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Giovani manager protagonisti

Giovani manager protagonisti

Promosso dal Gruppo Giovani di Federmanager, il premio Giovane Manager 2019 ha scelto “Codice Green” come tema conduttore. Un’occasione per valorizzare il ruolo e il riconoscimento delle competenze dei giovani colleghi. I 10 selezionati dell’area centro-sud parteciperanno alla finale nazionale

Sono dieci i vincitori della tappa romana del premio Giovane Manager 2019 dell’area centro-sud. Il gruppo Giovani Federmanager, coordinato da Renato Fontana, ha promosso l’iniziativa ed ha scelto “Codice Green” come tema conduttore. Il premio è destinato agli iscritti a Federmanager con meno di 44 anni ed ha come obiettivo la valorizzazione del ruolo e il riconoscimento delle competenze dei giovani manager.

L’iniziativa, alla sua terza edizione, è realizzata in collaborazione con Hays Italia, primaria società di executive search, che offre supporto nelle fasi di selezione dei manager candidati. Il premio ha ricevuto il sostegno dei Giovani Imprenditori di Unindustria e dei Giovani UCID Lazio.

I manager premiati a Roma dal coordinatore del Gruppo Giovani Federmanager Renato Fontana, nella splendida sala Giubileo dell’università Lumsa, hanno superato la selezione tra centinaia di candidati dell’area centro sud e parteciperanno alla finale che ci sarà in occasione della prossima Assemblea annuale di Federmanager ad emergenza sanitaria terminata.” I nomi dei dieci vincitori sono: Cristiana Alicata, general manager Eccellenze campane; Elena Amalfitano, head of voice of the customer & quality analysis Octo Telematics Group Spa; Pietro Stefano Attolico, direttore procurement Acquedotto Pugliese Spa; Cesare Battaglia, associate partner Pricewaterhouse Coopers Advisory Spa; Marco Bevilacqua, general manager operations Flowserve Worthington Srl; Alessandro Catellani, direttore risorse umane P&G global sales Procter and Gamble Holding Srl; Rosario Pistorio, Ceo e managing director Sonatrach Raffineria Italiana Srl; Luca Quaresima, Europe operations and logistic manager Newcold Advanced Cold Logistics; Raffaele Tedeschi, supply chain manager Sitael Spa; Carmine Zappacosta, amministratore delegato e direttore generale Italcertifer Spa (Gruppo FS Italiane).

Premiare un giovane è importante: bisogna creare un passaggio generazionale e valorizzare chi si è distinto. Un vero manager apre le porte alle idee, va incontro alle cose e le cambia, è protagonista di innovazione, crescita e rilancio valoriale ed economico del Paese – ha affermato il presidente Federmanager Roma Giacomo Gargano –. Questo premio è un riconoscimento a questi valori e a quei giovani colleghi che riescono a svolgere egregiamente la professione di manager nonostante i cambiamenti e le incertezze del nostro tempo”.

Giacomo Gargano, Presidente Federmanager Roma e Francesco Bonini, Magnifico Rettore dell’Università Lumsa

I manager premiati oggi sono la prova del talento e delle competenze che i giovani portano nelle nostre aziende – ha commentato il presidente Federmanager Stefano Cuzzilla – donne e uomini che rappresentano una grande ricchezza per il sistema Paese e che in Federmanager possono trovare opportunità e riconoscimenti. Siamo infatti alla terza edizione del premio e abbiamo, in questi anni, premiato centinaia di giovani manager”.

Anche quest’anno Hays è orgogliosa di supportare il premio Giovane Manager 2019 – afferma Marco Oliveri Director Hays – il nostro team di esperti recruiter ha selezionato tra moltissimi professionisti della classe emergente manageriale Italiana solo i profili risultati davvero eccellenti, determinando così questa prima rosa di finalisti per il centro sud Italia. Accompagneremo Federmanager anche nelle prossime tappe di questo prestigioso contest, fino a determinare il manager che si aggiudicherà questo importante premio”.

4.Manager: parti sociali e sviluppo

Grazie a 4.Manager è stato possibile mettere in piedi 10 progetti per 10 PMI di tutto il territorio laziale. Sono stati quindi selezionati 10 dirigenti, temporaneamente inoccupati, iscritti a Federmanager con l’obiettivo di creare le condizioni per lo sviluppo di proficue relazioni tra le parti

Il progetto “Open Innovation Management”, il primo ad essere finanziato da 4.Manager a livello nazionale, riguarda i temi della trasformazione digitale, dell’internazionalizzazione e della lean innovation e le relative competenze manageriali necessarie per la crescita delle suddette PMI. Si tratta in tutti e dieci i casi di un servizio “chiavi in mano” di ridisegno organizzativo dell’azienda con tanto di consulente che fotografa lo stato dell’impresa e propone le soluzioni operative.

I dieci progetti sono tuttora in svolgimento ed il rapporto tra le aziende e i manager è ad oggi di assoluta soddisfazione. Nella fase iniziale è stato dedicato molto tempo alle reali necessità delle aziende e questo sta portando interessanti sviluppi strategici e operativi per le stesse imprese. Le aziende stanno usufruendo delle competenze offerte dai manager senza dover sopportare costi, ma con l’obiettivo di identificare servizi in grado di essere autosufficienti nel medio periodo in termini economici e quindi creare una reale opportunità di sviluppo e di occupazione.

