilegiati. Ma il problema è che in Italia abbiamo un sistema previdenziale nel quale l’assistenza ai bisognosi viene scaricata largamente sui contributi pensionistici versati nell’INPS da tutti i lavoratori. E da parte di certa politica, non ci si rende conto che bisogna separare la previdenza dall’assistenza per rendere chiaro che l’assistenza è lodevole ma deve essere a carico della fiscalità generale e non deve chiamarsi “pensione” ma con il proprio vero nome e cioè contributo assistenziale. Poi, in ragione di questa aberrazione, si dice che i conti INPS non sono in equilibrio e si tagliano le pensioni di chi ha versato più di tutti e cioè dei martiri dirigenti industriali. E con questa strategia si cerca anche, più o meno consapevolmente, di creare spaccature tra coloro che non hanno la pensione tagliata da coloro che, invece, subiscono questo affronto. Ma tra di noi non devono mai esserci spaccature, perché dobbiamo capire che solo restando uniti possiamo salvare noi stessi e il Paese.

Il Presidente Gherardo Zei con il neo sindaco di Roma Roberto Gualtieri

La responsabilità

Da anni ormai sempre nuove normative di discutibile pregio giuridico operano uno scarico sistematico delle responsabilità civili e penali sui dirigenti con un sistema di “responsabilità oggettiva” mascherato da “mancanza di vigilanza” o da “insufficiente formazione”. Questa forse è la più grave ingiustizia nei nostri confronti. Poiché la Costituzione all’articolo 27 dice chiaramente che “la responsabilità penale è personale” e, pertanto, non può in alcun modo essere ammessa una responsabilità oggettiva di tipo penale. Ma il legislatore ha creato, e sta creando ogni anno di più, tutta una serie di principi di “mancanza di vigilanza” o “difetto di formazione” che di fatto introducono, in modo anticostituzionale, la responsabilità oggettiva nel sistema del diritto penale. Diciamoci la verità, in pratica noi dirigenti veniamo utilizzati da queste norme ingiuste e anticostituzionali come “capro espiatorio” di ogni fenomeno che crei allarme sociale.

Da sempre Federmanager lavora per contrastare queste ingiustizie con la propria azione politica e opera per tutelare i colleghi con i propri preziosi sistemi di assistenza sanitaria e di previdenza integrativa, oltre che con le tutele del lavoro e le politiche attive. Non ci sono dubbi che sia conveniente iscriversi a Federmanager per ricevere assistenza e per avere voce in capitolo come iscritti in materia di FASI, ASSIDAI, PREVINDAI, FONDIRIGENTI e PRAESIDIUM (solo per citare gli enti più conosciuti). Tutti i mesi abbiamo le trattenute in busta paga per previdenza integrativa e assistenza sanitaria ed è una cosa razionale partecipare alla loro governance mediante l’iscrizione a Federmanager. Ma è ancora più importante iscriversi per garantire ai colleghi in difficoltà un presidio a cui rivolgersi. Ricordando sempre che è bene aiutare oggi per poter essere aiutati quando potrebbe capitare anche a noi di avere un passaggio a vuoto.

Tuttavia – diciamocelo chiaramente – oggi come oggi i nostri iscritti sono grossomodo la metà dei colleghi che ne avrebbero titolo e tra i colleghi in servizio la situazione è ancora peggiore che tra i pensionati. Probabilmente dobbiamo riuscire a comunicare di più e meglio e noi del Consiglio Direttivo di Federmanager Roma ce ne faremo pienamente carico. Vogliamo iniziare a girare per le Aziende, incontrando i colleghi personalmente, perché fare squadra con i colleghi è il vettore fondamentale del nostro progetto. Anzi usando le parole del Vicepresidente Amato (se me lo consente) vorrei dire che questo è “il progetto”.

Ma prego anche voi, cari colleghi, di fare altrettanto. Vi esorto a parlare con i colleghi non iscritti della vostra azienda o con gli altri colleghi di imprese diverse che conoscete e a trasmettergli questo messaggio. Perché è giunta l’ora di smettere di indietreggiare e rialzare la testa. Questo è il momento di riunirci tutti insieme sotto la bandiera di Federmanager, per fermare la deriva e cambiare la rotta, indirizzandola di nuovo verso la crescita come categoria e come Paese. Ma per farlo dobbiamo come prima cosa eliminare le ingiustizie contro i dirigenti industriali, perché nessuna squadra può giocare bene se il capitano non è autorevole e largamente riconosciuto e stimato.