Beneficiano altresì dei risultati e delle attività di questo progetto Federmanager Roma e
Unindustria, in quanto hanno avviato in chiave sperimentale applicazione di metodologie manageriali innovative. Questi elementi, oltre naturalmente a configurarsi come politiche attive del lavoro, impattano sulle capacità imprenditoriali e innovative delle imprese, promuovendo dinamiche di sviluppo organizzativo. Le buone relazioni tra le parti sociali, il fondamentale apporto di 4.Manager e la regia di Unindustria Perform stanno dunque producendo una sperimentazione dal forte impatto sociale ed economico: un’azione che va certamente portata a sistema e resa strutturale per garantire significativi risultati nel medio e lungo periodo.

Formare per far crescere il business: Fondazione Idi e Fondo Dirigenti PMI

La formazione di nuove competenze come sfida e catalizzatore del cambiamento: questo l’imperativo categorico che anima il piano strategico della Fondazione Idi

Si è avviato da poche settimane il nuovo programma formativo della Fondazione Idi, l’ente bilaterale di Federmanager e Confapi con la mission di formare i manager e gli imprenditori di domani. Un’offerta che ha l’obiettivo di dare una risposta coerente ai nuovi scenari, alle nuove esigenze delle imprese e dei dirigenti, di conservare il patrimonio delle competenze e delle esperienze manageriali proponendo soluzioni di alto profilo a problemi sia operativi che strategici.

“Per manager e imprenditori, la formazione delle competenze deve essere continua – sottolinea Cinzia Giachetti, Vicepresidente Fondazione Idi – perché la tecnologia cambia velocemente e il mercato ti sfida tutti i giorni a stare al passo con i tuoi competitor. Il manager deve poter garantire la propria preparazione professionale e restare sempre aggiornato e Federmanager indica e certifica le competenze manageriali del futuro.

Mi riferisco, ad esempio, al temporary manager che deve essere capace di accompagnare l’impresa per un certo periodo, adeguando il business plan al percorso di innovazione; all’innovation manager che si occupa specificatamente di problemi di innovazione legati al cambiamento delle tecnologie digitali nell’evoluzione 4.0; oppure al manager di rete ovvero un professionista che deve avere alle spalle una rete di conoscenze tale che gli permetta di suggerire all’impresa la strada da intraprendere, integrando le competenze esterne con quelle delle imprese e creando collaborazione e sinergie con più imprese contemporaneamente. Per affrontare le sfide del futuro occorrono competenze, manager preparati e capaci di individuare il vero fabbisogno dell’impresa”.

I finanziamenti alla formazione

Il Fondo Dirigenti PMI, fondo paritetico interprofessionale Federmanager e Confapi, promuove e finanzia la formazione dei dirigenti delle piccole e medie imprese industriali attraverso la pubblicazione di avvisi che mirano a supportare le imprese aderenti al Fondo e i loro dirigenti finanziando interventi di sviluppo delle competenze a sostegno della competitività e della innovazione, del lavoro e dell’occupazione.

Lo scorso 15 giugno è stato pubblicato l’Avviso 1/2019 caratterizzato dalle seguenti tipologie di piani e aree di intervento:
Interaziendali – interessano un insieme di Aziende (minimo 3). Devono riguardare almeno 3 dirigenti. Una singola Azienda può risultare beneficiaria di un solo Piano Formativo.
Aziendali Individuali – interessano una singola Azienda. Vengono sostenuti dal FONDO attraverso il finanziamento di singoli “voucher” formativi. Un singolo dirigente può comunque risultare beneficiario fino a un massimo di due “voucher” per Piani Formativi differenziati per area tematica.
AREE TEMATICHE: Area Innovazione organizzativa, di processo e/o di prodotto; Area nternazionalizzazione; Area Project Management; Europrogettazione e progetti finanziati; Gestione di Start-up; Contratti di Rete; Piani Speciali (ricerca e sviluppo di nuove tecnologie
green).
CONTRIBUTI CONCEDIBILI: – Il contributo massimo concedibile dal FONDO per ogni PIANO INTERAZIENDALE è pari a: Euro 15.000 (quindicimila/00)
– Il contributo massimo concedibile dal FONDO per ogni PIANO AZIENDALE INDIVIDUALE è pari a: Euro 4.000 (quattromila/00)
Risorse complessive stanziate – Euro 135.000,00 – Avviso 1/2019.

Competenze manageriali per la crescita delle imprese

Competenze manageriali per la crescita delle imprese

Il momento è cruciale, in un Paese in equilibrio tra la speranza della ripresa e l’incubo della recessione, diventa obbligatorio ridurre la distanza tra domanda e offerta di competenze manageriali

L’Associazione 4.Manager, all’interno della quale opera l’Osservatorio Mercato del Lavoro e Competenze Manageriali, ha abbracciato l’ambizioso progetto di rispondere al fabbisogno reale dei protagonisti del tessuto produttivo italiano, sviluppando politiche attive per il lavoro manageriale e, cosa non banale, operando per la diffusione di una nuova cultura di impresa. Federmanager e Confindustria, come parti istitutive di 4.Manager, si riconoscono nell’obiettivo comune di configurare una nuova cultura d’impresa basata sull’alleanza tra imprenditori e manager. Il contesto internazionale, il noto debito pubblico italiano, la guerra globale sui dazi e la frenata della crescita dellUE, con lo spettro della recessione in Germania, sono tutti elementi che rafforzano la necessità di una forte sinergia.

Questo ci impone di attivare il ruolo di rappresentanza nel senso della promozione di strumenti e soluzioni che, partendo dalla forte carica di innovazione trainata dall’avvento delle nuove tecnologie, sostengano lo spirito imprenditoriale dei territori e rafforzino la dotazione di competenze di alta qualità del nostro management. Quindi, come obiettivo ulteriore, far crescere gli indici di produttività e di competitività delle imprese.

I dati che emergono dal II Rapporto dell’Osservatorio, dal titolo “Capitale Manageriale e Strumenti per lo Sviluppo”, ci dicono che il momento è cruciale. Siamo in equilibrio tra la speranza della ripresa e l’incubo della recessione. Partiamo da alcuni segnali confortanti che devono essere interpretati con attenzione. Un dato su tutti: rispetto al 2017 cresce nel Paese la domanda di manager. Figure in grado di guidare il cambiamento, accompagnando le aziende in un progressivo percorso di crescita.

Il 50% degli imprenditori intervistati dall’Osservatorio punta ad assumere manager nei prossimi tre anni (arriviamo al 76% nelle imprese con più di 50 dipendenti). Si apre quindi una grande sfida per tutti noi, che è racchiusa in due parole a me molto care: fiducia e competenza. Fiducia da parte degli imprenditori che avranno bisogno di aprire le porte delle aziende a professionisti di primo livello; competenza, quella che i manager dovranno sempre più maturare per competere in un mercato globale. Dobbiamo infatti lavorare per ridurre il mismatch tra domanda e offerta di competenze manageriali. Se gli imprenditori dichiarano di incontrare difficoltà nel reperire figure manageriali utili alle proprie attività, vuol dire che sta emergendo una necessità non supportata adeguatamente.

Il nostro compito è anche quello di offrire una risposta, aiutando il management a strutturare in modo nuovo il proprio ruolo, ad evolvere nelle competenze tecniche e tecnologiche richieste dai processi di innovazione. A queste occorre affiancare le cosiddette soft skills, quelle competenze trasversali che riguardano la capacità di motivare i team, l’orientamento all’innovazione e al cambiamento, la propensione ad adattarsi a scenari in continua evoluzione.

Il problema del mismatch, a ben vedere, deve interessare la politica attenta perché esso riguarda tutto il sistema: 6 posti di lavoro altamente qualificati su 10 mostrano una carenza di competenze; 4 lavoratori su 10 sono troppo o troppo poco qualificati per il lavoro che stanno svolgendo.

E poi c’è l’allarme esplicito dell’OCSE: “Il sistema italiano di formazione permanente non è attrezzato alle sfide future. Solo 20,1% degli adulti ha partecipato a programmi di formazione professionale nell’ultimo anno, solo il 60% delle imprese con più di 10 dipendenti offre formazione continua, contro una media europea del 75,2%”. Sosteniamo ad esempio ogni misura che, come il credito d’imposta alla formazione 4.0, incentivi l’investimento in questo ambito da parte dei datori di lavoro. L’impresa deve essere incentivata ad aggiornare le competenze delle sue risorse.

La formazione è per la vita. Esprimiamo soddisfazione per aver visto accolte le sollecitazioni su provvedimenti come il voucher per l’innovation manager e per la riconferma degli interventi su Impresa 4.0: stiamo andando nella direzione giusta che meriterebbe un incremento delle risorse messe a disposizione e un carattere il più possibile strutturale, per dare continuità, per consentire a un numero crescente di soggetti interessati di avervi accesso.

Perciò chiediamo di avere più coraggio, perché serve una rivoluzione culturale nella mentalità politica, per dare senso a incentivi e agevolazioni che, per essere efficaci, devono essere il più
possibili strutturali e certi. Altrimenti il privato non investe. Altrimenti la fiducia non si diffonde. Chiediamo anche di avere più attenzione. In un Paese che è stato definito “a crescita zero”, ogni livello di amministrazione deve remare nella stessa direzione.

È significativo quello che il Rapporto evidenzia circa i bandi pubblici: dopo una mappatura su larga scala, si scopre che in 5 anni ci sono stati 2.452 bandi che hanno riguardato temi come competitività, Pmi, occupazione e innovazione. Di questi, solo 232 hanno “potenzialmente” coinvolto figure manageriali, con 87 bandi contenenti un riferimento diretto o indiretto alle competenze manageriali.

Questo è il momento del coraggio, della collaborazione tra mondo della politica, dell’impresa e del management, di professionalità qualificate e sempre aggiornate.

Riccardo Pedrizzi: Prepararsi all’Industria 4.0

Riccardo Pedrizzi: Prepararsi all’Industria 4.0

La formazione di manager e dirigenti, la crescita economica e sociale del Paese, da Nord a Sud, sono obblighi non rimandabili in vista della imminente “quarta rivoluzione industriale”

A chiudere gli interventi è stato il senatore Riccardo Pedrizzi, Presidente Nazionale Comitato Tecnico Scientifico dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti del Lazio (UCID Lazio) ha chiuso gli interventi. Il Paese deve oggi affrontare una difficilissima sfida: quella dell’Industria 4.0, la quarta rivoluzione industriale che andrà ad incidere sulla vita di ciascuno di noi e delle nostre famiglie. Tutto ciò in un Paese che vive una contingenza politica ed economica particolarmente difficile: crisi demografica, il divario tra Nord e Sud, le differenze salariali. Tutto questo “pone il problema della formazione dei dirigenti e dei manager. Noi dobbiamo imprimere una forte accelerazione che sia agganciata alle contingenze del mutamento storico, economico e sociale che stiamo vivendo”.Riccardo Pedrizzi: Prepararsi all’Industria 4.0Pedrizzi ha affrontato anche il tema della sicurezza delle nostre aziende: “il nostro apparato industriale è oggetto di attenzione e di conquista di Paesi stranieri come Cina, Francia, Stati Uniti e Germania. Gli stessi che, recentemente, hanno approvato leggi che servono a bloccare la possibilità che altri Paesi, in particolare l’Italia, di entrare alla conquista di alcuni settori merceologici. Personaggi come Macron o Merkel, che si dicono ultraliberisti, quando si guarda alla difesa del loro apparato industriale chiudono ermeticamente e non consentono alcun accesso”.