Anche perché, come ci ha detto anche il Presidente Nazionale Stefano Cuzzilla nel corso dell’Assemblea 2021 di Federmanager, questo è un momento decisivo di responsabilità per il Paese. I fondi del PNRR sono una grande opportunità ma, tra non molto tempo, ci lasceranno con un debito ancora più alto di quello attuale e con un nuovo patto di stabilità europeo. Quindi delle due una. O in quel momento si sarà invertita la rotta con significativi aumenti di PIL annuali, ovvero una nuova recessione sarà inevitabile. Quindi è necessario impegnarci subito e non possiamo tirarci indietro perché, come ha sottolineato il Presidente Bonomi nel corso della medesima Assemblea, quando i nostri figli ci chiederanno: “voi dove eravate in quegli anni, dal 2021 al 2026, quando si è deciso il destino del Paese?”. Noi dovremo rispondere: “noi eravamo lì e abbiamo fatto quello che c’era da fare”.

 

 

Gli auguri di buone feste del Presidente

Nel Natale del 2019 non pensavamo certo di avere davanti due anni tanto difficili. La Cina sembrava lontana e non capivamo quanto il mondo globalizzato fosse vulnerabile alla rapida diffusione di una pandemia. Ma quando – a marzo del 2020 –, è iniziato il lockdown tutti siamo stati presi in contropiede. Era venerdì, stavo rientrando da una trasferta a Firenze e ho ricevuto la telefonata del mio braccio destro che mi diceva che dal lunedì l’azienda sarebbe stata chiusa. Gli ho dato appuntamento in ufficio e, in tarda serata, ci siamo visti nel palazzo deserto per portare via i computer e i documenti più importanti su cui dovevamo lavorare nei giorni successivi. Poco dopo, mentre guidavo verso casa, riflettevo con preoccupazione a come avrei potuto organizzare il lavoro.

Nel successivo natale 2020 il nostro lavoro era ormai perfettamente organizzato da remoto, ma la preoccupazione era al massimo livello. Dopo un anno di pandemia senza vaccini e con la curva pandemica in crescita pregavamo tutti che il regalo di Natale fosse il vaccino.

Quest’anno, finalmente, il livello di vaccinazione è tale da consentirci di lavorare nuovamente in presenza e di condurre una vita quasi normale. Speriamo solo che le varianti non vengano a rovinare la ripresa.

Nel corso di questa tempesta ancora una volta i nostri dirigenti hanno dimostrato di essere i migliori del mondo, esprimendo una flessibilità strategica e una tenacia senza eguali nella gestione delle sfide contro il covid e nell’impegno a favore della conservazione e ripresa della produzione industriale.

Mi auguro con tutto me stesso che questo Natale 2021 sia quello della ripresa e – per questo – voglio fare a voi tutti, a nome di Federmanager Roma e mio personale, i migliori auguri di buone feste e di serenità. Vi prego di partecipare il mio augurio alle vostre famiglie, alle vostre aziende e a tutti i vostri collaboratori, sperando di vederci presto per lavorare insieme in presenza personale qui nella nostra sede di via Ravenna.

 Gherardo Zei

50 anni con Federmanager Roma

50 anni con Federmanager Roma

La parte dell’Assemblea annuale riservata agli associati ha vissuto un momento emozionante nella premiazione di 11 colleghi che hanno raggiunto il 50esimo anno di iscrizione a Federmanager Roma. A premiarli il presidente Giacomo Gargano, il vicepresidente Gherardo Zei e il tesoriere Maria Cristina Scalese

L’ingegnere UMBERTO LAFRATTA ha commentato il premio con semplici ma significative parole: sono ben contento di esserci arrivato.

L’ingegnere GIUSEPPE PANUCCI ha ringraziato la presidenza e il consiglio direttivo per il premio. Ha augurato buon lavoro a tutti i responsabili di Federmanager Roma affinché operino sempre nell’interesse della categoria, che oggi risente di quelle che sono le condizioni nazionali ed internazionali particolarmente difficili.

A ritirare il premio del dottor MARIO TEODORI è intervenuto il figlio. Ha riportato la soddisfazione e la felicità di suo padre che avrebbe voluto partecipare ma, per motivi di salute, era impossibile affrontare il viaggio. Ha ribadito lo stretto legame a Federmanager Roma di cui spesso parla ricordando gli anni della professione.