In conclusione Pedrizzi ha ricordato l’indispensabile necessità di una formazione professionale di qualità: “Noi dovremmo rivedere il nostro sistema educativo. La nostra formazione professionale è stata da sempre un vanto e forniva intelligenza e tanta esperienza all’apparato industriale. Oggi, in particolare le aziende del Nord, non riescono a trovare dipendenti specializzati e con una specifica preparazione. Oggi il tempo di lavoro viene definito in Europa “poroso”, cioè che si sovrappone agli altri tempi di vita. Non esiste più il tempo lavorativo di una volta, 24 ore suddivise in tre turni da 8. Il lavoro di ‘tipo poroso’ consente di lavorare per obiettivi anche per 20 ore al giorno, rompendo completamente gli equilibri tra tempo lavorativo e tempo libero”.

Giovanni Lo Storto: La sfida della formazione

Giovanni Lo Storto: La sfida della formazione

L’Università Luiss Guido Carli è in prima linea per la formazione di studenti che sappiano diventare buoni manager ed affrontare le tante sfide che il futuro presenta. Fondamentali competenze verticali e competenze larghe

Per un serio rilancio del Paese la formazione di manager e dirigenti diventa un obbligo. A sottolinearlo è Giovanni Lo Storto, Direttore Generale dell’Università Luiss Guido Carli. Il mondo, come ci dicono i futuristi Peter Fisk a Gerd Leonhard, si trasformerà tra dieci anni più di quanto ha fatto negli ultimi duecento “tra pochissimo lavoreremo per il 90% con delle macchine, i nostri colleghi saranno perlopiù macchine. L’unico modo per superare il blocco che può derivare da una consapevolezza di questo tipo è darsi gli strumenti per essere capaci ad imporre la centralità della persona. Gli strumenti sono sostanzialmente di due tipi. Il primo è legato alle competenze verticali e il secondo alle competenze larghe”.Giovanni Lo Storto: La sfida della formazioneFondamentale diventa lo studio e quel “pezzo di carta” che molti erroneamente considerano inutile. Lo Storto ha indicato dati preoccupanti: “Il numero di laureati nella fascia 25-34 anni in giro per il mondo e in Europa, dove abbiamo l’obiettivo nel 2020 di arrivare al 40%, è molto alto in tutti i Paesi (Germania, Francia ecc.), ancora di più in nazioni del Nord Europa come la Finlandia o in Polonia, Estonia, Lettonia e Moldavia. Noi, nella fascia 25-34 anni, abbiamo un numero di laureati che è di circa il 26%. E anche se oggi investissimo risorse enormi mai riusciremmo ad alzare questo numero per il 2020, probabilmente nemmeno per il 2025. Fermo restando che se avessimo il 40% di laureati in quella fascia di età le nostre aziende sarebbero più competitive e il nostro PIL sarebbe più alto del 4% a livello nazionale e del 10% in Regioni come Campania e Calabria. La prima questione da risolvere è dunque quella delle competenze verticali. Dobbiamo avere persone competenti, soprattutto in un mondo che viaggia ad enorme velocità dal punto di vista tecnologico”.

Ma non basta solo formarsi “occorre anche capire e conoscere il mondo, aggiungendo alle competenze verticali il rispetto per l’altro, la consapevolezza di quanto la persona è importante, l’accettazione della diversità, il valore del sacrificio”. Ma ancora più importante è “dare ai  ragazzi l’opportunità di realizzare la propria idea di impresa. Per questo, da qualche anno, abbiamo avviato l’acceleratore di impresa Luiss EnLabs, presente alla stazione Termini con uno spazio di oltre 5 mila metri quadri. Qui sono state avviate decine e decine di startup dove hanno trovato lavoro migliaia di ragazzi, con oltre 40 milioni di euro di investimenti”. Imprescindibile per Lo Storto un’accelerazione sul digitale: “perché da lì, anche per i manager e per le aziende che formano manager, parte la capacità di contribuire ad una crescita della produttività”. È per questo che sta per partire il progetto Luiss42, che già in Francia ha avuto grande successo ed è stato esportato in Silicon Valley in America. Una scuola che formi super esperti digitali, con alcune caratteristiche incredibili: non si paga la retta, non c’è bisogno di un titolo di studio, sarà sufficiente per accedere un semplice test che accerti le competenze e soprattutto non ci saranno professori. “La prima scuola al mondo in cui lo schema reale è: s’impara competendo con se stessi e collaborando con gli altri”.

Filippo Tortoriello: Superare l’immobilità

Filippo Tortoriello: Superare l’immobilità

Burocrazia, carenza infrastrutturale, ritardi della politica, sono alcuni dei problemi messi sul tappetto dal presidente di Unindustria Filippo Tortoriello per spiegare la difficoltà reale delle imprese. Solo la capacità della classe manageriale fa sì che il Paese continui a tenere

I temi che hanno caratterizzato gli interventi dei relatori sono stati al centro del contributo di Filippo Tortoriello, Presidente di Unindustria, l’Unione degli Industriali e delle Imprese del Lazio. Da un angolo visuale assolutamente privilegiato e che monitora quotidianamente la vita delle imprese, ha voluto offrire un apporto concreto e sottolineare cosa è indispensabile fare per rafforzare la loro competitività ed ampliare il loro mercato di riferimento. La carenza infrastrutturale nel nostro Paese è, secondo Tortoriello, “un freno a mano alla ripresa della nostra economia”.

La soluzione non è certo abbandonare l’Europa: “Se si parla di crescita del nostro Paese, è importante sfatare immediatamente un falso mito. Se non cresciamo non è per colpa dell’Europa”. Se si guarda agli ultimi 20 anni l’Italia è cresciuta del 3%, la Francia del 23%, la Germania del 24%, la Spagna del 31%, l’intera Europa senza l’Italia del 27%. Dati inequivocabili che dimostrano con tutta evidenza che “non è l’Europa che ha impedito al nostro Paese di crescere, ma un sistema farraginoso di lacci e lacciuoli, con una componente burocratica-amministrativa da incubo”.

Tortoriello punta l’indice sulla politica: “non c’è stato governo, di centrodestra o centrosinistra o quest’ultimo che è un ibrido, che abbia affrontato in modo strutturale i problemi del nostro Paese. In queste condizioni è complicato fare impresa”. Nonostante questo l’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa e tra i primi esportatori. Un risultato frutto soltanto della capacità dei manager all’interno delle aziende.Ugualmente urgente è il tema della digitalizzazione che si impone in modo drammatico. Anche qui, secondo Tortoriello, “l’Italia è in ritardo, in quanto parlare di digitalizzazione significa fare riferimento alle infrastrutture e la carenza di queste si risolve in una difficoltà reale per le imprese”.

Crescere significa anche formare, per fortuna “il patrimonio formativo che possiamo offrire fa della Regione Lazio la prima a livello europeo. Come ha ben evidenziato il direttore generale della LUISS, oltre a una formazione tecnica c’è una componente umana che ci mette nelle condizioni di essere fra i più apprezzati a livello mondiale. La competizione globale si fa sempre più difficile e solo rimanendo saldi in Europa dobbiamo e possiamo competere con Paesi come Stati Uniti e Cina. Da soli non andremmo da nessuna parte”.

A conclusione del suo intervento, Filippo Tortoriello ha affrontato un altro dei temi caldi del dibattito: la cyber security. “Una sfida enorme. Gli hacker possono mettere in ginocchio un Paese con danni drammatici peggiori di quelli di una guerra. Per far fronte bisogna investire centinaia di miliardi. La Cina investe 400 miliardi nella ricerca, gli Stati Uniti 380 miliardi. Il nostro Paese è l’ultima ruota”. Anche qui è necessario guardare all’Europa e solo all’interno di essa “abbiamo la possibilità di poter competere”. Se pensiamo di affrontare tutto da soli saremo destinati a perdere.

Impresa che fa scuola

Impresa che fa scuola

Il modello Impresa che fa scuola, creato da Vises Onlus nel 2014, è fondato sulla convinzione che la conoscenza non sia trasmessa, ma costruita da chi apprende nella propria mente, dall’interazione fra l’esperienza che sta vivendo e le sue conoscenze precedenti. Jean Piaget, educatore e fra i padri di questa teoria dell’apprendimento, evidenziava che si apprende meglio quando si è coinvolti nella realizzazione di un prodotto (fisico o cognitivo) che lo studente considera importante e significativo. Ed è proprio dalla scuola romana a lui intitolata, l’IIS Jean Piaget che riparte, sul territorio della Capitale e grazie al supporto di Federmanager Roma, l’edizione 2019 del nostro progetto. Una nuova edizione arricchita grazie ad un intenso lavoro di coprogettazione sviluppato con i docenti dell’istituto romano, che coinvolge le ragazze della “3 A– Moda” in un percorso più intenso e articolato sul modello classico dell’intervento Vises sul quale, per la prima volta, è stata innestata una Unità di apprendimento multidisciplinare alla quale partecipano i docenti del Consiglio di classe, ciascuno con la propria materia di insegnamento.Impresa che fa scuola Grazie ad un linguaggio comune creato fra mondo del lavoro e della scuola, accanto all’inserimento nell’attività didattica tradizionale di compiti reali, Impresa che fa scuola, ci consentirà di condurre una valutazione condivisa del processo che accompagna i ragazzi nello sviluppo delle competenze trasversali che diventano sempre più importanti per cogliere appieno le potenzialità e le attitudini degli studenti, permettendo di adeguare e meglio definire il curriculum individuale e sviluppare un’azione di orientamento al mondo del lavoro meglio definita e tarata sulle competenze dello studente.

Un’iniziativa da seguire sul nostro sito, www.vises.it, che sta crescendo nel tempo e che offre agli Istituti superiori italiani la possibilità di adottare innovazioni didattiche in linea con il nuovo modo di fare scuola che non parla più di alternanza scuola lavoro, ma di percorsi per lo sviluppo delle competenze trasversali e per l’orientamento, in un’ottica di crescita comune e condivisa, in cui la cultura manageriale può e deve rappresentare un faro per la crescita delle nuove generazioni.