Ultimo a ritirare il premio l’ingegner GIUSEPPE CATALANO che ha ringraziato il consiglio direttivo, dicendosi orgoglioso di aver fatto parte di Federmanager Roma ed aver contribuito in parte alla sua crescita.

A seguire sono stati ricordati gli altri colleghi premiati che non hanno potuto partecipare: Ing. Delmo Basile, Ing. Pietro Buttarelli, Ing. Enzo Corsi, dott. Fabrizio Fulignoli, dott. Giuseppe Toniolo, dott. Luigi Strozzi, dott. Paolo Mosca.

Chi non si arrende vince

Di fronte alle difficoltà che vivono oggi i dirigenti industriali occorre compattezza della categoria e vicinanza a Federmanager Roma e alle sue battaglie

Faccio a voi associati che partecipate all’Assemblea annuale di Federmanager Roma un invito a non dimenticare chi siamo, perché ci troviamo qui tutti insieme e cosa è importante fare per il nostro futuro. La categoria dei dirigenti industriali vive senza dubbio un momento di difficoltà.

Se volessimo utilizzare una parola forte potremmo dire che siamo dei “martiri”, nel senso che i dirigenti industriali tengono in piedi il “Sistema Paese” e portano sulle proprie spalle, grazie al contributo determinante che offrono nel generare il fatturato delle aziende, il peso dell’intera macchina della pubblica amministrazione. Ma nonostante il senso di responsabilità, la determinazione e l’impegno quotidiano, mai ricevono l’attenzione e la tutela che meriterebbero.Ogni ristrutturazione aziendale, in qualsiasi tipo di realtà imprenditoriale, vede i manager quali principali bersagli. Negli ultimi mesi, anche all’interno di importanti gruppi industriali, abbiamo assistito a collettive che hanno colpito decine e decine di colleghi.

Per non parlare dei pensionati, la categoria che certamente sta subendo l’attacco più violento. Si parla di taglio delle pensioni “d’oro” in un Paese dove assistenza e previdenza sono mescolate nei conti dell’Inps, all’interno di un groviglio inestricabile rispetto al quale viene spontaneo chiedere dove sia realmente l’“oro”. Viene da chiedersi se, probabilmente, chi prende 1000 euro al mese ma non ha mai versato nulla o quasi riceve una pensione “d’oro”. Lo stesso non può dirsi per chi, per un’intera vita, ha versato regolarmente i propri contributi a totale beneficio della collettività ed oggi si trova ad essere considerato come membro di una casta privilegiata solo perché riceve indietro i suoi soldi versati negli anni. Occorre evitare che queste misure, che colpiscono in modo differenziato le nostre varie componenti, possano determinare ingiustificati conflitti all’interno della nostra categoria. Anche perché la giungla pensionistica italiana è tale che non dovremo sorprenderci se i 100 mila euro che vengono tagliati oggi, diventeranno i 90 mila di domani e gli 80 mila di dopodomani.La parola “martiri” acquista un senso se si guarda poi a quell’assurda e folle tendenza metagiuridica – perché di giuridico ha molto poco – che negli ultimi anni sta determinando una vera e propria “responsabilità oggettiva” di tipo penale del dirigente. Meccanismi burocratici per i quali, in base ad un generico e sempre più indeterminato obbligo di vigilanza, talmente esteso da non comprenderne più i confini, alla fine c’è sempre un dirigente responsabile. Infatti qualsiasi cosa succeda nella realtà deterministica esiste una persona responsabile di fatto, perché ha effettuato o omesso qualcosa, ma nella realtà giuridica ce ne sarà un altro di colpevole senza dubbio: il dirigente che non avrebbe vigilato.

Oggi la grande attenzione è per la tutela della privacy, il prossimo anno sarà un’altra e poi un’altra ancora. Finché per ogni problema si sarà predisposto un capro espiatorio nella persona di un nostro collega. Per queste ragioni diventa fondamentale rammentarci perché siamo qui. Lo siamo per difenderci da tutto questo, non solo perché è nostro interesse ma perché è cosa giusta. Viviamo un sistema che spreme le persone migliori, che ha usato ed abbandonato negli anni la nostra categoria, speculando sul nostro lavoro per poi buttarci via come carta nel cestino. Amici cari non molliamo, continuiamo a sostenere Federmanager e restiamo uniti. Non lasciamo che tutto questo ci divida. Chi non si arrende alla fine vince.