CHINA IN MIND: a giugno il nuovo Study Tour

CHINA IN MIND: a giugno il nuovo Study Tour

Grazie a China in Mind, Federmanager e Federmanager Academy offrono la possibilità di un’esperienza unica ai primi 20 manager o imprenditori e professionisti che vogliono aprire la loro mente a nuovi scenari ed impostare il futuro delle loro imprese

Si torna in Cina con il nuovo Study Tour di Federmanager Academy: 7 giorni e 4 città (Pechino, Chongqing, Shanghai e Hangzhou), per conoscere importanti aziende del manifatturiero, dal metalmeccanico all’alimentare e ad altri settori, e scoprire le logiche che connotano queste realtà.

Grazie a China in Mind, dal 15 al 23 giugno, sarà possibile conoscere da vicino il funzionamento dell’e-commerce in cui Alibaba va alla conquista del primato nel mondo, o la nuova filosofia di project management e di logistica con cui si sta costruendo l’aeroporto più grande del mondo, o quei “conglomerati” che uniscono assicurazioni e manifatturiero, finanza e real estate, che vengono sempre più spesso a bussare alla porta delle nostre imprese.CHINA IN MIND: a giugno il nuovo Study TourAd arricchire questa esperienza, costruita con la Fondazione Italia Cina, vi è il China Executive Training Program, un percorso preparatorio (ma non obbligatorio) costituito da 5 moduli realizzati a Milano presso ALDAI dagli esperti della Fondazione, frequentabili anche separatamente. Organizzato nell’ambito del progetto MIND, e dunque promosso da Federmanager col supporto di 4Manager, lo Study Tour fa seguito all’esperienza vissuta nel 2018 da 21 manager che hanno avuto la possibilità di vedere le impressionanti dimensioni della crescita cinese, di percepire la lucidità di una strategia globale e il coordinamento ferreo delle migliaia di aspetti che costituiscono quella visione strategica.

Quello che lo Study Tour renderà visibile è l’incredibile espansione industriale cinese, una realtà che è decisivo conoscere per rimanere competitivi nel mercato globale. E allora, per chi vede la Cina come una grande occasione di business e di relazioni, e, anche per chi vede con timore le possibilità di un ulteriore allargamento in Italia di tale influenza, andare a conoscere questo grande Paese è un’esperienza che prima o poi ogni manager, che voglia lavorare almeno per i prossimi 1015 anni, deve fare: parlare col Presidente della Camera di Commercio di Shanghai (8.000 aziende associate), con l’Ambasciatore e due Consoli italiani, coi vertici di un conglomerato o di enormi realtà, è un’occasione unica di networking.

La Cina rappresenta un enorme cantiere di opportunità che lo Study Tour farà scoprire anche grazie al supporto in loco di varie figure e l’accompagnamento in tutto il viaggio di un esperto della Fondazione Italia Cina.

Per info su programma e quote di adesione scrivi subito a info@federmanageracademy.it.

Università, imprese e manager: un impegno comune per la formazione

Abbiamo incontrato il rettore dell’Università La Sapienza di Roma Eugenio Gaudio per parlare di formazione degli studenti verso il mondo del lavoro e di nuovi indirizzi di studio, con l’obiettivo di accrescere la competitività internazionale delle nostre imprese ed affrontare le nuove sfide in ambito regionale e nazionale

Federmanager è la federazione dei dirigenti delle aziende industriali e – da sempre – ha particolarmente a cuore la crescita delle aziende e la nascita di nuove, nella piena consapevolezza che la tutela del lavoro manageriale trova la sua migliore espressione nel prosperare della vita industriale. Ma per procedere in tale direzione è indispensabile comprendere che la crescita industriale non è possibile senza la cultura, la formazione e la ricerca scientifica. Per questo l’Università, il mondo industriale e il mondo manageriale sono tre colonne unite da un vincolo indissolubile. Un patto non scritto che, di fatto, ha consentito al nostro paese di risollevarsi nel secondo dopoguerra e di restare sulla rotta giusta nonostante tutte le tempeste. Noi di Federmanager Roma abbiamo la fortuna di avere nella Capitale la nostra Università La Sapienza, una delle più grandi e antiche università del mondo. Per quelli tra di noi che hanno qualche capello bianco, e che hanno studiato in un’epoca in cui l’offerta formativa era meno variegata di oggi, la Sapienza rimarrà sempre nel nostro cuore semplicemente come l’Università. Per capire come rinnovare e perpetuare questo patto virtuoso tra le aziende, i dirigenti industriali e la nostra Università oggi abbiamo fatto qualche domanda al Magnifico Rettore Eugenio Gaudio.

Cosa pensa della necessità di indirizzare la formazione universitaria verso il mondo del lavoro e delle imprese?

Su questo tema farei alcune distinzioni. Penso che nella globalizzazione sia sempre più indispensabile generare la massima interazione per gestire i cambiamenti, ma per raggiungere questo obiettivo servono persone flessibili e capaci di formazione continua. Il mondo del lavoro si trasforma in maniera rapida e ci richiede un nuovo approccio alla formazione che sia innovativo e antico al tempo stesso. Si tratta di far crescere e formare gli individui, gettando le basi dello sviluppo della personalità di ciascuno in maniera tale da metterlo in grado di produrre i valori indispensabili nel futuro che sono la flessibilità e la capacità di formazione continua. Per questo la maggior parte dei corsi di laurea deve avere un’impostazione e una metodologia fondate proprio su quella caratteristica di interdisciplinarità che fa a tutt’oggi della formazione universitaria italiana un’eccellenza riconosciuta all’estero, laddove i nostri laureati si confrontano con quelli degli altri atenei del mondo. Poi certamente, in casi mirati e molto ben soppesati, si possono introdurre dei corsi di laurea professionalizzanti, ma sempre senza perdere di vista la formazione della personalità generale dell’uomo, che è il valore più prezioso anche per il suo futuro professionale.

Negli anni passati sono nati molti nuovi indirizzi di studio ma non tutti sono stati orientati verso il mondo del lavoro e, in particolare, verso il mondo della produzione industriale. Quali le cose buone e quali gli errori in questo settore?

Tra le cose buone bisogna ricordare la progettazione e l’istituzione, per studenti italiani e stranieri, di nuovi corsi di laurea internazionali, molti dei quali insegnati in lingua inglese ed è giusto menzionare anche i programmi come Erasmus che fanno svolgere parte degli studi all’estero, generando esperienze di vita, oltre che didattiche e scientifiche, per gli studenti di oggi e i cittadini di domani. È stato ottimo anche l’aumento dell’interdisciplinarità dei corsi, come ad esempio nei settori dell’economia e del management, laddove, oltre ai tradizionali insegnamenti di competenze economiche, finanziarie e legali, oggi sono stati inseriti moduli di sociologia, di filosofia, di comunicazione e d’informatica. Infatti il manager moderno è sempre più un “coordinatore di persone” e deve sapere interagire e motivare con la flessibilità che richiedono i rapporti umani. Le cose “meno buone” sono state quelle della replicazione di alcuni corsi tradizionali o della trasformazione di antichi corsi in piccoli corsi triennali. Ad esempio è capitato che un corso di studi unico di quattro o cinque anni sia stato trasformato in una laurea triennale come se fosse un piccolo “bignami” del precedente iter di studi. Queste “riduzioni” se non adeguatamente progettate diventano solo una brutta copia delle lauree tradizionali. È importante, invece, che i corsi di primo ciclo siano profondamente pensati per dare basi solide e metodologiche agli studenti e i corsi magistrali siano progettati per dare un indirizzo specifico. Per arrivare poi alle attività di formazione di terzo livello, come dottorato, specializzazione e master, che dovranno coniugare questa preparazione, solida e sfaccettata, con un aggiornamento continuo e con competenze di applicazione professionale pratica. Ed è con questo sistema che si può gestire il continuo rinnovo che il mondo contemporaneo esige da noi. Infatti con la specializzazione in medicina si diventa super specialisti in un determinato settore ma è con i master che si fa quella formazione continua di aggiornamento e confronto con la pratica quotidiana che è indispensabile per essere i medici del domani.Università, imprese e manager: un impegno comune per la formazione

Quali a suo avviso sono stati i cambiamenti di successo nel riassetto degli indirizzi di studio già operati nella giusta direzione dal suo Ateneo?

Abbiamo avviato molte iniziative di successo con indirizzi di cyber security, intelligenza artificiale e robotica. Hanno uno straordinario successo i nostri corsi di ingegneria dell’informazione e ingegneria gestionale. Particolare soddisfazione ci stanno dando i corsi di scienze della moda. Questi ultimi non sono certo insegnamenti che servono a fare il sarto, ma indirizzi che mettono in condizioni di approfondire la storia, la cultura e l’arte che stanno alla base del grande fenomeno italiano della leadership nella moda, che nasce anche e soprattutto dal portato storico culturale che ognuno di noi italiani si porta dietro anche in modo inconsapevole: la scienza dei tessuti, il gusto dei disegni, la cultura sotto gli aspetti geografico, etnico e religioso. Questi sono tutti valori che entrano in gioco nella composizione di un capo d’abbigliamento. Le linee di gusto artistico vengono dagli studi delle proporzioni di Leonardo, proseguono fino ai grandi quadri del rinascimento e arrivano ai colori che hanno caratterizzato la storia dell’arte contemporanea. Quando si affrontano tutte queste tematiche con spirito scientifico ci si accorge che, per fare di un foulard un capolavoro artistico, serve tanta cultura.

Come pensa che si collochi l’Italia rispetto agli altri paesi del mondo su questo tema del rapporto tra università e lavoro e, eventualmente, da quali paesi avremmo qualcosa da imparare e perché?

Io penso che l’Italia si trovi collocata molto bene e non lo dico per la posizione che ricopro ma per quello che vedo quando vado all’estero e constato la grande capacità degli italiani di interagire nelle professioni a tutti i livelli. La cultura, le basi metodologiche, storiche e scientifiche della formazione italiana, ci portano dappertutto ad adattarci all’ambiente e ad avere rapporti buoni e storie di indiscutibile successo. Quello che dobbiamo migliorare è la relazione tra università e imprese e, per farlo, dobbiamo fare uno sforzo da tutte e due le parti. Le imprese non devono pensare che l’università sia la struttura che gli prepara i dipendenti per il singolo lavoro che c’è da svolgere in quel momento, l’università è fatta per formare le persone per un’intera carriera di ruoli professionali futuri in un mondo che cambia e non certo soltanto per “coprire” una necessità momentanea, perché quest’ultima sarebbe una scelta davvero miope. Quando parliamo di università parliamo di formazione e non di nozionismo. Ma certamente da parte dell’università bisogna riuscire a comunicare maggiormente con il mondo dell’impresa per favorire la formazione continua e per incrementare gli stage e le collaborazioni di ricerca che renderebbero fortissimo il rapporto tra azienda e università. Abbiamo recentemente favorito la nascita di molte start up di giovani proprio per andare in questa direzione. Su tutte queste cose dobbiamo collaborare e, se posso concludere con un esempio di cosa sia un manager moderno, voglio ricordare un grande manager, Sergio Marchionne, laureato in lettere e filosofia, e quindi non un super tecnico, ma un uomo che con la sua cultura ha saputo capire a livello globale quali fossero le esigenze e ha traghettato una grande azienda in modo vantaggioso laddove sembrava impossibile.Università, imprese e manager: un impegno comune per la formazione

Federmanager Roma ha intrapreso una collaborazione con La Sapienza per lavorare insieme ad un approfondimento sugli indirizzi di sviluppo della nostra regione al 2030, con l’intento di dare vita ad un convegno sul tema e ad una serie di articoli su “Professione Dirigente”. Cosa pensa di questa iniziativa? E cosa pensa che potremmo fare di più per collaborare a questo tema su base regionale?

Sono convinto che sia una iniziativa di qualità che mette insieme l’università e una realtà importante nella capitale come Federmanager Roma. Su questo campo della collaborazione e della formazione continua dobbiamo fare moltissimo anche a livello nazionale insieme a Federmanager, perché le competenze necessarie al mondo manageriale cambiano in continuazione e si devono affrontare sempre nuovi scenari. Per il mondo del management sono sempre di più le competenze che devono essere condivise da chi governa un’impresa con gli studiosi di economia, di storia e di geografia (materia spesso sottovalutata) e la collaborazione è diventata una necessità irrinunciabile. La geografia ad esempio è diventata importantissima e purtroppo vedo che i giovani la stanno perdendo, ma senza una conoscenza geografica di tipo scientifico non si capisce il mondo globalizzato. Nella stessa direzione abbiamo inaugurato da poco il più grande centro linguistico delle università italiane. Un luogo di studio dove si possono approfondire tutti gli idiomi dal sanscrito al cinese. E più che mai le lingue sono fondamentali per il manager di oggi.

Alcune idee potrebbero essere quelle di invitare Manager ad esporre casi industriali di successo agli studenti. Ovvero invitare esponenti di Federmanager a raccontare agli universitari le luci e le ombre della vita dei Manager nel mondo del lavoro. Oppure invitare studenti e professori della Sapienza presso il nostro Auditorium di Federmanager per raccontarci come si stanno formando i giovani per farli entrare nel nostro mondo di lavoro e attivare un proficuo dibattito al riguardo. Cosa ne pensa?

Assolutamente sono convinto che il blended Learning sia una modalità importantissima. Quindi è ottimo sia portare all’interno della formazione universitaria l’esperienza sul campo, per dare una visione della teoria coniugata con la mutevolezza della pratica e sia portare il mondo accademico a conoscere meglio la vita delle imprese. Seminari, lezioni con scambi reciproci saranno la modalità migliore. Un mezzo potente in questa direzione per i manager più impegnati è oggi il mezzo telematico. Nel nostro ateneo abbiamo l’università telematica Unitelma Sapienza che, senza sostituire gli incontri diretti che sono sempre importanti, mette tuttavia a disposizione la possibilità di avere dei moduli online che si possono sfruttare anche nei ritagli di tempo, per esempio nei fine settimana, su cui aggiornarsi sulle novità introdotte da nuove normative, come ad esempio sulla privacy o riguardo alla sicurezza sul lavoro. Si tratta di un sistema misto, presenza personale più lavoro online, il quale, con tutte le verifiche del caso, offre ai manager molte opportunità di aggiornamento.

I manager del Lazio come tutti gli altri manager del Paese sono sottoposti ad una grande pressione per sostenere sfide della globalizzazione che ci impone di competere con esportazioni di grandissima qualità visto che raramente, nonostante siamo campioni di automazione, possiamo competere con i prezzi a causa dell’altissima pressione fiscale del paese e del basso livello dei servizi. Cosa pensa che potremmo fare tutti insieme, imprese manager e università, per spingere la politica ad aiutarci a liberare la nostra forza di ricerca e di produzione da questi vincoli che la soffocano?

Penso che i due pilastri su cui si può appoggiare il Paese per un rilancio industriale sono la cultura scientifica e il mondo manageriale. Il primo obiettivo comune deve essere quello di un aumento del numero di laureati. Oggi l’Italia è uno dei fanalini di coda in questo campo, con un numero di laureati nei giovani di età tra i trentadue e i trentaquattro anni inferiore al 25% della popolazione, mentre i paesi con cui ci confrontiamo sono molto più avanti, la Francia e la Germania sono vicini al 40% e la Gran Bretagna supera addirittura il 40%. Noi italiani dobbiamo raggiungere assolutamente l’obiettivo europeo del 40%, perché oggi ci troviamo nella scomoda situazione di avere una prima fascia professionale di assoluta qualità mondiale, come abbiamo detto prima, e poi una fascia sottostante che è decisamente meno qualitativa e la cui media di istruzione ci situa al di sotto degli altri paesi nostri concorrenti. Questa crescita culturale media ci aiuterebbe a mantenere i giovani salvaguardati dalle sirene dell’assistenzialismo e dalle illusorie lusinghe della criminalità, che ancora oggi purtroppo infesta il Paese. Un’alleanza tra i manager e l’università, con la formazione e la ricerca come pilastri, è proprio la spinta culturale che serve per uscire da queste secche e rilanciare la nostra Italia per le sue doti di cultura, innovazione e qualità che sono motivi per cui siamo apprezzati nel mondo.